Corte di Cassazione, Sezioni Unite, con la sentenza n. 4040 depositata il 9 febbraio 2023

regolamento di giurisdizione – regolamento delle spese processuali – il discrimine tra giurisdizione tributaria e giurisdizione ordinaria va così individuato: alla giurisdizione tributaria spetta la cognizione sui fatti incidenti sulla pretesa tributaria (inclusi i fatti costitutivi, modificativi od impeditivi di essa in senso sostanziale) che si assumano verificati fino alla notificazione della cartella esattoriale o dell’intimazione di pagamento, se validamente avvenute, o fino al momento dell’atto esecutivo, in caso di notificazione omessa, inesistente o nulla degli atti prodromici; alla giurisdizione ordinaria spetta la cognizione sulle questioni di legittimità formale dell’atto esecutivo come tale (a prescindere dalla esistenza o dalla validità della notifica degli atti ad esso prodromici) nonché sui fatti incidenti in senso sostanziale sulla pretesa tributaria, successivi all’epoca della valida notifica della cartella esattoriale o dell’intimazione di pagamento o successivi, in ipotesi di omissione, inesistenza o nullità di detta notifica, all’atto esecutivo cha abbia assunto la funzione di mezzo di conoscenza della cartella o dell’intimazione 

RITENUTO CHE 

1. Con sentenza n. 1907/2021, depositata il 22/12/2021, la Corte d’appello di L’Aquila, nel giudizio di opposizione proposto, ai sensi dell’art. 615 c.p.c., da Angelo Antonio Torrelli, avvocato, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, diretto a far accertare la nullità dell’atto di intimazione di pagamento di euro 15,348,95, notificato al professionista il 20/9/2029 e preceduto da un avviso di accertamento (Irpef, Iva, Irap e relative sanzioni) annullato, in sede di gravame del contribuente, dalla Commissione tributaria regionale di L’Aquila, con sentenza 327/2/2019, ha integralmente confermato la pronuncia di primo grado, del Tribunale di L’Aquila, che aveva dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, in favore del giudice tributario, sul rilievo che l’atto impugnato “individuava a titolo di causa petendi <<imposte, interessi e sanzioni dovute a seguito della sentenza n. 327/19con riguardo all’avviso di accertamento TA-3010702401 per l’anno 2012>>” e non “spese legali, come sostenuto dall’opponente”, per cui “aveva ad oggetto la stessa sussistenza del potere impositivo di imposte e sanzioni, quindi un contenuto riservato alla giurisdizione esclusiva del giudice tributario”.

2. Ha osservato la Corte d’appello che “la giurisdizione va valutata sulla base della domanda, a prescindere dalla sua fondatezza, sebbene (…) debba tenersi conto del petitum sostanziale” e che, nel caso di specie, “l’opponete ha impugnato un atto impositivo, emesso sul presupposto della ritenuta debenza degli specifici tributi (…) sul presupposto che la commissione tributaria avesse confermato l’avviso di accertamento a suo tempo inviato, rigettando il ricorso del contribuente”, per cui il petitum sostanziale (…) atteneva proprio alla sussistenza o meno del credito erariale”.

3. A supporto della decisione il giudice di secondo grado ha richiamato, tra l’altro, i principi espressi da questa Corte di legittimità (Cass. Sez. Un., n. 7822/2020) in ordine al discrimine tra giurisdizione tributaria e giurisdizione ordinaria relativamente controversie su atti di riscossione coattiva di entrate aventi natura tributaria.

4. In merito alla sussistenza dei presupposti di cui all’art. 96, comma 3, c.p.c., infine, ha osservato che “fin dal primo grado di giudizio l’amministrazione finanziaria ha documentato (vds. doc. 3 in fasc. telematico di primo grado) di aver provveduto con provvedimento notificato all’interessato a mezzo pec l’8/10/2019 ad annullare in autotutela l’atto impositivo opposto” ragion per cui “l’appello è stato proposto nella evidente consapevolezza della sopravvenuta insussistenza della pretesa, nota alla parte fin dall’8/1072019”.

