Corte di Cassazione, ordinanza n. 40018 depositata il 14 dicembre 2021

motivazione apparente – regolamento delle spese processuali – ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento

ritenuto che:

dall’esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: l’Agenzia delle entrate aveva emesso un avviso di accertamento nei confronti di T.C. s.r.l., con il quale, relativamente all’anno di imposta 2004, aveva accertato una maggiore Ires, Irap e Iva, in conseguenza della omessa fatturazione del corrispettivo della vendita di un appartamento mediante atto notarile; avverso l’atto impositivo la società aveva proposto ricorso che era stato accolto dalla Commissione tributaria provinciale di Salerno; avverso la pronuncia del giudice di primo grado l’Agenzia delle entrate aveva proposto appello principale e la società appello incidentale (relativamente alla statuizione di compensazione delle spese di lite); la Commissione tributaria regionale della Campania, sezione staccata di Salerno, ha accolto l’appello principale e rigettato quello incidentale, in particolare ha ritenuto che: l’omessa fatturazione, accertata sulla scorta delle dichiarazioni della cessionaria di non avere ricevuto la fattura relativa al pagamento dell’immobile acquistato con atto pubblico, si basava su di un fatto certo, cioè l’avvenuta  stipulazione con atto pubblico della vendita e il ricevimento del corrispettivo pattuito; rispetto a tale elementi di prova certi, era priva di rilevanza la deduzione difensiva della società relativa alla presunta violazione consistente nell’asserita omessa notifica dell’invito a fornire chiarimenti, posto che, rispetto al fatto certo della stipula del contratto di vendita, era onere della società dare la prova di avere emesso la fattura e di avere ricompreso l’importo ricevuto nell’imponibile fiscale ai fini Ires, Irap e Iva; avverso la suddetta pronuncia la società ha quindi proposto ricorso per la cassazione affidato a quattro motivi di censura;

l’Agenzia delle entrate ha depositato atto denominato “di costituzione” con il quale ha dichiarato di costituirsi al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione;

considerato che:

con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione dell’art. 53, d.lgs. n. 546/1992, nonché dell’art. 342, cod. proc. civ., per non avere esaminato l’eccezione di inammissibilità dell’appello dell’ufficio per genericità dei motivi che facevano mero richiamo alle controdeduzioni esposte dinanzi al giudice di primo grado;

il motivo è infondato;

questa Corte ha precisato che, nel processo tributario, la sanzione di inammissibilità dell’appello per difetto di specificità dei motivi, prevista dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 1, deve essere interpretata restrittivamente, in conformità all’art. 14 preleggi, trattandosi di disposizione eccezionale che limita l’accesso alla giustizia, dovendosi consentire, ogni qual volta nell’atto sia comunque espressa la volontà di contestare la decisione di primo grado, l’effettività del sindacato sul merito dell’impugnazione (Cass. Civ., 23 aprile 2021, n. 10864; Cass. Civ., 21 luglio 2020, n. 15519; Cass. Civ., 15 gennaio 2019, n. 707);

nel caso in esame, dalla sentenza impugnata, ed in particolare dalla parte narrativa di essa, è dato evincere che l’appellante aveva compiutamente esposto i motivi di critica alla sentenza del giudice di primo grado, tanto che il giudice del gravame, dopo avere descritto le ragioni di contestazione, ha statuito sui medesimi, implicitamente rigettando, in tal modo, l’eccezione di inammissibilità proposta dalla ricorrente, della cui proposizione lo stesso giudice dà atto, a conferma della presa in considerazione e successiva implicita reiezione;

con il secondo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, nn. 3), 4) e 5), cod. proc. civ., per violazione dell’art. 36, d.lgs. n. 546/1992, dell’art. 132, cod. proc. civ., e dell’art. 111, Cost., per avere reso una motivazione apparente, essendo generica e priva di precisi riferimenti sia ai fatti rilevanti della causa e sia alle ragioni di diritto, con adeguata rappresentazione critica dell’iter logico-giuridico seguito ai fini della decisione;

il motivo è infondato;

va premesso che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, si incorre nel vizio di violazione di legge di cui all’art. 36, cit., quando la motivazione addotta dal giudice è tale da non consentire “di comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l’iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato” (Cass. Civ., 25 febbraio 2014, n. 4448), venendo quindi meno alla finalità sua propria, che è quella di esternare un “ragionamento che, partendo da determinate premesse pervenga con un certo procedimento enunciativo”, logico e consequenziale, “a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendi” (Cass. Civ., 14 luglio 2021, n. 20019; v. anche Cass., sez. U, 3 novembre 2016, n. 22232 e la giurisprudenza ivi richiamata; Cass. Civ., 26 settembre 2018, n. 22949);

si è, inoltre, precisato che “ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento(Cass. Civ., 7 aprile 2017, n. 9105; Cass. Civ., 12 ottobre 2018, n. 25456);

con riferimento al caso di specie, il giudice del gravame, dopo avere esposto, in sede di svolgimento del processo, qual era la ragione della pretesa (cioè la contestazione della omessa fatturazione in relazione alla vendita di un appartamento) e su quali profili si era basata la pronuncia di accoglimento del giudice di primo grado, ha, poi, dato atto dei motivi di appello proposti dall’Agenzia delle entrate, essenzialmente basati sulla esistenza di elementi di prova certi a fondamento della pretesa nonché sulla regolarità della procedura seguita;

