Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 35134 depositata il 22 agosto 21023 

responsabilità del Consiglio di Amministrazione se non presenti le deleghe – reati tributari

RITENUTO IN FATTO 

1. Con ordinanza del 24 gennaio 2023, il Tribunale di Latina, in sede di riesame, ha confermato il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente disposto nei confronti di RM , indagato – in qualità di componente del Consiglio di Amministrazione della società cooperativa integrata sociale X  , esercente l’attività di accoglienza di cittadini provenienti da Paesi terzi richiedenti asilo e rifugiati politici – per i reati di cui agli 2 e 8 del d.lgs. n. 74 del 2000. 

2. Avverso l’ordinanza l’indagato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, lamentando, con un unico motivo di doglianza, la violazione della legge processuale e il difetto assoluto di motivazione, con riferimento alla conferma della sussistenza del fumus commissi delicti per l’adozione del decreto di sequestro preventivo. Il Tribunale del riesame si sarebbe limitato ad argomentare su un piano meramente astratto, senza avere proceduto alla ricostruzione e alla valutazione della base fattuale e senza dare risposta alla specifica deduzione difensiva sul punto. Si contesta la possibilità di riconoscere indizi di responsabilità penale, in ragione della supposta natura colposa della responsabilità derivante dalla violazione dell’art. 2392, cod. civ., e si sostiene la mancata assunzione della veste di legale rappresentante dell’ente in capo al ricorrente, con conseguente impossibilità giuridica dello stesso di impedire l’evento. Nel provvedimento impugnato mancherebbero argomenti che diano conto dell’avvenuta percezione, da parte dell’amministratore, di fatti rilevatori di consistenti anomalie nella gestione, del compimento di operazioni ingiustificate o comunque di situazioni societarie non conformi alla legge o allo statuto. Il Tribunale avrebbe attribuito una responsabilità “da posizione”, fondata sul solo ruolo rivestito dall’imputato in seno alla società nel periodo di riferimento. Gli argomenti adottati dai giudici territoriali in ordine alla responsabilità dell’odierno ricorrente risulterebbero ascrivibili a un piano giuridico meramente astratto; mentre il provvedimento difetterebbe di qualsiasi descrizione concreta alla cui stregua, nel caso specifico, possano ritenersi sussistenti i gravi indizi di reità. Nella motivazione dell’ordinanza impugnata emerge ebbe una carenza assoluta in ordine alla ricognizione dei presupposti di fatto relativi a collegamento tra la posizione di consigliere di amministrazione non delegato assunta dal ricorrente e la condotta omissiva allo stesso attribuita.

CONSIDERATO IN DIRITTO 

1. Il ricorso è inammissibile. 

1.1 Occorre premettere che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, l’art. 2392, cod. civ., norma che regola la posizione di garanzia degli amministratori all’interno delle p.a., dispone che questi sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza dei doveri loro imposti dalla legge o dallo statuto, a meno che non si tratti di attribuzioni proprie del comitato esecutivo o attribuite in concreto ad uno o più di essi, così come ribadisce specificamente per il consiglio di amministrazione l’art. 2381, secondo comma, cod. civ. Dovendosi perciò distinguere l’ipotesi in cui il consiglio di amministrazione operi con o senza deleghe, deriva dal suddetto assetto normativo che, a meno che l’atto non rientri nelle attribuzioni delegate al comitato esecutivo o taluno dei consiglieri che ne sono parte, tutti i componenti del consiglio di amministrazione rispondano – salvo il meccanismo di esonero contemplato dal terzo comma dell’art. 2392, cod. civ., che prevede l’esternazione e l’annotazione dell’opinione in contrasto da parte del consigliere dissenziente nonché immune da colpa – degli illeciti deliberati dal consiglio, anche se in fatto non decisi o compiuti da tutti i suoi componenti. In tema di reati tributari, dunque, nel caso di delitto deliberato e direttamente realizzato da singoli componenti del consiglio di amministrazione, nel cui ambito non sia stata conferita alcuna specifica delega, ciascuno degli amministratori risponde a titolo di concorso per omesso impedimento dell’evento, ove sia ravvisabile una violazione dolosa dello specifico obbligo di vigilanza e di controllo sull’andamento della gestione societaria derivante dalla posizione di garanzia di cui all’art. 2392, cod. civ. (Sez. 3, n. 30689 del 04/05/2021, Rv. 282714). Il Tribunale ha fatto corretta applicazione del principio sopra enunciato, spiegando che non vi era alcuna delega riferibile ad alcuno dei componenti del consiglio di amministrazione della X  ; pertanto, ha ritenuto gravante su tutti i consiglieri la responsabilità solidale per gli Illeciti posti in essere dal consiglio di amministrazione, che devono riferirsi solidalmente a ciascuno di essi, e in particolar modo all’odierno ricorrente che, all’epoca dei fatti contestati, era stato prima legale rappresentante della X  e, successivamente, era stato eletto presidente del consiglio di amministrazione della medesima società.

