La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 7801 depositata il 22 marzo 2024, intervenendo in tema opposizione ad un ordinanza ingiunzione, ha affermato che le dichiarazioni del lavoratore rese agli Ispettori sono sufficienti da sole a provare l’illecito nel caso in cui vengano confermate in sede giudiziale, in quanto il contenuto delle dichiarazioni rilasciate in sede ispettiva non è un atto assistito da fidefacienza.
Per cui, per gli Ermellini il giudice, ai fini del proprio convincimento, deve valutare la presenza di altri elementi e, comunque, deve motivare in modo specifico in merito alla valutazione di attendibilità delle dichiarazioni rese in sede ispettiva.
La vicenda ha riguardato una società a cui era stato notificata una ordinanza d’ingiunzione con cui la Direzione territoriale del lavoro chiedeva il pagamento della complessiva somma di € 44.432,00 per molteplici violazioni di legge relative alla posizione lavorativa di una collaboratrice. La società proponeva opposizione a tale atto. Il Tribunale adito accoglieva l’opposizione e annullava l’ordinanza ingiunzione. Avverso la sentenza di primo grado, il Ministero del lavoro – Direzione territoriale del lavoro proponeva appello. La Corte territoriale accoglieva l’appello. Avverso la sentenza della Corte territoriale la società proponeva ricorso in cassazione fondato su tre motivi.
I giudici di legittimità nel rigettare il ricorso della società confermava quanto affermato dalla Corte di Appello, che si rifaceva au un precedente della Suprema Corte, che i verbali redatti dai funzionari degli enti previdenziali o dagli ispettori del lavoro possono costituire prova sufficiente delle circostanze riferite dai lavoratori al pubblico ufficiale qualora il loro contenuto specifico oppure il concorso di altri elementi renda superfluo l’espletamento di altri mezzi istruttori (Cass. n. 3525/2005; Cass. n. 15702/2004; Cass. n. 9827/2000);
Inoltre, nella sentenza in commento, i giudici di piazza Cavour hanno, esaminando la questione dei termini per il deposito dei documenti relativi all’infrazione oggetto dell’ordinanza ingiunzione, ha ribadito che ” per il giudizio di opposizione previsto dall’art. 22 ss. L. n. 681/1989, il legislatore delinea uno schema atipico in materia di prove, consentendo al giudice di svolgere attività istruttorie a prescindere dall’iniziativa delle parti. Ne deriva che il termine di dieci giorni, fissato dal giudice nel rispetto dell’art. 23, co. 2, L. n. 689/1981, non presenta natura perentoria e comporta che la produzione tardiva dei documenti da parte dell’amministrazione resistente sia colpita da mera irregolarità (Cass. n. 13795/2006; Cass. n. 2149/2004; Cass. n. 15828/2002; Cass. n. 4931/2001; Cass. n. 1404/1999).
Data questa mera irregolarità, il documento è e resta idoneo ad integrare il materiale probatorio, sulla base del quale il giudice può legittimamente formare il proprio convincimento.
Il predetto principio è stato affermato da questa Corte non soltanto in relazione a sanzioni amministrative per violazione del codice della strada, ma anche in materia di sanzioni amministrative per violazione della normativa “antiriciclaggio” (Cass. 18/04/2018, n. 9545) ed anche con riferimento – ratione temporis – al termine previsto dall’art. 6, co. 8, d.lgs. n. 150/2011.
Infine, principio identico è stato altresì affermato da questa Corte con riguardo alle sanzioni amministrative irrogate dall’Autorità garante della privacy (Cass. ord. n. 25671/2018).
Quindi va ribadito il costante orientamento di questa Corte, secondo cui nel giudizio di opposizione ad ordinanza ingiunzione il termine per il deposito della documentazione strettamente connessa all’atto impugnato non è, in difetto di espressa previsione, perentorio, sicché al mancato rispetto dello stesso non consegue alcuna decadenza a carico della pubblica amministrazione. “