Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 9887 depositata il 12 marzo 2020
reati tributari – determinazione dell’imposta evasa
RITENUTO IN FATTO
1. Il sig. L.M. ricorre per l’annullamento dell’ordinanza del 28/03/2019 della Corte di appello di Bologna che ha dichiarato inammissibile l’impugnazione della sentenza del 04/04/2014 del Tribunale di Forlì che lo ha condannato alla pena (principale) di otto mesi di reclusione (oltre pene accessorie) per il reato di omessa dichiarazione di cui all’art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000, commesso in Forlì il 30/09/2008.
1.1.Articolando due motivi deduce che: a) la Corte territoriale ha dichiarato inammissibile l’appello per genericità, erroneamente richiamando la lettera c), piuttosto che la lettera d), 581 cod. proc. pen., con conseguente erronea applicazione della norma processuale (primo motivo); b) diversamente da quanto sostenuto dall’ordinanza impugnata, egli ha indicato in modo specifico il punto della sentenza del tribunale oggetto di censura (le modalità di determinazione dell’imponibile) ed ha posto precisi elementi di diritto a sostegno della propria deduzione (secondo motivo).
CONSIDERATO IN DIRITTO
2. Il ricorso è fondato.
3.Con sentenza del 04/04/2014 il ricorrente era stato dichiarato penalmente responsabile del delitto di cui all’art. 5, d.lgs. n. 74 del 2000 (omessa dichiarazione dei redditi conseguiti nell’anno di imposta 2007), e condannato alla pena ritenuta di giustizia.
3.1.L’entità dell’imposta evasa, ai fini dell’accertamento del dato relativo al superamento del cd. valore soglia (all’epoca pari ad € 77.468,53), era stata determinata in base ai seguenti elementi di prova: a) tutte le fatture attive emesse nell’anno 2007, tanto quelle registrate quanto quelle non registrate; b) le operazioni di versamento e di prelievo sui conti correnti bancari dell’imputato rimaste prive di giustificazione e non collegabili agli importi delle fatture. Dalla somma di tali dati era stato ottenuto l’importo di € 309.568,61 corrispondente ai ricavi induttivamente accertati dall’Agenzia delle Entrate. Da tale importo era stato detratto quello di € 59.250,00 corrispondente ai costi sostenuti nel medesimo anno di imposta, con conseguente determinazione dell’imponibile nella misura di € 250.318,61 e dell’imposta dovuta (ed evasa) in quella di € 100.807,00, superiore al valore soglia. L’imputato, aveva concluso il Tribunale, non aveva offerto elementi in grado di contrastare tale conclusione né in sede amministrativa né in sede penale.
3.2.Nel proporre appello, il L.M. aveva criticato il metodo di accertamento del reddito imponibile che era stato determinato facendo ricorso alla presunzione tributaria di cui all’art. 32, comma primo, n. 2, d.P.R. n. 600 del 1973, e senza procedere alla quantificazione dei costi necessari all’acquisto dei mezzi di produzione strumentali alla realizzazione del fatturato. In buona sostanza, secondo l’odierno ricorrente il reddito era stato determinato in base a indici presuntivi di tipo astratto ed automatico senza alcun riferimento ai dati specifici concreti dai quali desumere il fatto materiale generatore dell’imposta. Aveva quindi aggiunto che non era stato possibile procedere al rinvenimento di altre fatture oltre quelle registrate. Quanto alla pena ne aveva invocato l’applicazione nel minimo previsto dalla legge.
3.3.La Corte di appello ha dichiarato inammissibile l’impugnazione perché non specifica. A tal fine ha osservato che l’imputato: a) non ha offerto una propria ricostruzione dei costi sostenuti e dei relativi elementi di prova e non ha tenuto conto della quantificazione effettuata dal primo Giudice, sicché non si è confrontato con tale argomento; b) ha invocato il minimo della pena senza specificare alcun argomento a sostegno della richiesta.
