CORTE di CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 48520 depositata il 6 dicembre 2023
Lavoro – Infortunio – Caduta dall’alto – Nesso di causa fra la condotta colposa del lavoratore e l’evento lesivo – Travisamento della prova – Obbligo datoriale di assicurare condizioni di sicurezza appropriate anche in rapporto a possibili comportamenti trascurati del lavoratore – Inammissibilità
Ritenuto in fatto
1. La Corte d’Appello di Napoli, a seguito di appello proposto dall’imputata C.L. condannata dal Tribunale di Ariano Irpino, nella qualità di legale rappresentante della G.C.E. srl e perciò datore di lavoro, in ordine al reato di cui all’art. 590 c.p., commi 2 e 3, i in danno del dipendente C.C., commesso in (…), ha dichiarato non doversi procedere per essere il reato estinto per prescrizione e confermato le statuizioni civili.
1.1. Il procedimento ha ad oggetto un infortunio sul lavoro ricostruito nel modo seguente. C. stava eseguendo lavori di disarmo, pulizia e sistemazione al secondo piano del cantiere sito in località (…), il cui ponteggio non era stato allestito secondo le prescrizioni di legge, quando era stato investito dal tavolame che si era staccato dal piano superiore e per l’impatto, in mancanza di parapetto idoneo, era precipitato nel vuoto,(cadendo nel terreno dopo un volo di due piani; C. aveva riportato, a seguito della caduta, lesioni personali gravi consistite in trauma cranico, contusione polmonare e versamento pleurico (con incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore à 40 giorni).
1.2. Nel capo di imputazione a C., quale addebito di colpa, è stata contestata la violazione del D.P.R. 7 gennaio 1956, n. 164, art. 16, in allora in vigore, secondo il quale nei lavori eseguiti ad un’altezza superiore ai due metri, devono essere adottate, seguendo lo sviluppo dei lavori stessi, adeguate impalcature e ponteggi o idonee opere provvisionali o comunque precauzionali atte a eliminare i pericoli di caduta di persone e di cose.
2. Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso, ai soli effetti civili, C.L., a mezzo di difensore, formulando due motivi.
2.1 Con il primo motivo ha dedotto il vizio di motivazione per travisamento della prova. Il difensore osserva che la ricostruzione dell’incidente formulata dalla Corte di Appello era in contrasto con le risultanze dell’istruttoria. In particolare:
-i testi escussi, colleghi di lavoro presenti all’infortunio, avevano riferito che C., nel momento in cui era precipitato dal balconcino del secondo piano del fabbricato, non stava lavorando, in quanto i lavori di disarmo erano già stati eseguiti;
– un Consulente Tecnico dell’imputata aveva chiarito che il ponteggio era già di per sé un elemento di protezione e che l’impatto al suolo era avvenuto in un punto non prossimo alla verticale di caduta, ma più distante rispetto al bordo;
altro Consulente Tecnico aveva chiarito che, per accedere al ponteggio, C. aveva dovuto superare barriere di protezione orizzontali e oblique e aveva dovuto abbassarsi e sporgersi, sicché la sua caduta poteva essere definita come un tuffo dal trampolino;
– la parte civile C., pure, aveva spiegato a dibattimento che, avendo visto cadere le tavole dal piano soprastante mentre si trovava sul balconcino, era scappato e si era buttato nel vuoto.
Dunque secondo la ricorrente, la persona offesa non stava lavorando al piano di calpestio del balconcino sito al secondo piano del fabbricato in costruzione, non era stata investita dal tavolame e non era caduta per l’impatto con il tavolame, ma si era lanciata nel vuoto per il timore della improvvisa rovina del tavolato malamente disarmato.
Tale diversa ricostruzione imponeva di ritenere che nel caso di specie il nesso di causa fra la condotta colposa del lavoratore e l’evento si fosse interrotto per essersi il lavoratore volontariamente lanciato dal balcone.
2.2. Con il secondo motivo, ha dedotto l’assenza di motivazione in ordine alla eccezione di nullità della sentenza del Tribunale per essere stata pronunciata condanna per un fatto diverso rispetto a quello emerso nell’istruttoria in violazione dell’art. 522 c.p.p..
