Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Lombardia, sezione n. 4, sentenza n. 901 depositata il 7 marzo 2023

Il criterio di determinazione della base imponibile ai fini IRAP è rappresentato dal valore aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate

FATTO E DIRITTO

L’Agenzia delle Entrate -Direzione Provinciale I di Milano- propone appello avverso la sentenza n. 3199/21 pronunciata il 6.7.2021 e depositata il 16.7.2021 dalla Commissione Tributaria Provinciale di Milano che ha accolto il ricorso della contribuente Txxxx Lxxxx, di professione promotore finanziario, diretto ad ottenere il rimborso degli importi versati a titolo di IRAP per gli anni 2015, 2016 e 2017 pari a complessivi euro 27.398,00.

L’appellante deduce omessa valutazione degli elementi emersi nel corso del giudizio con violazione e falsa applicazione dell’art. 2 D.Lgs. n. 446/1997.

Conclude per la riforma della sentenza con conseguente dichiarazione di legittimità del silenzio­ rifiuto opposto dall’Ufficio alle istanze di rimborso IRAP e con rifusione delle spese del doppio grado.

La contribuente, costituitasi in giudizio, ha ribadito quanto già evidenziato nel ricorso introduttivo in merito alla insussistenza del presupposto impositivo IRAP ed ha concluso per la conferma della sentenza impugnata con condanna dell’appellante al pagamento delle spese processuali.

In data 12.1.2023 la contribuente ha depositato documentazione con memoria illustrativa replicando alle deduzioni dell’Agenzia e richiamando le pregresse conclusioni.

All’esito dell’odierna udienza tenutasi in forma pubblica, previa discussione, l’appello è stato posto in decisione.

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Tanto premesso reputa questa Corte che la sentenza di primo grado debba trovare conferma.

Come è noto, l’IRAP è un’imposta reale che ha come presupposto l’esercizio abituale di un’attività diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi e come base imponibile il valore aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate (art. 2 del D.Lgs. n. 446/1997); in ogni caso detto presupposto sussiste qualora si tratti di attività esercitata dalle società e dagli enti, compresi gli organi e le amministrazioni dello Stato.

Con riguardo al presupposto IRAP, la Corte Cassazione (S.U. sentenza n. 9451 del 2016) ha affermato il principio ormai consolidato alla stregua del quale “il requisito dell’autonoma organizzazione -previsto dall’art. 2 del d.lgs. 15 settembre 1997, n. 446- il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive“.

Trattasi di principio ribadito da svariate pronunce successive (vedi, ex plurimis, Cass. n. 11140/20121; Cass. n. 2196/2020; Cass, n. 9811/2019; Cass. n. 9786/2018).

Vertendosi poi in tema di rimborso di imposta che si assume non dovuta, grava sul contribuente l’onere di provare l’assenza del presupposto impositivo (vedi Cass. S.U. n. 12111/2009; Cass. n. 2717/2016; Cass. n. 9325/2017).

Detto onere risulta nella specie assolto non emergendo elementi tali da indurre a ritenere la sussistenza di una struttura partecipata dalla contribuente che ne abbia incrementato e potenziato l’attività.

L’attività svolta (consulente finanziario), in presenza di una collaboratrice a tempo parziale e con utilizzazione di contenuti beni strumentali, deve ritenersi imprescindibilmente legata alla persona della titolare e deve pertanto escludersi la sussistenza di una struttura organizzativa esterna suscettibile di creare valore aggiunto rispetto alla mera attività personale esercitata attraverso gli strumenti indispensabili e necessari per l’attività medesima.

Si ravvisa in proposito condivisibile la valutazione dei primi giudici in merito; 1) al valore non eccessivo degli investimenti in immobilizzazioni materiali (autovettura del valore di euro 31.500,00) trattandosi di veicolo di medie dimensioni comunque coerente con l’attività di consulente finanziario; 2) all’investimento in arredi (pari ad euro 10.000,00) da considerare assolutamente nella norma; 3) alla presenza di una dipendente a tempo parziale di limitato livello operativo stante il modesto compenso percepito.

Per quanto riguarda i beni strumentali gli importi indicati dai primi giudici risultano dai libri cespiti allegati e non formano comunque oggetto di contestazione, essendo in ogni caso da condividere la valutazione di coerenza.

Per quanto riguarda l’apporto della dipendente è stata allegata alla recente memoria la documentazione relativa all’assunzione (vedi allegati 1, 2 e 4) ed alla retribuzione da cui risulta che trattasi di mansioni meramente esecutive (segretaria) svolte a tempo parziale (un massimo di tre ore al giorno, per cinque giorni alla settimana) con retribuzione modesta.

Sebbene i primi giudici, come è stato rilevato dall’Agenzia delle Entrate, non si siano soffermati sugli ulteriori elementi già indicati dalla medesima Agenzia nel grado pregresso e ripetuti in questo grado, non può ritenersi che li abbiano ignorati ma piuttosto che li abbiano valutati complessivamente inidonei ad avvalorare l’orientamento dell’Ufficio circa la sussistenza del presupposto impositivo.

