Corte di Cassazione, sezione prima, ordinanza n. 17106 depositata il 15 giugno 2023
falcidia dei crediti privilegiati
RILEVATO CHE
1. In data 3.11.2020 la M.C.L. S.r.l.–Soc. unipersonale in Liquidazione depositava, dinanzi al Tribunale di Verona, ricorso per l’ammissione alla procedura di concordato preventivo, unitamente alla documentazione prevista dagli artt. 160, 161 e 182 ter l. fall.
2. Il piano concordatario aveva natura liquidatoria e prevedeva il soddisfacimento dei creditori attraverso il ricavato della cessione dei beni mobili e immobili di proprietà della società debitrice, del realizzo di alcuni crediti residui verso clienti, nonchè dall’apporto di finanza esterna proveniente dal socio unico nonchè liquidatore, Valter Coltri, e dalle risorse rese disponibili dalla rinuncia di un creditore privilegiato ex 2751 bis, co. primo, n. 1, cod. civ.
3. Con provvedimento del 18.1.2021, il Tribunale di Verona fissava udienza ex art. 162, co. 2, l. fall., ravvisando la sussistenza di due profili ostativi all’ammissione della M.C.L. alla procedura di concordato: i) inidoneità della proposta concordataria ad assicurare la percentuale di soddisfacimento dei crediti chirografari prevista dall’art. 160, 4, l. fall.; ii) insufficienza dell’attestazione ex art. 160, co. 2, l. fall. per non essere stato preso in considerazione dallo stimatore l’attivo realizzabile in sede fallimentare mediante le azioni revocatorie e risarcitorie.
4. Con decreto del 15.2.2021, il Tribunale di Verona, all’esito del contraddittorio con la società debitrice, dichiarava inammissibile la domanda di concordato presentata dalla M.C.L., ritenendo: a) quanto all’idoneità del piano ad assicurare la percentuale di soddisfazione prevista dall’art. 160, co. 4, l. fall., che la proposta, in particolare, non consentisse una prognosi di significativa probabilità di vendita del complesso immobiliare della società istante, che rappresentava più dei tre quinti dell’attivo concordatario, al valore indicato nel piano; b) quanto all’incompletezza della relazione prevista dall’art. 160, co. 2, l. fall., per la mancata considerazione delle azioni risarcitorie e revocatorie, che la norma richiede per un’analisi completa dell’alternativa liquidatoria, allo scopo di fornire ai creditori un raffronto tra lo scenario concordatario e quello fallimentare e perchè, a tali fini, lo stimatore non poteva non considerare tutto l’attivo realizzabili in sede fallimentare e, dunque, anche quello derivante da possibili azioni revocatorie o risarcitorie nei confronti del legale rappresentante.
4. Con sentenza 82 del 27.4.2021, emessa su ricorso del creditore istante T. S.p.A. avanzato in data 3.2.2021, il Tribunale di Verona, considerato lo stato di insolvenza comprovato dal ricorso della stessa società debitrice alla procedura di concordato preventivo, dichiarava il fallimento della M.C.L..
5. Con ricorso ex artt. 18 e 162, co. 3, l. fall. del 26.5.2021, la M.C.L. proponeva reclamo dinanzi alla Corte d’Appello di Venezia avverso la sentenza dichiarativa di fallimento ed il provvedimento del 15.2.2021 di dichiarazione di inammissibilità del concordato.
6. Con il primo motivo di reclamo ex art. 18 l. fall., la società debitrice lamentava che il Tribunale di Verona avesse attribuito un significato errato al termine “assicurare”, di cui al 4 dell’art. 160 l. fall., e si fosse spinto oltre il controllo consentitogli dalla legge, sconfinando nelle valutazioni di fattibilità e convenienza economica della proposta di concordato, per definizione riservate ai creditori.