1.2 Relativamente alla sussistenza del fumus commissi dellcti, appare utile premettere che, come più volte ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, fatture per operazioni inesistenti son0 anche quelle che si connettono al compimento di un negozio giuridico apparente diverso da quello realmente intercorso tra le parti. Si è affermato da tempo il principio secondo il quale l’oggetto della sanzione di cui all’art. 2 del d.lgs. n. 74 del 2000 è ogni tipo di divergenza tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale, tenuto conto dello speciale coefficiente di insidiosità che si connette all’utilizzazione della falsa fattura. In altri termini, la fattura, al pari di tutti gli elementi equipollenti, deve contenere una rappresentazione veritiera di tutti i dati significativi, sicché assume rilevanza anche l’inesistenza giuridica, la quale si verifica ogniqualvolta la divergenza tra la realtà e la rappresentazione riguardi la natura della prestazione documentata in fattura con ciò determinandosi una alterazione del contenuto del documento contabile (ex plurimis, Sez. 3, n. 45114 del 28/10/2022, Rv. 28377; Sez. 3, n. 11633 del 02/02/2022, Rv. 282985; Sez. 3, n. 1998 del 15/11/2019, dep. 2020, Rv. 278378)

La difesa richiede a questa Corte una inammissibile rivalutazione del merito del provvedimento impugnato, nella misura in cui tenta di sostenere la mancata individuazione da parte del giudice di elementi fattuali dai quali far discendere la presenza dei gravi indizi di reato sulla base dei principi appena enunciati.

Anche a prescindere da ciò, deve comunque rilevarsi che il Tribunale ha preso in esame ogni singola compagine sociale, individuando gli elementi dai quali emerge la sussistenza del fumus commissi delicti. In particolare, per quanto riguarda la Y  ,: stando ai dati trasmessi dalla stessa X   , risulta che la y    ha svolto prestazioni reali a favore della prima per soli 8.000,00 euro; la y  ha la propria sede legale allo stesso indirizzo della X  e utilizza lo stesso dominio web; dal libro giornale e dal mastrino fornitori, emerge che, per tutti gli importi – ad eccezione di quello di 8.000,00 euro sopra citato – avviene prima il pagamento a cadenza mensile e solo a fine anno si procede alla registrazione in contabilità; tutte le fatture indicano in maniera assolutamente generica le prestazioni; la Y   , non risulta avere utenze intestate, né locali o beni in affitto o comodato, mentre effettua solo acquisti di modico importo; l’unica risorsa palese è il personale, di per sé del tutto insufficiente a garantire autonoma esecuzione delle prestazioni, in mancanza dei necessari beni strumentali; dal 2015 la X è formalmente depositaria  delle scritture contabili della Y    , ma  manca qualsivoglia documentazione contabile della stessa; dalle sommarie informazioni testimoniali rese da BL   , MD  , FA  , risulta che queste hanno svolto la propria prestazione lavorativa per la X  e non sanno nulla della y   ; per il periodo di imposta 2019, dalla banca dati INPS risulta che la Y   non ha avuto alcun dipendente; dall’Anagrafe Tributarla non risulta che la y  abbia presentato alcun modulo 770 per tale anno di imposta; la y nel 2019 risulta aver ricevuto dalla X   bonifici su un proprio conto corrente, utilizzati per disporre bonifici – anche verso l’estero – a diversi soggetti, tra i quali MR   (figlio di M  ) e GV  , all’epoca coniuge del M  ; il legale rappresentante della Y  risulta da tempo irreperibile; la società non è più operativa dal 2017 ed è formalmente chiusa dal 28/02/2019.

Per quel che concerne il Consorzio X  , il Tribunale territoriale ha rilevato che le prestazioni devono ritenersi inesistenti, in quanto: non vi è traccia di documentazione a supporto di quanto indicato nelle fatture con la dicitura “servizio di supporto amministrativo e progettazione”, peraltro assolutamente generica; colui che le avrebbe rese ( CF  ,, dipendente del Consorzio X     ) ha smentito di essersi occupato di elaborare progetti per conto della X precisando che neppure l’ufficio di cui fa parte si è mai occupato di tali progetti e che, in ogni caso, la parcella per bandi dal valore di un milione di euro può attestarsi tra i 500,00 ed i 2.500,00 euro e, dunque, su importi di gran lunga inferiori a quelli registrati nella contabilità della X  ; sono emerse anomalie relative alla fattura n. 3 del 01/02/2018, in quanto sono state emesse due fatture, una dell’importo complessivo di 5.400,00 euro, annotata nella contabilità della sola , l’altra, dell’importo di 11.800,00 euro, annotata nella sola contabilità della , entrambe aventi lo stesso oggetto; se ne deduce una sovrafatturazione pari a 6.095,24  euro, quale differenza  tra  gli  importi. Il  Tribunale  ha adeguatamente spiegato che sussistono adeguati indizi della sovrafatturazione posta in essere dal ricorrente, ribadendo che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, il reato di cui all’art. 2 del d.lgs. n. 74 del 2000 sussiste anche nelle ipotesi di inesistenza relativa (ovvero quando l’operazione vi è stata, ma per quantitativi inferiori a quelli indicati in fattura) e di sovrafatturazione “qualitativa” (ovvero quando la fattura attesti la concessione di beni e/o servizi aventi prezzo maggiore di quelli forniti), In quanto oggetto della responsabilità penale è ogni tipo di divergenza tra la realtà commerciale e fa sua espressione documentale (ex multis, Sez. 3, n. 28352 del 21/05/2013, Rv. 256675). 

2. In considerazione di quanto precede, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di Inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in € 3.000,00.

P.Q.M. 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.