5. Avverso tale pronuncia il Torrelli propone ricorso per cassazione, deducendo sei motivi di censura.

6. L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo di censura, rubricato violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2. d.lgs. n. 546 del 1992, nonché dei principi in tema di riparto di giurisdizione tra giudice tributario e giudice ordinario, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 c.p.c., il ricorrente deduce che il giudice di appello ha impropriamente applicato, nella fattispecie per cui è causa, gli arresti giurisprudenziali richiamati in sentenza atteso che l’intimazione di pagamento di cui all’art. 29, comma 1, d. l. n. 78 del 2010, non ha natura di atto impositivo, trattandosi di mera comunicazione amministrativa del debito inevaso, con gli effetti propri dell’atto di precetto, per cui l’unica impugnazione proponibile è la opposizione all’esecuzione ex 615 c.p.c., contestando il diritto a procedere alla minacciata esecuzione per insussistenza del debito tributario.

2. Con il secondo motivo, rubricato anomalia motivazionale, illogicità e contraddittorietà della motivazione, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 4 c.p.c., deduce che il giudice di appello ha ritenuto, erroneamente, di individuare il petitum sostanziale nell’ambito della contestazione della sussistenza del credito tributario recato dalla impugnata intimazione di pagamento senza considerare che il giudice tributario si era già pronunciato sulla pretesa azionata dall’Agenzia delle entrate, con l’annullamento dell’avviso di accertamento, e che l’intimazione di pagamento non ha natura di nuovo atto impositivo.

3. Con il terzo motivo, rubricato anomalia motivazionale, ricostruzione della fattispecie illogica e contraddittorietà, in relazione all’art. 360, comma primo, 4 c.p.c., deduce che il giudice di appello ha ritenuto sussistente la colpa grave dell’appellante condannandolo, ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c., al pagamento dell’importo di euro 1.885,00, pari alla metà delle spese di lite liquidate, a titolo di pena pecuniaria, configurandosi un’ipotesi di abuso processuale, senza considerare che il gravame era stato proposto per la riforma della sentenza di primo grado che aveva illegittimamente dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario e condannato l’opponente al pagamento delle spese di giudizio, ancorché virtualmente vittorioso nel merito, per cui la proposizione dell’appello era l’unico modo per porre rimedio a siffatta ingiusta decisione.

4. Con il quarto motivo, rubricato carenza di attribuzione, violazione dell’art. 96, comma 3, c.p.c., in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 e n. 4 c.p.c., deduce che il giudice di appello non ha considerato che la Cancelleria della Corte d’Appello di L’Aquila aveva invitato l’appellante al pagamento dell’importo (euro 1.885,00) di cui alla condanna per responsabilità aggravata, da intendersi semmai pronunciata a favore della controparte.

5. Con il quinto motivo, rubricato violazione o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 p.c., in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 e n. 4 c.p.c., deduce che il giudice di appello avrebbe dovuto tenere conto del fatto che l’Amministrazione finanziaria aveva dato origine al contenzioso, dapprima, con la notifica di un avviso di accertamento illegittimo, non a caso oggetto di annullamento in via giudiziale, e poi con la notifica dell’illegittima intimazione di pagamento, oggetto d’annullamento in autotutela, per cui l’opponente doveva ritenersi vincitore virtuale nel merito, con conseguente compensazione delle spese processuali per reciproca soccombenza.

6. Con il sesto motivo, rubricato violazione dell’art. 13, comma 1 quater, p.r. n. 115 del 2002, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 c.p.c., deduce che il giudice di appello, stante l’intervenuto annullamento in via di autotutela dell’intimazione di pagamento, non poteva condannare l’appellante al pagamento del doppio contributo unificato.

7. Le prime due censure, scrutinabili congiuntamente in quanto strettamente connesse, sono infondate e non meritano accoglimento.

8. Giova premettere che il ricorrente non censura in Cassazione la mancata rilevazione, da parte del giudice di merito, della “cessazione della materia del contendere”, riconducibile tra le fattispecie di estinzione del giudizio (Cass. Sez. Un. n. 18956/2003; n. 34470/2019), per avere l’Amministrazione finanziaria, come evidenziato dalla CTR dell’Abruzzo, “provveduto con provvedimento notificato all’interessato a mezzo pec l’8/1072019 ad annullare in autotutela l’atto impositivo opposto”.

8. Poco importa, quindi, che l’impugnata intimazione di pagamento sia stata annullata, in autotutela, dall’Agenzia delle Entrate, “a seguito dell’opposizione” proposta dall’odierno ricorrente.

9. Dall’esposizione del primo motivo emerge chiaramente che la critica rivolta alla impugnata sentenza concerne la ricostruzione del tenore della domanda in funzione della sua conseguente qualificazione, ai fini della individuazione della giurisdizione, in quanto affetta da asseriti errori del giudice di merito che si risolvono “in un’erronea applicazione delle norme regolatrici della giurisdizione e, dunque, sono riconducibili ai <<motivi attinenti alla giurisdizione>> cui allude il paradigma del 1 dell’art. 360 c.p.c.” (Cass. Sez. Un., n. 1513/2016).