2.3. Con il terzo motivo, ha dedotto la violazione della norma processuale ed in specie dell’art. 522 c.p.p. per essere stata affermata la responsabilità in ordine ad un fatto diverso rispetto a quello emerso nella istruttoria.
3. Il Procuratore Generale, in persona del sostituto Dr. L.G., ha depositato conclusioni scritte/con cui ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
4. In data 4 ottobre 2023 sono pervenute conclusioni (con cui è stata chiesta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso) e nota spese del difensore della parte civile e memoria del difensore dell’imputata (con cui è stato chiesto l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il fatto non sussiste).
Considerato in diritto
1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
2. Il primo motivo è inammissibile o comunque manifestamente infondato.
Si deve premettere nel caso in cui il giudice di appello confermi la sentenza di primo grado, sia pure solo ai fini civili, le due sentenze di merito possono essere lette congiuntamente costituendo un unico corpo decisionale (Sez. 2 n. 37295 del 12/06/2019 E. Rv. 277218).
Per converso, il ricorso per cassazione deve contenere la precisa prospettazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto da sottoporre a verifica e non può limitarsi a un generico dissenso critico sulla risposta fornita dal giudice di appello alle questioni sollevate con il gravame. Quando intende censurare la valutazione da parte del giudice dell’appello dei motivi articolati con l’atto di gravame, il ricorrente ha l’onere di specificare il contenuto dell’impugnazione e di indicare i punti della motivazione censurati e le ragioni della censura al fine di consentire l’autonoma individuazione delle questioni che si assumono non risolte e sulle quali si sollecita il sindacato di legittimità (sez. 3, n. 8065 del 21/09/2018, dep. 2019, C., Rv. 275853). Sono estranei alla natura del sindacato di legittimità l’apprezzamento e la valutazione del significato degli elementi probatori attinenti al merito, che non possono essere apprezzati dalla Corte di cassazione se non nei limiti in cui risulti viziato il percorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa e sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr. sez. 6 n. 47204 del 7/10/2015, M., Rv. 265482).
2.1.Dietro l’apparente deduzione del travisamento, il difensore sollecita una rivalutazione del compendio probatorio, preclusa in questa sede. La giurisprudenza di legittimità ha precisato che il travisamento della prova consiste non già nell’errata interpretazione della prova, ma nella palese difformità tra i risultati obiettivamente derivanti dall’assunzione della prova e quelli che il giudice di merito ne abbia tratto, compiendo un errore idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio e rendendo conseguentemente illogica la motivazione. E ciò in quanto al giudice di legittimità è consentito non già di accertare eventuali travisamenti del fatto – e dunque di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta dal giudice merito -, bensì solo di verificare che quest’ultimo non abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale, considerato che, in tal caso, non si tratta per l’appunto di reinterpretare gli elementi di prova valutati nel merito ai fini della decisione, ma di verificare se detti elementi sussistano e facessero dunque effettivamente parte dell’orizzonte cognitivo di quel giudice (Sez. 7, n. 12406 del 19/02/2015, M., Rv. 262948; Sez. 5, n. 9338 del 12/12/2012 M., Rv. 255087; Sez.3, n. 39729 del 18 giugno 2009, B., Rv 244623; Sez.5. n. 39048 del 25 settembre 2007, C., Rv 238215; Sez. 1, n. 24667, del 15 giugno 2007, M., Rv 237207; Sez. 4, n. 21602 del 07 aprile 2007, V., Rv 237588).
2.2.La Corte di Appello, in continuità con la sentenza di primo grado, sulla base delle dichiarazioni della parte civile e dell’ispettore di polizia giudiziaria che aveva effettuato le indagini e delle conclusioni del Consulente Tecnico della parte civile, ha ricostruito, in modo coerente e non illogico, l’infortunio, ravvisando in capo alla ricorrente il profilo di colpa specifica consistito nell’aver omesso di allestire il ponteggio secondo le prescrizioni previste dalla legge. Secondo i giudici di merito, C., mentre stava eseguendo i lavori di disarmo, pulizia e sistemazione delle tavole al secondo piano di un edificio, era stato investito dal tavolame staccatosi dal piano superiore e, a causa della mancanza del parapetto, era precipitato al suolo.
