CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 11 aprile 2022, n. 11638

Licenziamento collettivo – Settore aeronautico – Sussistenza di un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro – Codatorialità – Computo dell’indennità risarcitoria

Rilevato che

1. Il Tribunale di Tempio Pausania, accertata la sussistenza di un unico complesso aziendale fra M.F. s.p.a. (poi divenuta A.I. s.p.a.) e A.I. s.p.a. (poi divenuta A.I. Flee Management Company s.p.a.), ha dichiarato la illegittimità del licenziamento intimato all’attuale controricorrente all’esito della procedura di licenziamento collettivo attivata da M.F. s.p.a., formale datrice di lavoro dell’originario ricorrente, e condannato le dette società, in solido, alla reintegrazione della lavoratore nel posto di lavoro, al pagamento di una indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento a quello di effettiva reintegra, detratte le somme percepite dal lavoratore nei periodi successivi al licenziamento, in misura comunque non superiore alle 12 mensilità, e al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali;

2. la Corte di appello di Cagliari, Sezione distaccata di Sassari, ha respinto il reclamo incidentale del lavoratore e, in parziale accoglimento del reclamo principale, ha condannato le società al pagamento di una indennità risarcitoria nella misura di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto da quantificare in separato giudizio;

3. per quel che ancora rileva, la Corte di merito: ha accertato che la messa in mobilità del reclamato non fosse ricollegabile alla situazione occupazionale e societaria di M.F. esistente all’epoca della prima richiesta di cassa integrazione risalente al 2011, bensì a quella esistente nel 2015; difatti, l’istanza del 2015 per la concessione del trattamento di integrazione salariale recava l’indicazione quale causale dello stato di crisi aziendale, mentre la domanda del 2011 era riferita all’esigenza di riorganizzazione aziendale; che correttamente il giudice di primo grado aveva fatto riferimento alla situazione occupazionale del 2015, comprensiva del personale dipendente di A.I. spa, società all’epoca già acquisita e controllata al 100% da M.F.; ha confermato la valutazione del Tribunale circa la configurabilità di un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro tra M.F. s.p.a. e A.I. s.p.a. ed osservato che ciò comportava la necessità che la verifica degli esuberi in relazione alla procedura collettiva attivata da M.F. dovesse essere effettuata tenendo conto della complessiva platea e quindi anche dei lavoratori in forza alla (allora) società A.I. s.p.a. e non solo di quelli della società formale datrice di lavoro, come in concreto avvenuto; ha confermato la statuizione di primo grado sulla misura dell’indennità risarcitoria di 12 mensilità, prevista dall’art. 18, comma 4, L. n. 92 del 2012, a cui rinvia l’art. 5, comma 3, della l. n. 223 del 1991, ritenendo che non potesse attribuirsi rilevanza, ai fini dell’aliunde perceptum e percipiendi, a periodi di lavoro che, per la loro ridotta durata a fronte del periodo di estromissione dal lavoro seguito al licenziamento oggetto di causa, risultassero inidonei ad intaccare il limite massimo di dodici mensilità posto dalla legge all’indennità risarcitoria, commisurata alle retribuzioni maturate dal recesso all’effettiva reintegrazione e richiamando il principio di legittimità di cui alla sentenza n. 32330/2018;

4. per la cassazione della decisione hanno proposto ricorso con unico atto A.I. s.p.a. (già M.F.) e A.I. Fleet Managment Company s.p.a.- AIFMC (già A.I. s.p.a., da ora AIFMC) sulla base di quattro motivi; la controparte ha resistito con controricorso;

5. entrambe le parti hanno depositato memoria.

Considerato che

1. con il primo motivo di ricorso le società ricorrenti deducono violazione dell’art. 1 bis, l. n. 291 del 2004, come modificato dall’art. 2, d.l. n. 134 del 2008, convertito dalla l. n. 166 del 2008, per avere la Corte di merito escluso che la messa in mobilità dei dipendenti M.F., già concordata in applicazione di detta norma con gli accordi del 2011, dovesse essere circoscritta ai lavoratori originariamente considerati, restando irrilevanti i successivi sviluppi realizzatisi all’interno del gruppo con l’acquisizione di A.I. s.p.a.;