7. Con il secondo motivo di reclamo la società debitrice sosteneva che il Tribunale di Verona avesse errato nel ritenere incompleta la relazione prevista dall’art. 160, co. 2, l. fall., essendo compito dell’attestatore quello di esprimersi soltanto sul potenziale ricavato delle azioni recuperatorie che trovano rappresentazione nel piano e restando onerato il solo Commissario giudiziale dell’illustrazione delle eventuali utilità che, in caso di fallimento, possono essere apportate dalle ulteriori azioni esperibili.
8. Si costituiva nel giudizio di reclamo il Fallimento M.C.L. r.l. – Soc. unipersonale in Liquidazione, sottolineando l’infondatezza dei motivi di reclamo e chiedendo la conferma dell’impugnata sentenza dichiarativa del fallimento.
9. Con sentenza n. 2157/2021 del 30.7.2021, qui ricorsa per cassazione, la Corte d’Appello di Venezia rigettava il reclamo della M.C.L. confermando: i) quanto al primo motivo, che pur essendo “il profilo della convenienza [della proposta concordataria] … senz’altro estraneo al sindacato giurisdizionale … l’idoneità della proposta e del piano a soddisfare la soglia del 20% dei creditori in chirografo prevista dalla norma in questione è un requisito essenziale relativo alla fattibilità del concordato, che il Giudice deve valutare in sede di ammissione del concordato stesso” (pag. 6, sentenza qui impugnata) e condividendo, nel merito, le valutazioni esposte dal Tribunale di Verona circa l’impossibilità, nel caso concreto, di formulare una prognosi di significativa probabilità di realizzo della predetta percentuale (pagg. 6-8, sentenza impugnata); ii) quanto al secondo motivo, che il raffronto effettuato dal professionista incaricato ex art. 160, co. 2, l. fall. tra la proposta concordataria e la liquidazione del patrimonio del debitore in sede fallimentare “deve essere esteso ai valori che potrebbero ragionevolmente realizzarsi in ambito fallimentare in virtù del positivo esperimento di azioni revocatorie, recuperatorie, di responsabilità, in quanto dette azioni rientrano nel patrimonio mobiliare della società” (pag. 9, sentenza impugnata), al fine di rendere edotti i creditori “di tutti gli elementi necessari per comparare gli alternativi scenari”.
10. La sentenza, pubblicata il 30.7.2021, è stata impugnata da M.C.L. SRL – SOCIETÀ UNIPERSONALE IN LIQUIDAZIONE con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, cui il FALLIMENTO M.C.L. S.R.L. – SOC. UNIPERSONALE IN LIQUIDAZIONE N. 79/2021 ha resistito con controricorso.
T. S.p.A., intimata, non ha svolto difese. La ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
§. Occorre esaminare per prima l’eccezione di “inammissibilità” del ricorso, sollevata in via pregiudiziale dal Fallimento controricorrente sostenendo che la sentenza oggetto di ricorso per cassazione non sarebbe stata impugnata nei confronti di tutte le parti che avevano partecipato al giudizio di reclamo, ex art. 18 l. fall.. Sostiene il fallimento che il reclamo era stato proposto sia dalla M.C.L., in persona del liquidatore e legale rappresentante pro tempore, sia da Valter Coltri in proprio, in quanto titolare di un interesse anche personale ad evitare il fallimento della società da lui rappresentata. Il ricorso per cassazione sarebbe stato proposto soltanto dalla M.C.L. nei confronti del Fallimento e di T. S.p.A. e unicamente a questi notificato: non essendo, dunque, l’impugnazione stata proposta nei confronti di tutti coloro che avevano preso parte al precedente grado di giudizio sarebbe stato violato da parte ricorrente il principio dell’integrità del contraddittorio, con la necessità che doveva essere ordinata alla ricorrente l’integrazione del contraddittorio nei confronti di Valter Coltri, ai sensi dell’art. 331 c.p.c..
§. L’eccezione è infondata.