10. Tanto premesso, il giudizio promosso innanzi al Tribunale di L’Aquila, ai sensi dell’art. 615, comma 1, c.p.c., appare obiettivamente incentrato sulla contestazione del diritto dell’Agenzia delle Entrate di procedere all’esecuzione forzata per il recupero di un credito tributario, quello recato dalla intimazione di pagamento notificata il 20/9/2019 al contribuente, insussistente per effetto della pronuncia del giudice tributario (sentenza n. 327/2/2019 della Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo) di annullamento del prodromico avviso di accertamento; in tal senso si era espresso anche il giudice di primo grado.

11. Il giudice di appello ha rilevato, tra l’altro, che “(l)’avviso impugnato, allegato agli atti da parte attrice, individua a titolo di causa petendi <<imposte, interessi e sanzioni dovute a seguito della sentenza numero 327/19 con riguardo all’avviso di accertamento TA- 3010702401 per l’anno 2012>>” e che “(l)’opposizione, quindi, non riguardava le spese legali come sostenuto dall’opponente, ma aveva ad oggetto la stessa sussistenza del potere impositivo di imposte e sanzioni (…) contenuto riservato alla giurisdizione esclusiva del giudice tributario”.

12. Sostiene l’odierno ricorrente, con il secondo motivo, che la controversia appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario, essendosi il giudice tributario già pronunciato sul titolo della pretesa azionata, stante l’intervenuto annullamento del prodromico avviso di accertamento, giusta sentenza n. 327/2/2019 della Commissione tributaria regionale di L’Aquila, ed assume, altresì, che l’intimazione di pagamento ha natura non di atto impositivo ma di mera “comunicazione di conferma della stessa imposizione già pretesa con l’avviso di accertamento”, donde l’improponibilità di un nuovo ricorso innanzi al giudice tributario, “dovendo trovare nella specie applicazione il principio del <<ne bis in idem>>”.

13. E’ appena il caso di osservare, al riguardo, che i giudizi, l’uno avente per oggetto l’impugnazione di un avviso di accertamento e l’altro una intimazione di pagamento, hanno petitum e causa petendi differenti, come differenti possono essere i vizi che affliggono l’uno o l’altro atto per cui, in disparte il profilo concernente la mancanza di una concreta verifica della definitività, nei termini stabiliti dall’art. 324 c.p.c., della sentenza emessa dalla CTR dell’Abruzzo, le deduzioni difensive del ricorrente si appalesano non condivisibili in quanto basate su una erronea e falsa applicazione del principio <<ne bis in idem>>.

14. Il problema del riparto di giurisdizione, come già detto, è stato posto in relazione alla soluzione della questione concernente la qualificazione della domanda proposta dal Torrelli, atteso che la Corte d’Appello di L’Aquila ha integralmente confermato la pronuncia di primo grado, emessa dal Tribunale di L’Aquila, che aveva dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in favore del giudice tributario, ai sensi dell’art. 2, d.lgs. n. 546 del 1992, escludendo l’opposizione all’esecuzione quale rimedio esperibile rispetto ad una esecuzione non ancora iniziata.

15. La Corte d’Appello, correttamente, ha ricondotto l’impugnazione dell’intimazione di pagamento, avuto riguardo al petitum sostanziale della domanda, nell’alveo delle controversie in cui si discute della sussistenza del preteso credito erariale, essendo precipuo interesse del ricorrente quello di negare la qualità di debitore, non trattandosi di atto dell’esecuzione forzata, la cui cognizione è demandata al giudice ordinario, ma di atto impugnabile davanti alle commissioni

16. Non è decisivo, ai fini qui considerati, l’invio al contribuente di un avviso contenente l’intimazione di pagamento, adempimento preliminare imposto dal d.pr. n. 602 del 1973, art. 52, comma 2, nel caso di espropriazione forzata non iniziata entro un anno dalla notifica della cartella di pagamento.

17. L’iniziativa riscossiva adottata dall’Amministrazione finanziaria fa seguito alla decisione della Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo e si basa sull’atto impositivo in quel giudizio impugnato, nel convincimento, ancorché erroneo, che il giudizio si fosse concluso con il rigetto dell’originario ricorso del contribuente, donde l’emissione dell’intimazione di pagamento oggetto di causa, quale atto espressivo della pretesa tributaria fatta valere dall’Ufficio.