2. con il secondo motivo è dedotta la violazione dell’art. 5, l. n. 223/1991, degli artt. 2359, 2497 e 2094 cod. civ., nonché dell’art. 115 cod. proc. civ., per avere la sentenza impugnata, senza indagare sull’effettiva utilizzazione comune e promiscua delle prestazioni dei lavoratori di A.I. e M.F., ritenuto apoditticamente l’esistenza di un’ipotesi di codatorialità per il solo fatto che in M.F. vi erano strutture di Gruppo sovraordinate ai responsabili di A.I. e che tra le due aziende intercorrevano rapporti di Service. Inoltre, perché l’individuazione dei lavoratori in esubero, anche a voler considerare unitariamente le due aziende, M.F. e A.I., non poteva che avvenire in relazione alle esigenze tecniche, organizzative e produttive manifestatesi nella prima, attesa l’evidente esistenza di due distinti assetti produttivi;

3. con il terzo motivo di ricorso è dedotta la violazione degli artt. 776 e 779 cod. nav. nonché del Regolamento europeo n. 859/2008 (capo C) OPS 1.185 punto 5 e Appendice 2 dell’OPS 1.175 punti a) e b), del Regolamento europeo n. 1008/2008, art. 2 (nn. 1, 8 e 25), art. 3 (n. 2), art. 4 punto e), del Regolamento Europeo n. 965 del 2012 – Allegato 3 Capo CC Sezione 1 ORO. CC. 125, per avere il giudice di appello trascurato di considerare che nel settore aeronautico, governato da pregnanti e minuziose disposizioni normative contenute, tra l’altro, nei suddetti Regolamenti, è impossibile, sia di fatto che giuridicamente, che il servizio di trasporto aereo venga svolto da due società attraverso una struttura aziendale unitaria, con uso promiscuo dei naviganti e dei responsabili delle varie attività; difatti, per ottenere e mantenere le certificazioni obbligatorie indispensabili all’esercizio del predetto servizio (pacificamente possedute sia da M.F. che da A.I.) è necessario dimostrare di avere distinte ed autonome strutture aziendali, nonché propri esclusivi responsabili, che devono restare tali anche nel corso del tempo per poter superare i continuativi controlli dell’ENAC;

4. con il quarto motivo di ricorso è denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 18, comma 4, l. n. 300 del 1970, sotto un duplice profilo. SI sostiene che, alla luce del mutato contesto normativo, l’aliunde perceptum e l’aliunde percipiendum non si configurano come oggetto di eccezione della quale è onerata la parte datrice ma quali fattori indispensabili per la quantificazione della indennità dovuta, elemento imprescindibile per la stessa affermazione della sussistenza di un danno risarcibile; si assume inoltre che la Corte di merito ha errato nel ritenere che compensi percepiti oltre il termine dei dodici mesi successivi al licenziamento non potessero intaccare il limite risarcitorio massimo delle dodici mensilità;

5. il primo motivo di ricorso non può trovare accoglimento;

5.1. la sentenza d’appello ha accertato che la messa in mobilità del reclamato fosse ricollegabile alla situazione occupazionale e societaria di M.F. esistente nel 2015 e che difatti l’istanza del 2015 per la concessione del trattamento di integrazione salariale recava una causale (stato di crisi aziendale) diversa da quella oggetto della domanda del 2011 (esigenza di riorganizzazione aziendale); che correttamente il giudice di primo grado aveva fatto riferimento alla situazione occupazionale del 2015, comprensiva del personale dipendente di A.I. spa, società all’epoca già acquisita e controllata al 100% da M.F.;

5.2. le censure mosse dalle attuali ricorrenti risultano inammissibili, perché non si confrontano con la specifica ratio decidendi della sentenza impugnata, che ha ritenuto la messa in mobilità del reclamato riconducibile alla richiesta di cassa integrazione del 2015, recante peraltro una causale (stato di crisi aziendale) non contemplata dall’art. 1 bis cit.; con la conseguenza che doveva aversi riguardo alla situazione occupazionale esistente nel 2015, epoca in cui si era ampiamente realizzato il processo di integrazione tra le due società, M.F. e A.I., iniziato subito dopo il primo ricorso alla cassa integrazione straordinaria (2011), con la configurabilità di un unico centro di imputazione dei rapporti di lavoro degli assistenti di volo (v. sul punto Cass. n. 29212 del 2021);

