Corte di Cassazione, ordinanza n. 19784 depositata l’ 11 luglio 2023
il vizio di motivazione meramente apparente della sentenza ricorre allorquando il giudice, in violazione di un preciso obbligo di legge, costituzionalmente imposto omette di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare o illustrare le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, e cioè di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata
Rilevato che:
1. D.G. impugnava un avviso di liquidazione dell’imposta di registro e d’irrogazione delle sanzioni, col quale l’Agenzia delle entrate aveva richiesto il pagamento dell’imposta in relazione alla registrazione sia del decreto ingiuntivo ottenuto dal contribuente nei confronti di M.A. e P.N., sia della scrittura privata di riconoscimento del debito che il decreto ingiuntivo enunciava ed aveva applicato in entrambi i casi l’aliquota del 3% (irrogando altresì la sanzione del 120%, dovendo la scrittura essere registrata entro un termine fisso); aliquota che, quanto alla scrittura privata, era stata ragguagliata all’importo di euro 360.000,00 indicato nella stessa.
Il contribuente impugnava l’avviso limitatamente all’imposta richiesta per la ricognizione di debito e per il relativo provvedimento sanzionatorio.
2. La Commissione tributaria provinciale di Caserta accoglieva parzialmente il ricorso, reputando che la ricognizione di debito andasse tassata sempre in misura fissa, trattandosi di un atto con effetto dichiarativo (in quanto tale inidoneo a determinare alcuna variazione patrimoniale); conseguenzialmente demandava all’Agenzia delle Entrate anche la rideterminazione delle sanzioni.
3. Sulla impugnazione dell’Agenzia delle Entrate, la CTR Campania accoglieva parzialmente il gravame, ritenendo che, trattandosi nella specie di una ricognizione di debito titolata (che si riferiva agli importi dovuti dal Piatto e dal Marino a D.G. per lavori da lui eseguiti in loro favore, costituiti dalla fornitura e posa in opera di infissi in alluminio su diversi cantieri), andava applicato il principio di alternatività tra Iva e registro, perché l’operazione sottostante era soggetta ad Iva; per quanto concerneva le sanzioni, invece, andava applicato l’indirizzo della giurisprudenza di legittimità per il quale l’atto di ricognizione del debito, contenuto in una scrittura privata non autenticata, era soggetto a registrazione entro un termine fisso, sicchè doveva essere applicata la sanzione nella misura del 120% dell’imposta dovuta.
4. Avverso la detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione D.G.sulla base di due motivi. L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
Considerato che:
1. Preliminarmente, va disposta la riunione al presente giudizio di quello riportante il n. 135/2022, atteso che i rispettivi ricorsi sono identici.
2. Con il primo motivo il ricorrente deduce la nullità della sentenza per manifesta insufficienza e contraddittorietà della motivazione per violazione degli 36 dPR n. 546/1992 e 132 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c., con riferimento alla pronuncia resa dalla CTR sulle sanzioni.
2.1 Il motivo è infondato.
E’ ormai noto come le Sezioni Unite (sentenza n. 8053 del 2014) abbiano fornito una chiave di lettura della riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito in legge 7 agosto 2012, n. 134, nel senso di una riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione, con conseguente denunciabilità in cassazione della sola “anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella ‘mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella ‘motivazione apparente’, nel ‘contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili’ e nella ‘motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile’, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di ‘sufficienza’ della motivazione. E’ stato altresì precisato che (in termini, Cass. n. 2876 del 2017) che il vizio di motivazione meramente apparente della sentenza ricorre allorquando il giudice, in violazione di un preciso obbligo di legge, costituzionalmente imposto (Cost., art. 111, comma 6), e cioè dell’art. 132 c.p.c., comma 6, n. 4, (in materia di processo civile ordinario) e dell’omologo d.lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, (in materia di processo tributario), omette di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare o illustrare le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, e cioè di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata (cfr. Cass. nn. 2876/2017 e 1461/2018).
