La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 29335 depositata il 23 ottobre 2023, intervenendo in tema di licenziamento illegittimo e risarcimento del danno esistenziale, ha ribadito che “… l’indennità spettante ex art. 18, comma quarto, legge n. 300 del 1970, al dipendente illegittimamente licenziato è destinata a risarcire il danno intrinsecamente connesso alla impossibilità materiale di eseguire la prestazione lavorativa. Sicché la previsione e la corresponsione di tale indennità non escludono che il lavoratore licenziato (prima o dopo la reintegra) possa avere subito danni ulteriori alla propria professionalità o alla propria immagine a causa del licenziamento o della mancata reintegrazione. …”
La vicenda ha riguardato un dipendente di una srl. Il dipendente venne licenziato con l’accusa di furto di beni aziendali. Il lavoratore impugnava il provvedimento di licenziamento. Il Tribunale adito decideva di ritenere il licenziamento illegittimo con la condanna, a carico del datore di lavoro, al risarcimento dei danni ex art 18 st. lav. e quella relativa ai danni professionali (per perdita di chance e di lesione di immagine). Avverso la decisione del Tribunale il datore di lavoro propose appello; il lavorato proponeva appello incidentale. La Corte di appello respinse l’appello principale e quello incidentale, confermando la sentenza impugnata. Per i giudici di appello il danno morale da licenziamento ingiurioso poteva essere risarcito solo qualora fossero state provate particolari forme o modalità offensive del recesso, le quali nel caso di specie non erano state dimostrate, nè potevano identificarsi con l’accusa di furto posta a base del licenziamento. Il lavoratore proponeva ricorso in cassazione fondato su quattro motivi. Il datore di lavoro depositava controricorso.
Gli Ermellini accolsero il primo ed il secondo motivo del ricorso, rigettarono il terzo e dichiaravano assorbito il quarto.
I giudici di legittimità precisano che “… la giurisprudenza di questa Corte, che nella parte in cui discorre di danni ulteriori rispetto a quelli inevitabilmente connessi alla mancata prestazione lavorativa, ne ammette la configurabilità all’unica condizione del rispetto dell’onere probatorio da parte del lavoratore (sentenza n. 10203 del 13/07/2002), senza che rilevi la collocazione temporale dei medesimi danni rispetto alla pronuncia della sentenza di reintegra.
Anche Cass. n. 8006/2014 non esclude che il lavoratore possa chiedere il risarcimento del danno ulteriore che gli sia derivato al licenziamento (come Cass. 14 aprile 2013 n. 9073 e Cass. 30 dicembre 2011 n. 30668). …”
Inoltre, i giudici di piazza Cavour, ribadiscono che “… in tema di risarcimento dei danni da licenziamento illegittimo, mentre in relazione alla misura del risarcimento dei pregiudizi economici che si configurano come ineliminabili e immancabili conseguenze dell’inattività lavorativa da licenziamento illegittimo, ai quali si riferisce l’indennità di cui all’art. 18, comma quarto, cit., incombe sul datore di lavoro l’onere di provare che nel corso della sospensione del rapporto lavorativo il lavoratore abbia eventualmente percepito emolumenti che non avrebbe percepito se non fosse stato licenziato; grava invece sul lavoratore l’onere di provare di avere subito danni alla propria professionalità e alla propria immagine ulteriori e diversi da quelli già indennizzati attraverso l’attribuzione della indennità risarcitoria commisurata alla retribuzione globale di fatto per il periodo intercorrente tra il licenziamento e la reintegrazione. …”
Pertanto, per il Supremo consesso, il “… problema è dunque di prova e non ontologico, posto che il risarcimento stabilito dall’art. 18 della l.300/70 non ha attinenza con gli altri danni, diversi dalla perdita della retribuzione globale di fatto, che il lavoratore deduce di aver subito, nel medesimo periodo di forzata inattività, sia patrimoniali che non patrimoniali, né in particolare con il danno alla professionalità – nei termini configurati dalla giurisprudenza di questa Corte – Cass. n. 24585 del 02/10/2019 – con l’unico onere di fornirne la prova.
[…]
Corte di cassazione con la sentenza n. 345/2015 ha già riconosciuto che oltre alla reintegra nel posto di lavoro il lavoratore ha diritto a risarcimento del danno sub specie di danno non patrimoniale ed in particolare di danno esistenziale. Il danno esistenziale, infatti, pur non integrando una autonoma categoria di pregiudizio, rientra nel danno non patrimoniale la cui liquidazione è il risultato di una valutazione equitativa ed unitaria basata su tutte le circostanze del caso concreto. …”
In conclusione, per la Suprema Corte nell’ipotesi di licenziamento per un’ingiusta accusa di furto di beni aziendali, il lavoratore reintegrato ed assolto penalmente, ha diritto anche al danno esistenziale subito.
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