5.3. peraltro, la Corte di merito, nell’estendere la platea dei lavoratori in esubero al personale (assistenti di volo) formalmente in forza presso le due società, si è attenuta ai principi di diritto già affermati da questa S.C., secondo cui la procedura per la dichiarazione di mobilità di cui all’art. 4 della legge n. 223 del 1991, necessariamente propedeutica all’adozione dei licenziamenti collettivi, è intesa a consentire una seria verifica dell’effettiva necessità di porre fine ad una serie di rapporti di lavoro in situazioni di sofferenza dell’impresa, e, proprio in vista di tale risultato, il comma terzo del citato art. 4 individua con estrema ampiezza i contenuti della comunicazione che il datore di lavoro è tenuto a fornire alle organizzazioni sindacali, emergendo, in particolare, che l’ambito della verifica che congiuntamente dovranno operare il datore di lavoro e le organizzazioni sindacali abbraccia l’impresa nel suo complesso e può estendersi anche a posizioni lavorative che, al momento, non risultano comprese nel trattamento di integrazione salariale, con la conseguenza che la prospettiva di mobilità, rimettendo in discussione gli equilibri complessivi dell’azienda, coinvolge tutte le posizioni lavorative, senza che sia configurabile, quindi, una necessaria coincidenza tra collocandi in mobilità e lavoratori sospesi in cassa integrazione guadagni straordinaria, ciò in specie ove si verifichino sopravvenienze rispetto alle situazioni che determinarono l’esubero del personale sospeso (v. Cass. n. 14800 del 2019; n. 10591 del 2005);

6. il secondo e il terzo motivo di ricorso, da trattare congiuntamente per la reciproca connessione, sono infondati, per le ragioni già espresse da questa Corte nella sentenza n. 29212 del 2021 (e nelle successive conformi nn. 36233, 35877, 35586, 35585, 35183, 34563, 34562, 34561, 34560, 33800, 33799, 33798, 32561, 32476, 32475, 32474 del 2021), che si richiama, anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ., e ai cui principi il Collegio ritiene di dare continuità, non risultando prospettati nel ricorso argomenti che possano indurre a disattenderli;

6.1. la sentenza impugnata, con accertamento di fatto riservato al giudice di merito, ha ritenuto che gli elementi di collegamento fra le società avessero travalicato, per caratteristiche e finalità, le connotazioni di una mera sinergia fra consociate per sconfinare in una compenetrazione di mezzi e di attività, sintomatica della sostanziale unicità soggettiva ai fini per cui è causa;

6.2. la Corte di merito, sulla base di plurimi dati probatori (l’assegnazione di quasi tutta la operatività di volo da M.F. ad A.I., che l’aveva gestita mediante anomali contratti cd. di wet lease su tratte e bande orarie della prima sostenendo direttamente i costi necessari; l’utilizzo da parte di A.I. di slot facenti capo a Meridiana; la stipula di un contratto tra M.F. e A.I. con il quale la prima si impegnava a prestare a A.I. i servizi di gestione amministrativa e finanziaria inclusi gli adempimenti civilistici e fiscali, il controllo di gestione compresa la pianificazione economica, finanziaria e patrimoniale, l’analisi preventiva e consuntiva per gli investimenti, la gestione del personale e delle relazioni industriali; l’utilizzazione da parte di A.I. di personale proveniente da M.F., attraverso l’istituto del distacco e mediante job posting, cioè l’assunzione ex novo previa risoluzione del contratto con M.F.; l’utilizzo da parte di A.I. di equipaggi misti; la dichiarata finalizzazione di tutta l’operazione alla riduzione del costo del lavoro), è pervenuta, in applicazione dei principi affermati in materia da questa S.C. (v. Cass. n. 1507 del 2021; n. 267 del 2019; n. 7704 del 2018; n. 19023 del 2017; n. 13809 del 2017; n. 26346 del 2016; n. 3482 del 2013; n. 6707 del 2004), alla qualificazione della sostanziale unicità della struttura aziendale, valorizzando la mera apparenza della pluralità di soggetti giuridici a fronte di un’unica sottostante organizzazione di impresa, intesa come unico centro decisionale (v. Cass. n. 7704 del 2018 cit.; n. 25270 del 2011; n. 5496 del 2006; n. 11275 del 2000; v. anche Cass. n. 4274 del 2003 in cui, in una fattispecie di più imprese formalmente distinte, ma con un’unica organizzazione imprenditoriale, intesa anche come unico centro decisionale -le tre società convenute gestivano un’unica azienda costituita da un unico complesso aziendale, avevano in comune gli organi direttivi e una serie di servizi, si scambiavano i dipendenti, utilizzati indifferentemente per i vari servizi e spostati di anno in anno da una società all’altra- ha ritenuto che i requisiti dimensionali e quantitativi prescritti dall’art. 24 della legge n. 223 del 1991 ai fini dell’applicabilità della disciplina dei licenziamenti collettivi dovessero essere riferiti all’unico complesso aziendale costituito dalle predette imprese), nonché l’utilizzo diretto del personale di entrambe le compagnie da parte di M.F. s.p.a. (v. Cass. n. 267 del 2019);