Il ricorso per cassazione è stato, infatti, presentato da “La società M.C.L. SRL – SOCIETÀ UNIPERSONALE IN LIQUIDAZIONE, in persona
del liquidatore e legale rappresentante pro tempore sig. Valter Coltri con sede legale in Caprino Veronese (VR), Località Gamberon…”.
Ne consegue che risulta un controsenso ordinare alla società ricorrente, rappresentata dal Coltri, di integrare il contraddittorio nei confronti del suo legale rappresentante, già presente nel contraddittorio processuale.
1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 160 co. 4 l.f..
1.1 Il motivo di doglianza è infondato.
1.1.1 Sostiene, infatti, la ricorrente che la Corte d’Appello di Venezia non avrebbe fatto corretto governo del principio espresso dalla giurisprudenza di legittimità, secondo il quale al Tribunale spetterebbe un “controllo non meramente esteriore” sulla proposta concordataria e “il potere di accertare, ai fini dell’ammissione del debitore alla procedura, l’esistenza di ragionevoli probabilità di realizzazione dell’obiettivo minimo indicato dal legislatore (v. Cass. 15 giugno 2020 n. 11522)”, restando però pur sempre “riservata ai creditori la … valutazione della convenienza della proposta rispetto all’alternativa fallimentare, oltre a quella della specifica realizzabilità della singola percentuale di soddisfazione prevista per ciascuno di essi” (v. sempre Cass. 15 giugno 2020 n. 11522” (pag. 7, sentenza impugnata) ovvero, in altre parole, la valutazione circa la “probabilità di successo economico del piano”.
1.1.3 Le obiezioni sollevate dalla ricorrente non colgono nel segno, già sulla base dei principi affermati dalla giurisprudenza di questa Corte e richiamati dalla stessa società ricorrente nel suo motivo di doglianza.
Occorre infatti ricordare che, secondo la giurisprudenza di legittimità (cfr. Sez. 1, Sentenza n. 11522 del 15/06/2020), “in tema di concordato preventivo, la distinzione tra fattibilità giuridica ed economica postula che il sindacato del tribunale riferito alla prima appuri la non incompatibilità del piano con norme inderogabili, mentre quello relativo alla seconda si incentri sulla realizzabilità del piano medesimo nei limiti della verifica della sua eventuale manifesta inettitudine a raggiungere gli obiettivi prefissati, rimanendo riservata ai creditori la sola valutazione della convenienza della proposta rispetto all’alternativa fallimentare, oltre a quella della specifica realizzabilità della singola percentuale di soddisfazione prevista per ciascuno di essi; né sulla detta distinzione ha inciso il comma 4 dell’art. 160 l.fall. (introdotto dal d.l. n. 83 del 2015, conv. con modif. dalla l. n. 132 del 2015), laddove prevede che, fatta eccezione per il concordato con continuità aziendale, la proposta di concordato deve assicurare in ogni caso il pagamento della soglia minima di almeno il venti per cento dell’ammontare dei crediti chirografari, limitandosi ad introdurre un requisito ulteriore di validità della proposta, al cui riscontro il giudice deve procedere già in sede di ammissione alla procedura” (nella specie, questa Corte, nell’arresto sopra citato, procedendo alla correzione, ai sensi dell’art. 384 c.p.c. della motivazione della sentenza impugnata, ha escluso che l’art. 160, comma 4, l. fall. abbia comportato il superamento della distinzione tra il controllo di fattibilità giuridica e quello di fattibilità economica, con la conseguenza che, ai fini della dichiarazione di ammissibilità del concordato, il sindacato del giudice dovrebbe estendersi al merito della proposta); cfr. inoltre Cass. n. 9061 del 2017; vedi anche: Cass, Sez. 1, Ordinanza n. 13224 del 17/05/2021, ove, verbatim: “In tema di concordato preventivo, il comma 4 dell’art. 160 l.fall., introdotto dal d.l. n. 83 del 2015, conv. con modif. dalla l. n. 132 del 2015, nel prevedere che, fatta eccezione per il concordato con continuità aziendale, la proposta deve assicurare in ogni caso il pagamento della soglia minima di almeno il venti per cento dell’ammontare dei crediti chirografari, definisce l’ambito del controllo della fattibilità giuridica demandato al tribunale, imponendogli di verificare la funzionalità del piano rispetto al raggiungimento di un risultato che preveda necessariamente il soddisfacimento dei creditori chirografari nell’indicata percentuale”).