Trattasi di convincimento condiviso da questa Corte.

Ed invero la contribuente esercita l’attività professionale nell’ambito della propria abitazione (via xxxx 31 in Mxxxx e l’utilizzo della postazione di xxxx xxxx xxxxx n.4, messa a disposizione della società mandante (canone di euro 6.000,00 annui) per i contatti con la clientela, non può ritenersi elemento di valore aggiuntivo non risultando, nell’ambito della postazione, un apporto di soggetti terzi, al di là della dipendente a tempo parziale di cui si è detto, o di beni idonei a determinare un incremento significativo.

Per quanto riguarda l’entità dei costi evidenziati dall’Agenzia, occorre in primo luogo richiamare l’orientamento della giurisprudenza di legittimità alla stregua del quale “In tema di IRAP l’elevato ammontare dei ricavi, dei compensi e delle spese, anche per beni strumentali, non integrano di per sé il presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione” (Cass. n. 8728/2018).

Più in particolare la Corte ha ritenuto che ” la sussistenza del requisito dell’autonoma organizzazione non può essere desunta dal valore assoluto dei compensi e dei costi e dal loro reciproco rapporto percentuale, atteso che, da un lato, i compensi elevati possono essere sintomo del mero valore ponderale specifico dell’attività esercitata, e, dall’altro, le spese consistenti possono derivare da costi strettamente afferenti all’aspetto personale (spese alberghiere o di rappresentanza, assicurazione per i rischi professionali o il carburante utilizzato per il veicolo strumentale) costituendo, così, un mero elemento passivo dell’attività professionale, non funzionale allo sviluppo della produttività e non correlato all’implementazione dell’aspetto organizzativo” (vedi Cass. n. 27898/2018 con riferimento ad attività di agente di commercio; in termini del tutto analoghi vedi Cass. n. 7652/2020 con riferimento ad attività di promotore finanziario monomandatario).

L’Agenzia appellante ha evidenziato la misura dei costi per i servizi relativi alle singole annualità (euro 40.946,00 per il 2015; euro 58.750,00 per il 2016; euro 48.087,00 per ilo 2017) valutandoli di consistente entità anche in percentuale della produzione netta (pari ad euro 210.957,00 nel 2015; ad euro 236.724,00 nel 2016; ad euro 254.842 nel 2017) e tali da superare il minimo previsto per lo svolgimento dell’attività.

Al di là di ogni valutazione circa la correttezza o meno della percentuale (pari quasi al 25%) calcolata dall’Agenzia (la contribuente ha ritenuto scorretto il criterio di conteggio dell’Agenzia pervenendo ad una determinazione variabile tra il 15 % ed il 19%) si osserva che i costi come sopra evidenziati, alla luce delle indicazioni emergenti dai conti economici prodotti dalla contribuente per le annualità in contestazione, risultano coerenti con la consistente misura della produzione e stante la loro natura (es: costi per le utenze, per il veicolo, per assicurazione, di viaggio, di rappresentanza quali omaggio, ecc.) compatibili con quelle rientranti nella normalità per la tipologia di attività esercitata e comunque non tali ad accrescere l’attività professionale.

Rimane infine da valutare quanto dedotto dall’appellante con riferimento alle risultanze (quadro A) degli studi di settore (già allegati in primo grado) limitatamente agli anni 2016 e 2017, risultanze che sono state contestate dalla contribuente.

In proposito l’Agenzia sottolinea che con riguardo al personale addetto all’attività risultano, oltre alla segretaria, due familiari che svolgerebbero per il 2016 il 100% del lavoro e per il 2017 il 75% del lavoro evidenziando che lo svolgimento “di una attività ausiliaria al commercio in forma di impresa familiare implica comunque la sussistenza di un’autonoma organizzazione indotta dalla collaborazione di familiari (Corte di Cassazione, sentenza 17 giugno 2016 n. 12616).

L’impresa familiare ipotizzata dall’Agenzia non trova tuttavia riscontro negli atti processuali.

Infatti dalla visura camerale della contribuente non risulta alcuna iscrizione di impresa familiare e dalla documentazione fiscale risulta che la contribuente è l’unica percettrice del reddito prodotto e quindi senza alcuna imputazione di reddito in capo a familiari.

Trattasi pertanto di argomento evanescente che non si pone in contrasto con quanto esposto in merito alla insussistenza del presupposto impositivo IRAP.

La sentenza impugnata deve essere pertanto confermata.

Le spese processuali del grado vanno poste a carico dell’Agenzia appellante e si liquidano complessivamente in euro 1.000,00 (mille), oltre oneri di legge.

P.Q.M.

La Corte, respinge l’appello dell’Ufficio Finanziario e per l’effetto conferma la sentenza impugnata. Condanna l’appellante Ufficio al pagamento delle spese processuali del grado liquidate complessivamente in euro 1.000,00, oltre oneri di legge.