6.3. l’accertamento fattuale che sorregge la decisione impugnata, in merito alla compenetrazione tra le strutture aziendali formalmente facenti capo a distinte società, implica la riferibilità della prestazione di lavoro ad un soggetto sostanzialmente unitario; questo accertamento consente di superare il dato formale rappresentato dal titolo giuridico in base al quale i dipendenti di M.F. venivano utilizzati da A.I., vale a dire il distacco ed il ricorso al job posting, come peraltro imposto dal principio di effettività, che permea il diritto del lavoro e che trova espressione in numerose disposizioni normative (v., ad esempio, gli artt. 27, 29 e 30 del d.lgs. n. 276 del 2003 e succ. modif.; l’art. 8 della legge n. 223 del 1991), a cominciare dall’art. 2094 cod. civ. (Cass. n. 4274 del 2003 cit.); l’accertamento della sostanziale unitarietà della struttura imprenditoriale costituita da M.F. – A.I. esclude inoltre che possa assumere rilevanza decisiva la verifica circa la concreta, effettiva, utilizzazione da parte di entrambe le società delle prestazioni rese dal singolo lavoratore, la cui attività deve comunque ritenersi prestata nell’interesse – indifferenziato – delle due società solo formalmente distinte; l’applicazione nella decisione impugnata di principi già pacifici nella giurisprudenza di legittimità porta ad escludere la sussistenza dei presupposti per la rimessione della questione alle Sezioni Unite di questa Corte, come sollecitato nella memoria depositata dalle società ricorrenti;

6.4. conseguenza ineludibile della configurabilità in concreto di un unico soggetto datoriale è la necessità che la procedura collettiva attivata da M.F. coinvolgesse i lavoratori in organico non solo alla detta società ma anche alla società A.I., cioè tutti i lavoratori dell’unico complesso aziendale risultante dalla integrazione delle due società, non essendo ritualmente dedotti e comprovati i presupposti per la delimitazione della platea dei lavoratori da licenziare al solo organico di M.F., con conseguente assorbimento dell’ulteriore profilo, sottolineato dalla Corte distrettuale e non validamente censurato con il ricorso per cassazione, rappresentato dalla mancata esplicitazione, nella comunicazione ex art. 4, comma 3 l. n. 223 71991, delle ragioni che avrebbero giustificato la restrizione del perimetro dei licenziandi ai soli dipendenti formalmente in forza a M.F.;

6.5. la Corte di merito ha valutato l’applicazione dei criteri di scelta rispetto all’intero e unitario complesso aziendale, in aderenza al consolidato orientamento di legittimità (v. tra le altre, Cass. 01/08/2017, n. 19105; Cass. 16/09/2016, n. 18190; Cass. 12/01/2015 n. 203; Cass.03/05/2011 n. 9711; Cass. 23/06/2006, n. 14612);

6.6. la ricostruzione fattuale alla base del decisum di secondo grado e le conseguenze giuridiche che ne sono state tratte, in termini di necessità di estensione della platea dei lavoratori anche ai lavoratori formalmente dipendenti da A.I., non sono incrinate dalle deduzioni oggetto del terzo motivo di ricorso, intese a denunciare la violazione di normativa specifica di fonte europea e del codice della navigazione, le cui disposizioni operano sul piano, affatto diverso, inerente ai presupposti di sicurezza della navigazione aerea;

7. neppure il quarto motivo di ricorso può trovare accoglimento;