1.1.4 Secondo infatti il principio di diritto consacrato dalle Sezioni Unite di questa Corte con una nota pronuncia, il controllo spettante al giudice in sede di ammissione alla procedura di concordato, così come quello esercitato in sede di revoca ed omologazione, non si estende alle probabilità di successo economico del piano alla fattibilità giuridica della proposta, ovverosia all’idoneità del piano a realizzare effettivamente la causa concreta del concordato, da intendersi come obiettivo specifico perseguito dal procedimento, che non ha contenuto fisso e predeterminabile, ma dipende dal tipo di proposta formulata, pur se inserita nel generale quadro di riferimento finalizzato al superamento della situazione di crisi dell’imprenditore, da un lato, ed all’assicurazione di un soddisfacimento, sia pur ipoteticamente modesto e parziale, dei creditori, dallo altro (cfr. Cass., Sez., 23/01/2013, n. 1521; v. anche Cass., Sez. I, 27/05/2013, n. 13083; 9/05/2013, n. 11014).
Pur affermando che non rientra nell’ambito del controllo esercitabile dal giudice un sindacato sull’aspetto pratico-economico della proposta, e dunque sulla correttezza dell’indicazione della misura di soddisfacimento percentuale offerta dal debitore ai creditori (ritenuta peraltro non vincolante, in caso di concordato con cessione dei beni, in quanto all’epoca non era prescrittada alcuna disposizione), la predetta pronuncia ritenne che al giudice non fosse del tutto inibita una verifica in ordine all’assoluta impossibilità di realizzazione del piano, eventualmente in contrasto con le indicazioni ed il giudizio formulati dal professionista attestatore. Precisò infatti che la valorizzazione dei profili negoziali del concordato, emergente dalla disciplina novellata, non aveva comportato la cancellazione degli aspetti pubblicistici che caratterizzavano tale istituto prima della riforma, ed in particolare della necessità di un bilanciamento tra l’esigenza di agevolare l’uscita dell’imprenditore dallo stato di crisi e la tutela dei diritti dei creditori, assoggettati a forti limitazioni e compressioni: bilanciamento che si realizzava garantendo, da un lato, che i creditori fossero messi a conoscenza di tutti gli elementi necessari per poter esprimere un voto informato e, dall’altro, che la definizione del procedimento consentisse effettivamente di raggiungere le finalità perseguite attraverso la sua instaurazione (così, Cass. n. 11522 del 15/06/2020, cit. supra).
1.1.5 Orbene, le sopra esposte considerazioni hanno costituito, poi, oggetto di ulteriore sviluppo da parte della giurisprudenza successiva, la quale, pur tenendo ferma, in linea di principio, la distinzione tra fattibilità giuridica e fattibilità economica, ha ritenuto ammissibile il controllo del giudice sulla realizzabilità nei fatti del concordato, sia pure nei limiti nella verifica della sussistenza o meno di una assoluta, manifesta inettitudine del piano presentato dal debitore a raggiungere gli obbiettivi prefissati, individuabile caso per caso in riferimento alle specifiche modalità indicate dal proponente per superare la crisi mediante una sia pur minimale soddisfazione dei creditori chirografari in un tempo ragionevole, fermo restando, ovviamente, il controllo della completezza e correttezza dei dati informativi forniti dal debitore ai creditori, con la proposta di concordato e i documenti allegati, ai fini della consapevole espressione del loro voto (cfr. Cass., Sez. I, 23/05/2014, n. 11497; 22/05/2014, n. 11423; 6/11/2013, n. 24970).