18. In tema di controversie su atti di riscossione coattiva di entrate di natura tributaria, queste Sezioni Unite hanno reiteratamente affermato che “il discrimine tra giurisdizione tributaria e giurisdizione ordinaria va così individuato: alla giurisdizione tributaria spetta la cognizione sui fatti incidenti sulla pretesa tributaria (inclusi i fatti costitutivi, modificativi od impeditivi di essa in senso sostanziale) che si assumano verificati fino alla notificazione della cartella esattoriale o dell’intimazione di pagamento, se validamente avvenute, o fino al momento dell’atto esecutivo, in caso di notificazione omessa, inesistente o nulla degli atti prodromici; alla giurisdizione ordinaria spetta la cognizione sulle questioni di legittimità formale dell’atto esecutivo come tale (a prescindere dalla esistenza o dalla validità della notifica degli atti ad esso prodromici) nonché sui fatti incidenti in senso sostanziale sulla pretesa tributaria, successivi all’epoca della valida notifica della cartella esattoriale o dell’intimazione di pagamento o successivi, in ipotesi di omissione, inesistenza o nullità di detta notifica, all’atto esecutivo cha abbia assunto la funzione di mezzo di conoscenza della cartella o dell’intimazione (Cass. Sez. Un., n. 21642/2021 che richiama Cass. Sez. Un., n. 7822/2022; Sez. Un., n. 16986/2022 Conti; Sez. Un., n. 8465/2022).

19. Richiamati i suesposti principi, è appena il caso di aggiungere che le contestazioni dell’odierno ricorrente si riferiscono ad atti anteriori all’inizio della esecuzione forzata tributaria, esclusi dalla portata della dichiarazione di illegittimità costituzionale invocata in ricorso e, come di recente ha osservato questa Corte (Cass. n. 7593/2022), ciò “perché, sia con riguardo alle contestazioni attinenti al diritto di procedere ad esecuzione forzata, sia con riguardo a quelle attinenti alla regolarità formale ed alla notificazione del titolo esecutivo, detta tutela si svolge in realtà proprio in sede di giurisdizione tributaria (cfr. specificamente sul punto il paragrafo 10 della sentenza n. 114 del 2018 della Corte Costituzionale)”.

20. Non pare potersi revocare in dubbio che la questione della insussistenza del preteso credito tributario, sollevata dall’opponente in ragione dell’intervenuto pronunciamento favorevole della Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, attiene ad una vicenda maturata in  epoca  antecedente  la  notifica  dell’intimazione  di pagamento e che, in ogni caso, non riguarda gli effetti a valle successivi alla notificazione della stessa.

20. Ne consegue la giurisdizione del giudice tributario.

21. La terza censura va disattesa.

22. Nella specie, la Corte d’Appello non trascura di dare conto delle ragioni della condanna dell’allora appellante per responsabilità aggravata, ex 96, comma 3, c.p.c., aggiunto dalla l. n. 69 del 2009.

23. Si legge, infatti, nella motivazione dell’impugnata sentenza che “l’appello è stato proposto nella evidente consapevolezza della sopravvenuta insussistenza della pretesa, nota alla parte fin dall’8/1072019 (si noti che in questo parte l’avvocato Torrelli è difeso da sé stesso, quindi parte e difensore coincidono). Ha insistito ad impugnare la sussistenza della giurisdizione ordinaria pur avendo impugnato un atto impositivo, quale l’intimazione di pagamento per tributi e sanzioni”.

24. Il comportamento del ricorrente è stato giudicato contrario alla buona fede, caratterizzato dalla colpa grave e non proporzionato all’utilità conseguibile, com’è dato desumersi, in termini oggettivi, dagli atti del processo e dalle stesse condotte processuali della parte, dapprima, opponente e, quindi, appellante.

25. La Corte Costituzionale (sentenza n. 139/2019), nel delineare la cornice entro cui si inserisce la misura in esame ha osservato che: “il contrasto dell’abuso del processo, sanzionato, in particolare, con la condanna della parte soccombente a favore della parte vittoriosa al pagamento di una somma equitativamente determinata dal giudice. Questa obbligazione, che si affianca al regime del risarcimento del danno da lite temeraria, ha natura sanzionatoria dell’abuso del processo, commesso dalla parte soccombente, non disgiunta da una funzione indennitaria a favore della parte vittoriosa (sentenza n. 152 del 2016). Ciò perché l’attribuzione patrimoniale – a differenza di varie altre norme del codice di procedura civile che sanzionano con pene pecuniarie specifiche ipotesi di abuso del processo (…) – è riconosciuta proprio in favore della parte vittoriosa, al di là del danno risarcibile per lite temeraria, e non già – come si sarebbe portati a ritenere – in favore dell’Erario, benché sia anche l’amministrazione della giustizia a subire un pregiudizio come disfunzione e intralcio al suo buon andamento”. (v. Cass., n. 26545/2021).