7.1. è anzitutto infondato il primo profilo di censura, secondo cui l’aliunde perceptum e l’aliunde percipiendum non si configurano più come oggetto di eccezione della quale è onerata la parte datrice. Questa Corte ha già precisato che il semplice dato della esplicitazione, nell’art. 18, comma 4, l. n.300 del 1970, come riformulato dalla l. n. 92 del 2012, della detraibilità dell’aliunde perceptum e percipiendum, non altera la natura dei compensi percepiti nello svolgimento di altre attività lavorative, quali fatti impeditivi della domanda risarcitoria del lavoratore, (v. Cass. n. 1636 del 2020; n. 30330 del 2019; n. 17683 del 2018), da veicolare nel processo sotto forma di eccezioni, sia pure in senso lato (v. Cass. n. 21919 del 2010; n. 10155 del 2005; n. 5610 del 2005);

7.2. deve quindi ribadirsi l’onere, del datore di lavoro che contesti la pretesa risarcitoria del lavoratore illegittimamente licenziato, di provare, pur con l’ausilio di presunzioni semplici, l’aliunde perceptum o percipiendi, a nulla rilevando la difficoltà di tale tipo di prova o la mancata collaborazione del dipendente estromesso dall’azienda, dovendosi escludere che il lavoratore abbia l’onere di farsi carico di provare una circostanza, quale la nuova assunzione a seguito del licenziamento, riduttiva del danno patito (Cass. n. 22679 del 2018; n. 9616 del 2015; n. 23226 del 2010);

7.3. parimenti infondata è la censura della società ricorrente per non avere la Corte di merito detratto, a titolo di aliunde perceptum, dall’indennità risarcitoria di dodici mensilità, anche i redditi conseguiti dal dipendente dopo il decorso di dodici mesi successivi alla data del licenziamento.

7.4. sui criteri di determinazione dell’indennità risarcitoria, questa Corte, con ordinanza n. 3825 del 2022, ha affermato il seguente principio di diritto: “In base all’art. 18, comma 4, l. n. 300 del 1970, come modificato dall’art. 1 comma 42, l. n. 92 del 2012, la determinazione dell’indennità risarcitoria deve avvenire attraverso il calcolo dell’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore ha percepito, nel periodo di estromissione, a titolo di aliunde perceptum o percipiendum, e, comunque, entro la misura massima corrispondente a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto, senza che possa attribuirsi rilievo alla collocazione temporale della o delle attività lavorative svolte dal dipendente licenziato nel corso del periodo di estromissione“;

7.5. nel sistema delineato dall’art. 18, comma 4 cit., il computo dell’indennità risarcitoria deve quindi essere eseguito in relazione all’importo complessivo delle retribuzioni perse e di quelle aliunde percepite o percepibili, e nessuna detrazione deve operarsi sull’indennità risarcitoria, che costituisce il risultato della operazione aritmetica descritta, volta a determinare il danno effettivamente subito dal lavoratore, sia pure entro il limite massimo normativamente imposto di dodici mensilità di retribuzione globale di fatto;

7.6. non può pertanto essere condivisa la tesi su cui insiste la società datrice di lavoro, secondo cui l’aliunde perceptum o percipiendum debba essere detratto dal tetto massimo delle dodici mensilità;

7.7. nel caso in esame, sebbene la sentenza d’appello non si sia attenuta al principio di diritto sopra richiamato, avendo escluso la detrazione dell’aliunde in base al dato secondo cui il lavoratore era rimasto inoccupato ben oltre i dodici mesi dal recesso, tuttavia l’errore non inficia la sostanza della decisione, con la conseguenza che il ricorso della società non può trovare accoglimento e si deve procedere unicamente a correggere la motivazione, ai sensi dell’art. 384, u.c. cod. proc. civ.;

7.8. il ricorso in esame, infatti, non offre alcun elemento sulla cui base possa affermarsi che l’esatta applicazione della regola iuris alla fattispecie per cui è causa avrebbe condotto ad un risultato diverso da quello oggetto della sentenza impugnata, ed anzi, i dati emergenti dalla sentenza d’appello, e in nessun modo contestati, inducono a ritenere che verosimilmente il danno subito dal lavoratore, pari alle retribuzioni perse nell’intero periodo di estromissione, detratto l’aliunde perceptum e percipiendi, sarebbe risultato comunque superiore alle dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto;

8. per le ragioni esposte il ricorso deve essere respinto;

9. le spese del giudizio di legittimità sono regolate secondo il criterio di soccombenza, e liquidate come in dispositivo.

10. ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna le ricorrenti alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 5.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge, da distrarsi in favore dell’avv. S.G.. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.