1.1.6 In realtà, la giurisprudenza più recente è pervenuta a conclusioni ancora più avanzate, ponendo in dubbio la stessa correttezza di una netta distinzione tra controllo di fattibilità giuridica, sempre consentito, e controllo di fattibilità economica, sempre vietato: premesso che il riferimento alla causa concreta, evocando il richiamo di una prospettiva funzionale, suppone un controllo sul contenuto della proposta finalizzato a stabilirne l’idoneità ad assicurare la rimozione dello stato di crisi mediante il previsto soddisfacimento dei crediti rappresentati, ha affermato che, in quanto correlata al predetto controllo, la verifica di fattibilità comprende necessariamente anche un giudizio di idoneità, che va svolto rispetto all’assetto d’interessi ipotizzato dal proponente in rapporto ai fini pratici perseguiti dal concordato; ha quindi attribuito alla distinzione tra le due specie di fattibilità una portata meramente descrittiva, sottolineando che la stessa serve solo a chiarire che, mentre il sindacato sulla non incompatibilità del piano con norme inderogabili non incontra particolari limiti, quello sulla realizzabilità dello stesso può essere svolto nei limiti della verifica della sussistenza o meno di una mani- festa inettitudine a raggiungere gli obiettivi prefissati; ha conseguentemente chiarito che la proposta concordataria deve ritenersi sempre sindacabile, ove risulti totalmente implausibile, mentre resta riservata ai creditori soltanto la valutazione della convenienza di una proposta plausibile, rispetto all’alternativa fallimentare, oltre a quella della specifica realizzabilità della singola percentuale di soddisfazione prevista per ciascuno di essi (cfr. , Sez. I, 7/04/2017, n. 9061; 27/02/2017, n. 4915).
1.1.7 Ed è proprio in questo quadro che vengono ad inserirsi le modifiche introdotte dall’art. 4, comma primo, lett. a), del d.l. n. 83 del 2015, consistenti nella aggiunta di un quarto comma all’art. 160 della legge fall., il quale, disponendo che, fatta eccezione per il concordato con continuità aziendale, la proposta di concordato deve assicurare in ogni caso il pagamento di almeno il venti per cento dell’ammontare dei crediti chirografari, così elevando la previsione di tale percentuale a requisito di validità della proposta concordataria, al cui riscontro il giudice deve procedere già in sede di ammissione alla procedura, potendo rigettare senz’altro la relativa domanda, ove la stessa non rechi l’impegno di assicurare il soddisfacimento dei creditori chirografari nella predetta misura (così, sempre Cass. n. 11522 del 15/06/2020, cit. supra).
1.1.8 Occorre allora fornire convinta condivisione a quanto affermato nell’arresto da ultimo citato laddove lo stesso ha affermato che “basta osservare che, non potendo tale requisito risolversi in una pura formalità o clausola di stile, alla sua previsione deve necessariamente corrispondere un controllo non meramente esteriore da parte del giudice, al quale deve quindi riconoscersi il potere di accertare, ai fini dell’ammissione del debitore alla procedura, l’esistenza di ragionevoli probabilità di realizzazione dell’obiettivo minimo indicato dal legislatore”.
1.1.9 In tal senso depone anche la modifica apportata dalla lett. b), n. 1 dell’art. 4, comma primo cit. al secondo comma dell’art. 161 l. fall. che, prevedendo l’indicazione nella proposta delle utilità specificatamente individuate ed economicamente valutabili che il debitore si obbliga ad assicurare a ciascun creditore, “pone a carico del debitore un onere informativo ulteriore rispetto a quelli già previsti dal testo previgente della disposizione, che, in quanto riguardante i mezzi con cui l’istante intende concretamente far fronte ai propri debiti, non può avere di mira esclusivamente l’espressione di un voto consapevole da parte dei creditori” (così espressamente sempre: Cass. n. 11522 del 15/06/2020, cit. supra).