4.Come autorevolmente affermato da questa Corte, l’appello, al pari del ricorso per cassazione, è inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della decisione impugnata, fermo restando che tale onere di specificità, a carico dell’impugnante, è direttamente proporzionale alla specificità con cui le predette ragioni sono state esposte nel provvedimento impugnato (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, Rv. 268822; Sez. 3, n. 12727 del 21/02/2019, Rv. 275841, secondo cui ai fini della valutazione dell’ammissibilità dei motivi di appello, sotto il profilo della specificità, è necessario che il ricorrente non si limiti a contestare semplicemente il punto della pronuncia di cui chiede la riforma, ma che rispetto ad esso indichi le ragioni di fatto o di diritto per cui non ne condivide la valutazione).
4.1.E’ pertanto generico l’appello quando manca qualsiasi correlazione tra i vizi (genericamente) denunciati e le ragioni poste a fondamento dell’atto impugnato.
4.2.Parafrasando la giurisprudenza di questa Corte in tema di inammissibilità del ricorso per cassazione, i motivi di appello devono ritenersi generici non solo quando risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (Cass., Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013 Rv. 255568) come quando manchi, per esempio, l’indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto d’impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 2, n. 19951 del 15/05/2008 Rv. 240109). Non è, perciò, sufficiente che l’appello consenta di individuare le statuizioni concretamente impugnate e i limiti dell’impugnazione, ma è altresì necessario che le ragioni sulle quali esso si fonda siano esposte con sufficiente grado di specificità e che siano correlate con la motivazione della sentenza impugnata; con la conseguenza che se, da un lato, il grado di specificità dei motivi non può essere stabilito in via generale ed assoluta, dall’altro, esso esige pur sempre – a pena di inammissibilità – che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte quelle dell’appellante, volte ad incrinare il fondamento fattuale e logico-giuridico delle prime. È quindi onere dell’appellante prendere in considerazione gli argomenti svolti dal giudice di primo grado e sottoporli a critica.
4.3. Il caso di specie si caratterizza, in primo luogo, per una decisa genericità della motivazione della sentenza di condanna che, negligendo un più approfondito esame degli indicatori di una capacità contributiva il più possibile corrispondente al vero, ha piuttosto utilizzato, in modo robusto, le presunzioni derivanti dall’applicazione dell’art. 32, comma 1, n. 2, d.P.R. n. 600 del 1973 (nella versione vigente all’epoca dell’accertamento), ed in particolare quella secondo la quale i versamenti ed i prelievi non giustificati sono considerati ricavi, e gli indicatori presuntivi di reddito derivanti dalla applicazione degli studi di settore.
4.4.L’appello, come detto, devolveva due questioni: a) la possibilità di ricorrere in sede penale alle presunzioni tributarie al fine di quantificare l’imponibile e l’imposta evasa in modo astratto ed automatico, senza alcun riferimento a dati specifici e concreti; b) la possibilità di imputare a ricavi i versamenti e i prelievi effettuati sui conti correnti.
4.5.Ancorché in modo sintetico, l’appello sollecitava comunque una riflessione di natura più giuridica che fattuale circa la correttezza del metodo utilizzato dal primo Giudice che, nel determinare l’imponibile e l’imposta evasa, aveva fatto carico all’imputato di fornire la prova contraria ai valori desumibili dall’applicazione delle presunzioni tributarie.
4.6.In questo senso l’appello non poteva dirsi generico poiché si confrontava certamente con la ‘ratio decidendi’ della sentenza impugnata chiedendone una revisione basata prima ancora sulla correttezza del criterio di giudizio utilizzato per la condanna che su fatti precisi.
4.7.L’ordinanza, dunque, deve essere annullata senza rinvio e, tuttavia, poiché il reato è nelle more estinto per prescrizione deve essere annullata, senza rinvio, anche la sentenza di condanna.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata e la sentenza del 04/04/2014 del Tribunale di Forlì perché il reato è estinto per prescrizione.
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