26. La quarta censura va dichiarata inammissibile.

27. Il ricorrente si duole del fatto che la Cancelleria della Corte d’Appello di L’Aquila avrebbe invitato l’allora appellante al pagamento dell’importo (euro 1.885,00) di cui alla condanna per responsabilità aggravata, da intendersi semmai pronunciata a favore della controparte e non dell’Erario.

28. Osservano queste Sezioni Unite che l’espressione “pena pecuniaria” che accompagna, nel dispositivo della sentenza di secondo grado, la condanna del soccombente, non è oggettivamente sufficiente a far ritenere violato l’art. 96, comma 3, c.p.c., né il ricorso per cassazione (art. 360 c.p.c.) può investire statuizioni differenti da quelle contenute nella sentenza del giudice d’appello.

29. La quinta censura va disattesa.

30. Si tratta di censura proposta in relazione alla dedotta omessa valutazione della soccombenza virtuale, ai fini del regolamento delle spese, che, tuttavia, non tiene conto del consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui, “in tema di condanna alle spese processuali, il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse e il suddetto criterio non può essere frazionato secondo l’esito delle varie fasi del giudizio ma va riferito unitariamente all’esito finale della lite, senza che rilevi che in qualche grado o fase del giudizio la parte poi soccombente abbia conseguito un esito a lei favorevole” ed ancora, sempre con riferimento al regolamento delle spese processuali, “il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, e ciò sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso degli altri presupposi previsti dall’art. 92 c.p.c.” (Cass. Sez. Un., n. 11453/2022; Cass., n. 18128/2020; n. 19613/2017 ed altre).

31. Inoltre, la doglianza non coglie nel segno neppure con riguardo alla facoltà di disporre la compensazione delle spese processuali tra le parti, rientrante nel potere discrezionale del giudice di merito, per cui questi non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione (Cass. Sez. Un., n. 14989/2005; Cass., n. 18173/2008; n. 2/09/2004, n. 17763/2004; n. 9840/1996).

32. Infine, in tema di spese processuali, l’identificazione della parte soccombente è rimessa al potere discrezionale del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità (Cass., n. 9631/2003; n. 4371/2000).

33. La sesta censura oggetto di ricorso deve essere dichiarata inammissibile.

34. Come è noto, il contributo unificato, che costituisce debito fiscale (Cass. Sez. Un., n. 9840/2011) ovvero “entrata tributaria erariale” (Cass. 27331/2015), spetta all’amministrazione finanziaria e non alle parti in causa del singolo giudizio, per cui “la declaratoria, ad opera del giudice della causa di impugnazione cui inerisce il contributo, della sussistenza dei presupposti per lo il raddoppio di esso in ragione dell’integrale rigetto, inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione stessa, non ha natura di condanna (come erroneamente afferma la ricorrente), né di fatto costitutivo del diritto al raddoppio, ma ha soltanto funzione di agevolazione dell’accertamento amministrativo, rispetto alla sussistenza dei presupposti processuali del raddoppio stesso; tale dichiarazione non impedisce, dunque, né all’amministrazione finanziaria di perseguire il raddoppio che ritenga dovuto nonostante la mancata dichiarazione, né al privato di contestare la sussistenza del diritto al raddoppio a fronte di una dichiarazione di tale presupposto da parte del giudice della causa e che egli ritenga erronea, il tutto nelle sedi e con i procedimenti amministrativi e giurisdizionali propri delle entrate tributarie; in sostanza la statuizione relativa al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, non riguardando l’oggetto del contendere tra le parti in causa, ha natura amministrativa” (Cass., n. 27131/2020; n. 15111/2018).

35. Il ricorso, in conclusione, va rigettato e le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

PQM 

La Corte, a Sezioni Unite, rigetta il ricorso. Dichiara la giurisdizione del Giudice Tributario. Condanna il ricorrente a rifondere, alla controricorrente, le spese del presente giudizio, che liquida nell’importo di euro 6.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.