1.1.10 Risulta allora del tutto condivisibile anche l’ulteriore affermazione contenuta nell’arresto da ultimo richiamato secondo cui la norma dettata dall’art. 160, 4 comma, l. fall. “contribuisce a definire l’ambito del controllo di fattibilità demandato al giudice, arricchendo di contenuto, sotto il profilo degli obiettivi che l’imprenditore si obbliga a raggiungere, la nozione di causa concreta del concordato, che il piano deve rivelarsi idoneo a realizzare”.
1.1.11 Ciò posto e chiarito, la motivazione impugnata, in quanto conforme ai principi affermati da questa Corte nei precedenti sopra illustrati (cfr. Cass. 11522/2020; Cass. 13224/2021), risulta del tutto condivisibile e non è in alcun modo censurabile secondo gli opinamenti della ricorrente, posto che la Corte territoriale si è limitata a svolgere, nel caso di specie, un giudizio di manifesta non realizzabilità del piano concordatario, nella sua funzionalità causale, sulla base degli indici fattuali economici forniti dalla società debitrice nell’illustrazione della sua proposta di risoluzione pattizia della crisi di impresa, senza che tale giudizio abbia intaccato la valutazione di convenienza della proposta concordataria, come tale rimessa alle insindacabili valutazioni del ceto creditorio.
1.1.12 Tale apprezzamento integra un giudizio di fatto, come tale riservato al giudice di merito e sindacabile in sede di legittimità esclusivamente per vizio di motivazione, nei termini ora perimetrati dal novellato art. 360, primo comma, 5, c.p.c (Cass. Sez. Un. 8053/2014), nella specie neppure dedotto dalla ricorrente nel motivo qui in esame.
2. Con il secondo mezzo si deduce invece, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., proprio il vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, sul rilievo che la Corte d’Appello – così come, in precedenza, il Tribunale di Verona – avrebbe fondato le sue valutazioni circa la non idoneità del piano concordatario a soddisfare la percentuale del 20% riservata ai creditori chirografari “in parte su dati errati e in parte omettendo di considerare taluni fatti e circostanze di assoluta rilevanza, in quanto decisivi per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti in quanto rappresentati nel reclamo ex 18 l. fall. (cfr. reclamo sub Doc. 16 p. 22 e ss.)”, con particolare riferimento:
i) alla circostanza che la vendita del complesso immobiliare della società avrebbe rappresentato meno dei 3/5 dell’attivo, come invece affermato dal Tribunale di Verona e dalla Corte d’Appello, e ciò anche all’apprezzamento comparativo della rinuncia ad alcuni crediti; ii) al contenuto, in thesi, niente affatto generico, delle manifestazioni di interesse all’acquisto del compendio immobiliare prodotte nel corso del giudizio; iii) al contenuto delle indagini condotte dal perito che aveva stimato l’immobile di proprietà della M.C.L., definite dalla ricorrente “particolarmente realistiche” e, oltretutto, “oggetto di un’ulteriore svalutazione di carattere prudenziale, nella misura del 20%, proprio allo scopo di offrire la più elevata sicurezza di risultato ai creditori”.
2.1 Il secondo motivo di ricorso è invece inammissibile.
2.1.1 Occorre ricordare, in premessa, che il perimetro dell’impugnativa ex art. 360, 1, n. 5, c.p.c., consente alle parti di censurare “l’omesso esame di un fatto storico, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia)” (Cass. Sez. Un. 8053/2014; in ultimo, Cass. 9.6.2021 n. 16174; Cass. 31.8.2020 n. 18120).
Ne consegue che, nel rispetto della norma, la parte ricorrente “deve indicare il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività” (Cass. 16.3.2020 n. 7284); ne consegue, altresì, che il “fatto” controverso e decisivo per il giudizio è solo quello riferito ad un preciso accadimento o ad una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni né elementi istruttori (cfr. Cass. 21.7.2020 n. 15568).