ciò precisato, il giudice del gravame, procedendo sulla base della ragione della pretesa, ha ritenuto che, nella fattispecie, vi era prova certa della omissione della fattura, come evincibile non solo dalla dichiarazione della cessionaria di non avere ricevuto alcuna fattura in conseguenza del pagamento per l’acquisto dell’immobile, ma, soprattutto, dal fatto in sé della avvenuta stipula della vendita con atto pubblico, con la conseguenza che “certa è l’operazione economica della compravendita e certo è il prezzo pagato dall’acquirente alla Società”;

inoltre, il giudice del gravame ha ritenuto di svalutare la contestazione difensiva della contribuente basata su di una “presunta violazione consistente nell’asserita omessa notificazione dell’invito a fornire chiarimenti’: posto che l’amministrazione finanziaria “era in possesso di dati certi che avrebbero potuto essere smentiti dalla produzione della copia della fattura emessa a fronte della cessione in questione”;

da quanto sopra rilevato, la pronuncia censurata ha reso evidente il percorso logico-giuridico seguito al fine di pervenire alla considerazione finale della legittimità della pretesa dell’amministrazione finanziaria, sicchè non è riscontrabile il vizio di motivazione apparente prospettato con il presente motivo di ricorso; con il terzo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, nn. 3) e 5), cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione degli artt. 39, 40 e 60, d.P.R. n. 600/1973, nonché dell’art. 54, d.P.R. n. 633/1972, in quanto: l’accertamento non era adeguatamente motivato, essendosi fondato su dì un rinvio alle dichiarazioni rese dal terzo acquirente, nonostante il verbale delle dichiarazioni non era stato portato a conoscenza della ricorrente; la pretesa impositiva era basata su di un accertamento induttivo al di fuori delle previsioni di legge, in particolare non era basata su elementi gravi, precisi e concordanti, ma solo sulla presunzione proveniente dalla dichiarazione del terzo; non vi era stata una regolare notifica dell’invito di esibizione della documentazione;

il motivo è inammissibile;

lo stesso, invero, risulta contenere delle ragioni di doglianza avverso l’avviso di accertamento, senza, tuttavia, specificare prospettare che le suddette questioni erano state comunque proposte dinanzi al giudice di primo grado e ribadite in appello e senza, inoltre, tenere conto delle ragioni della decisione del giudice del gravame che, come detto, ha incentrato la decisione sulla considerazione che, nella vicenda in esame, era fatto certo l’avvenuta stipula del contratto di vendita mediante rogito notarile e ricevimento del corrispettivo, con conseguente obbligo per la contribuente di emissione della fattura e la conseguente contestazione del maggior reddito ai fini Irap, Ires e Iva, tanto più che, in questo contesto, era onere della contribuente provare l’emissione della fattura;

rispetto alle ragioni della decisione, come sopra illustrare, il presente motivo, come detto, non si misura in alcun modo, risultando, pertanto, inammissibile la ragione di censura proposta;

con il quarto motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione dell’art. 15, d.lgs. n. 546/1992, per avere rigettato, in modo apparente e contraddittorio, il motivo di appello incidentale con il quale la contribuente aveva contestato la statuizione del giudice di primo grado che, pur avendo accolto il ricorso della contribuente per illegittimità della pretesa dell’amministrazione finanziaria, aveva ritenuto di compensare le spese di lite;

il motivo è inammissibile;

invero, parte ricorrente difetta di interesse, tenuto conto del fatto che se, da un lato, è vero che il giudice del gravame ha ritenuta non fondata la questione di illegittimità della pronuncia del giudice di primo grado di compensazione delle spese di lite, d’altro lato, viene fatta applicazione del principio secondo cui (vd. Cass. Civ., 18 marzo 2014, n. 6259) il giudice di appello, che riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata, in difetto di una esplicita rinuncia della parte risultata poi vittoriosa deve procedere, anche d’ufficio, ad un nuovo completo regolamento  delle spese processuali, il cui onere va attribuito e ripartito tenendo presente l’esito complessivo dell’intera lite, ciò perché, per l’effetto devolutivo dell’appello, la valutazione della soccombenza opera in base ad un criterio unitario e globale; proprio in applicazione del suddetto principio, il giudice del gravame, avendo riformato la sentenza del giudice di primo grado in senso sfavorevole alla contribuente, ha ritenuto di porre a carico della medesima anche le spese di lite relative al suddetto giudizio, sicchè, infine, è questa la statuizione definita presa dal giudice del gravame in ordine alla questione del pagamento delle spese di lite in esame per la quale, sotto il profilo motivazionale, la sentenza ora censurata ha fatto espresso richiamo al principio della soccombenza;

in conclusione, sono infondati il primo e secondo motivo di ricorso, inammissibili il terzo ed il quarto, con consegue rigetto;

nulla sulle spese, attesa la mancata costituzione della intimata;

si dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 115/2002, della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso.

dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 115/2002, della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.