La motivazione resa dalla CTR non si colloca al di sotto del cd. minimo costituzionale, atteso che ha fatto corretta applicazione del principio secondo cui, in tema di imposta di registro, la ricognizione di debito, quale scrittura privata non autenticata, pur non espressamente inserita né nella prima, né nella seconda parte della tariffa di cui al d.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, né necessariamente ricompresa nel disposto di cui all’art. 4, della parte seconda, che dispone la registrazione in caso d’uso delle “scritture private non autenticate” qualora non abbiano contenuto patrimoniale, è ugualmente soggetta a registrazione in termine fisso in forza dell’art. 9, parte prima, del d.P.R. n. 131 del 1986, che ha valore di previsione generale, trattandosi di atto avente per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale (Sez. 5, Sentenza n. 24107 del 12/11/2014). Partendo da questo presupposto, la CTR ha ritenuto che, in difetto di registrazione, andasse applicata la sanzione, nella misura del 120% (dovuta proprio per l’ipotesi della omessa registrazione del contratto) dell’imposta dovuta.
In ogni caso, la censura non coglie nel segno, in quanto presuppone che, essendosi al cospetto di una ricognizione di debito titolata, la scrittura privata non fosse soggetta all’imposta di registro, cosicché, venendo meno l’imposta “principale”, come logico corollario non potrebbe applicarsi alcuna sanzione. Tuttavia, come è noto, il principio di alternatività Iva/registro sancisce l’obbligo di assoggettare a tassazione un determinato atto soggetto ad Iva in misura fissa, anziché in misura percentuale. In particolare, l’art. 40 dPR n. 131/1986 stabilisce che, per gli atti relativi a cessioni di beni e prestazioni di servizi soggette all’Iva (nel caso di specie,
fornitura e posa in opera di infissi in alluminio su diversi cantieri), l’imposta di registro si applica in misura fissa (e non con le aliquote previste dalla tariffa).
3. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la “illegittimità della sentenza nella parte relativa alla compensazione delle spese legali”, in quanto la CTR aveva compensato per intero le spese processuali nonostante l’Ufficio fosse risultato soccombente in toto in primo grado e parzialmente in grado d’appello.
3.1 Il motivo è infondato.
Anche, infatti, a voler prescindere dalla mancata indicazione, in palese violazione dell’art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c., delle norme asseritamente violate, trova applicazione il principio consolidato secondo cui il potere del giudice d’appello di procedere d’ufficio ad un nuovo regolamento delle spese processuali, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, sussiste in caso di riforma in tutto o in parte (come nel caso di specie) della sentenza impugnata, in quanto il relativo onere deve essere attribuito e ripartito in relazione all’esito complessivo della lite, laddove, in caso di conferma della decisione impugnata la decisione sulle spese può essere dal giudice del gravame modificata soltanto se il relativo capo della decisione abbia costituito oggetto di specifico motivo d’impugnazione.
Del resto, nel disporre la compensazione integrale delle spese relative ai gradi di merito, la CTR non ha violato l’altro principio secondo cui nel regime normativo posteriore alle modifiche introdotte all’art. 91 c.p.c. dalla l. n. 69 del 2009, in caso di accoglimento parziale della domanda il giudice può, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., compensare in tutto o in parte le spese sostenute dalla parte vittoriosa, ma questa non può essere condannata neppure parzialmente a rifondere le spese della controparte, nonostante l’esistenza di una soccombenza reciproca per la parte di domanda rigettata o per le altre domande respinte, poiché tale condanna è consentita dall’ordinamento solo per l’ipotesi eccezionale di accoglimento della domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa.
Nella fattispecie in esame, mentre la CTP ha accolto parzialmente l’opposizione del contribuente, la CTR ha accolto del pari in parte l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate, sicchè, essendosi in presenza di una soccombenza reciproca, la compensazione integrale si giustifica ampiamente.
4. Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso non merita accoglimento. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
In considerazione del fatto che l’impugnazione è unica e c’è stata una mera duplicazione di iscrizione a ruolo, il raddoppio del contributo unificato conseguente al rigetto (<<Quando l’impugnazione, anche incidentale, è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1-bis. Il giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso.>>; d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater) è dovuto un’unica volta.
P.Q.M.
La Corte, previa loro riunione, rigetta i ricorsi nn. 134 e 135 del 2022 e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi euro 2.500,00, oltre spese prenotate a debito;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
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