2.1.2 Orbene, le doglianze articolate dalla ricorrente si concentrano sul fatto che la Corte territoriale non avrebbe correttamente valutato alcune circostanze, che pure sarebbero state rappresentate nel reclamo, ossia: i) che, per effetto della rinuncia di due creditori e dell’apporto promesso dal Valter Coltri, all’incirca la metà del fabbisogno concordatario avrebbe avuto provenienza “esterna” rispetto alla liquidazione dei vari asset, con la conseguenza che il ricavato della vendita del complesso immobiliare della società non avrebbe rappresentato, come invece affermato dal Tribunale di Verona, “i 3/5 dell’attivo stimato”; ii) che, comunque, le manifestazioni di interesse allegate al piano non avrebbero contenuto “generico” ma farebbero espresso riferimento al valore indicato nella perizia di parte prodotta in giudizio; iii) che le indagini effettuate dal perito di parte in merito ad alcune vendite intervenute all’esito di procedure competitive, aventi ad oggetto immobili simili a quello della ricorrente, sarebbero “particolarmente realistiche” e tali da garantire ai creditori la sicurezza del risultato della liquidazione del complesso immobiliare. Sostiene, dunque, la M.C.L., che se la Corte d’Appello avesse esaminato tali circostanze, non avrebbe potuto che concludere per l’idoneità del piano a soddisfare i creditori sociali oltre la misura minima prevista dall’art. 160, ult. co., l. fall.
2.1.3 Come già anticipato in coda alle osservazioni e considerazioni rassegnate in risposta al primo motivo di doglianza, le circostanze allegate dalla ricorrente (e del cui omesso esame, oggi, si duole quest’ultima) non rappresentano “fatti storici”, nell’accezione sopra ricordata (Cass. Sez. Un. 8053/2014), bensì mere argomentazioni su singoli elementi probatori di giudizio, acquisiti al patrimonio conoscitivo della causa, in relazione ai quali i giudici del merito non avevano, in realtà, uno stringente obbligo di motivazione in relazione a ciascuno di essi, se il “fatto storico” dedotto in giudizio fosse stato (come avvenuto nel caso di specie) valutato ed apprezzato da parte della Corte di merito.
Così proposte e dedotte, le censure della ricorrente si risolvono in una inammissibile richiesta di riesame degli atti istruttori (peraltro, dedotti in difetto di autosufficienza) che, come è noto, è invece inibito a questa Corte di legittimità.
3. Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione degli artt. 160, comma 2, l.fall. La ricorrente contesta, nel motivo qui da ultimo in esame, “il ruolo che la Corte d’Appello implicitamente affida all’attestatore statuendo che egli, di fatto, dovrebbe indagare circa le ipotesi di responsabilità degli organi sociali della società e non limitarsi a valutare i fatti o le circostanze oggetto della disclosure svolta dal debitore con il piano e la proposta concordataria, la cui omissione sarebbe peraltro sanzionata ai sensi dell’art. 173 L.F.” (pag. 13, ricorso introduttivo), in quanto tale interpretazione non sarebbe “in linea con le esplicite previsioni della Legge Fallimentare” che, invece, attribuirebbe “il compito di effettuare detta verifica al commissario giudiziale all’atto di redigere la relazione ex 172 L. Fall.”
3.1 Il motivo è infondato.
3.2 Occorre ricordare che il secondo comma dell’art. 160 l. fall., introdotto dal d. lgs. n. 169/2007, consente la falcidia dei crediti privilegiati purché il piano ne preveda la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, dovendo il valore attribuibile a tali beni o diritti essere indicato nella relazione giurata di un professionista indipendente, ai sensi dell’art. 67, 3, lett. d),l. fall..