2.3. Sulla base di tale ricostruzione, come detto non sindacabile, in assenza di travisamento probatorio nel senso anzi detto, non vi è spazio alcuno per sostenere, come sembra ipotizzare il ricorso, che la condotta del lavoratore sia stata abnorme ed abbia in tal modo interrotto il nesso di causalità. Pur dandosi atto che a seguito dell’introduzione del D.Lgs. n. 626 del 94 e, poi, del T.U. n. 81 del 2008 si è passati dal principio “dell’ontologica irrilevanza della condotta colposa del lavoratore” al concetto di “area di rischio” (sez. 4, n. 21587 del 23.3.2007, P., Rv. 236721) che il datore di lavoro è chiamato a valutare in via preventiva, resta in ogni caso fermo il principio secondo cui non può esservi alcun esonero di responsabilità all’interno dell’area di rischio, nella quale si colloca l’obbligo datoriale di assicurare condizioni di sicurezza appropriate anche in rapporto a possibili comportamenti trascurati del lavoratore (sez. 4 n. 21587 del 2007, P., cit.). All’interno dell’area di rischio considerata, quindi, deve ribadirsi il principio per il quale la condotta del lavoratore può ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l’evento lesivo, non tanto ove sia imprevedibile, quanto, piuttosto, ove sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (sez. 4 n. 15124 del 13/12/2016, dep. 2017, G. e altri, Rv. 269603; sez. 4 n. 5007 del 28/11/2018, dep. 2019, PMT c/ M.P., rv. 275017), oppure ove sia stata posta in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli e, come tale, al di fuori di ogni prevedibilità da parte del datore di lavoro, oppure vi rientri, ma si sia tradotta in qualcosa che, radicalmente quanto ontologicamente, sia lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (sez. 4 n. 7188 del 10/01/2018, B., Rv. 272222). In ogni caso “perché possa ritenersi che il comportamento negligente, imprudente e imperito del lavoratore, pur tenuto in esplicazione delle mansioni allo stesso affidate, costituisca concretizzazione di un “rischio eccentrico”, con esclusione della responsabilità del garante, è necessario che questi abbia posto in essere anche le cautele che sono finalizzate proprio alla disciplina e governo del rischio del comportamento imprudente” (Sez. 4, n. 27871 del 20/03/2019, S., Rv. 27624201).
Nel caso di specie la condotta del lavoratore era stata posta in essere nell’ambito delle mansioni a lui affidate. Anche a voler tacere della inverosimglianza della tesa sostenuta, per cui il ricorrente si sarebbe volontariamente lanciato nel vuoto, per evitare di essere colpito da una tavola, le stesse testimonianze riportate nel ricorso confermano che C. era caduto mentre stava svolgendo la sua attività lavorativa (il teste S. aveva infatti dichiarato che C. era caduto mentre stava svolgendo attività lavorativa), mentre non è neppure contestato che il ponteggio apprestato dal datore di lavoro fosse privo delle protezioni idonee a scongiurare il rischio caduta.
3.11 secondo ed il terzo motivo sono del pari inammissibili e comunque manifestamente infondati. La ricorrente invoca il mancato rispetto del principio della correlazione fra accusa e sentenza, ipotizzando, in maniera apodittica e generica, che la condanna sia avvenuta per un fatto diverso rispetto a quello oggetto di contestazione. In realtà la ricostruzione del fatto e della condotta colposa effettuata in sentenza è perfettamente aderente alla imputazione, mentre è la ricorrente che ipotizza una diversa dinamica dell’accaduto. Dalla dichiarazione di inammissibilità del primo motivo di ricorso con il quale si sottopone alla Corte una differente e inverosimile lettura delle risultanze dell’istruttoria (secondo la quale la parte offesa si sarebbe addirittura lanciata volontariamente nel vuoto), discende la impossibilità, anche solo astratta, di configurare il vizio dedotto.
4. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali. Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che la ricorrente non versasse in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve essere disposto a suo carico, a norma dell’art. 616 c.p.p., l’onere di versare la somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, somma così determinata in considerazione delle ragioni di inammissibilità.
Alla inammissibilità del ricorso consegue, altresì, la condanna della ricorrente alla rifusione delle spese in favore della costituita parte civile C.C., che si stima congruo liquidare in Euro tremila, oltre accessori come per legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende, nonché alla rifusone delle spese di giudizio sostenute dalla parte civile C.C. nel presente grado di legittimità, che liquida in Euro tremila, oltre accessori come per legge.
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