3.3 Orbene, la ricorrente contesta, in realtà, l’assunto del Tribunale di Verona, fatto proprio dalla Corte d’Appello di Venezia, secondo il quale la relazione ex art. 160, co. 2, l. fall. deve estendersi anche ai valori che potrebbero ragionevolmente realizzarsi in ambito fallimentare in virtù del positivo esperimento di azioni revocatorie, recuperatorie, di responsabilità, in quanto dette azioni rientrano nel patrimonio mobiliare della società (pag. 9, sentenza impugnata).
3.4 Ritiene invece il Collegio che la Corte lagunare abbia fatto corretto governo dei principi che regolano la materia, dovendosi infatti ritenere che giudice il quale esamini il ricorso per concordato preventivo è chiamato a compiere anche una penetrante verifica della adeguatezza dell’informazione che viene fornita ai creditori, al fine di consentire a questi ultimi un’espressione libera e consapevole del voto (cfr. 28.3.2017 n. 7959).
E’ stato infatti affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (sent. n. 5107/2015), in un caso analogo a quello oggi sub iudice, proprio il principio accolto dalla Corte lagunare, avendo confermato in quel precedente di legittimità la decisione della corte territoriale, la quale aveva respinto, anche in tal caso, il reclamo proposto ex 18 l. fall. dal soggetto fallito a seguito della declaratoria di inammissibilità della proposta di concordato, condividendo la valutazione dei giudici di secondo grado circa la “manifesta inadeguatezza” della relazione ex art. 160, co. 2, l. fall., poiché la stessa “era priva di ogni valutazione in ordine alla possibilità di esperire eventuali azioni risarcitorie o revocatorie, risultando così totalmente ignorata una parte del possibile attivo ricavabile in sede di liquidazione”, osservando, altresì, che tale rilievo attiene “non già ad una valutazione di convenienza della proposta di concordato ma alla adeguatezza delle informazioni fornite ai creditori al fine di consentire loro di decidere con cognizione di causa quale posizione assumere nei confronti della proposta concordataria. È dunque evidente che l’indicazione di dati incompleti o parziali, che potrebbero indurre a ritenere l’inesistenza di alternative o di migliori possibilità di realizzo, sono sostanzialmente contrari alla ratio legis e danno luogo, pertanto, ad una violazione dei presupposti giuridici della procedura”.
3.6 Occorre dunque evidenziare che, nel caso di falcidia dei crediti privilegiati, la relazione ex art. 160, co. 2, l. fall. – così come quella ex 182 ter, co. 1, l. fall. – deve considerare le azioni esperibili in caso di fallimento, anche se il piano non le prevede, essendo il professionista tenuto a considerare tutte le possibili poste ricavabili dalla liquidazione.
3.7 Nel caso che ci occupa, è incontestato che il professionista incaricato dalla M.C.L. di redigere la relazione ex 160, co. 2, l. fall. non avesse dedotto alcunché in merito alle azioni risarcitorie, recuperatorie o revocatorie da esercitarsi, eventualmente, in sede fallimentare.
Ne consegue la infondatezza delle obiezioni sollevate dalla ricorrente.
Occorre affermare, in relazione al terzo motivo di doglianza, il seguente principio di diritto:
“In tema di concordato preventivo, la relazione ex art. 160, co. 2, l. fall., deve contenere le valutazioni in ordine alla possibilità di esperire eventuali azioni risarcitorie o revocatorie, risultando le stesse necessarie per la corretta quantificazione e valutazione del possibile attivo ricavabile in sede di liquidazione e riguardando il profilo dell’adeguatezza delle informazioni fornite ai creditori al fine di consentire loro di decidere con cognizione di causa quale posizione assumere nei confronti della proposta concordataria, con la conseguenza che l’indicazione di dati incompleti o parziali, che potrebbero indurre a ritenere l’inesistenza di alternative o di migliori possibilità di realizzo, danno luogo ad una violazione dei presupposti giuridici della procedura”.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13 (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del fallimento controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 10.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
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