AGENZIA delle ENTRATE – Risposta n. 127 del 20 gennaio 2023
Imponibilità nel territorio dello Stato di redditi da lavoro dipendente corrisposti a fronte di attività svolta nel territorio dello Stato in modalità smart working a favore di datore di lavoro non residente ai sensi dell’articolo 15 della Convenzione stipulata tra Italia e Regno Unito per evitare le doppie imposizioni
Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, è stato esposto il seguente
Quesito
L’Istante (di seguito anche ”il Contribuente”) risulta essere residente nel Regno Unito ed iscritto all’AIRE; tuttavia, fa presente di essersi trasferito dal 30 agosto dell’anno X in Italia, presso la casa dei genitori, continuando a svolgere in smart working dal nostro Paese la sua attività lavorativa alle dipendenze di un datore di lavoro inglese.
L’Istante ha disdetto il contratto d’affitto del proprio appartamento a Londra ed ha richiesto al datore di lavoro il trasferimento della sede dell’attività lavorativa.
Ciò posto, l’Istante chiede alla scrivente di pronunciarsi in merito alla possibilità di continuare a lavorare in Italia senza prendere la residenza nel nostro Paese perché, in tal caso, rischierebbe di perdere il lavoro.
Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente
Per quanto concerne il Quesito specificato in oggetto, l’Istante ritiene di poter continuare a lavorare in smart working nel nostro Paese senza prendere la residenza in Italia essendo, peraltro, soggetta agli eventuali tributi previsti dalla vigente normativa interna italiana.
Parere dell’Agenzia delle Entrate
Con riferimento all’istanza di interpello specificata in oggetto, la scrivente precisa che l’articolo 2, comma 2, del Testo Unico delle imposte sui redditi, approvato con DPR del 22 dicembre 1986, n. 917 (di seguito ”TUIR”), considera fiscalmente residenti in Italia le persone fisiche che, per la maggior parte del periodo d’imposta, cioè per almeno 183 giorni (o 184 giorni in caso di anno bisestile), sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile. Le condizioni sopra indicate sono tra loro alternative e la sussistenza anche di una sola di esse per la maggior parte del periodo d’imposta è sufficiente a far ritenere che un soggetto sia qualificato, ai fini fiscali, residente in Italia. Tanto chiarito sotto il profilo della normativa italiana, occorre, tuttavia, considerare le disposizioni internazionali contenute in accordi conclusi dall’Italia con gli Stati esteri.
Il principio della prevalenza del diritto convenzionale sul diritto interno è, difatti, pacificamente riconosciuto nell’ordinamento italiano e, in ambito tributario, è sancito dall’art. 169 del TUIR e dall’art. 75 del D.P.R. n. 600 del 1973, oltre ad essere stato affermato dalla giurisprudenza costituzionale. Nel caso in esame occorre fare riferimento alla Convenzione per evitare le doppie imposizioni tra l’Italia ed il Regno Unito, firmata a Pallanza il 21 ottobre 1988 e ratificata con legge 5 novembre 1990, n. 329 (di seguito ”la Convenzione” o ”il Trattato internazionale”), il cui articolo 4, paragrafo 1, richiama, riguardo alla definizione del concetto di residenza, la nozione contenuta nelle normative interne degli Stati contraenti il citato Trattato internazionale. Nell’ipotesi in cui, applicando le suddette normative interne, il soggetto risulti residente di entrambi gli Stati contraenti, il successivo paragrafo 2 dell’articolo 4 del suddetto Trattato internazionale stabilisce, conformemente al Modello OCSE di Convenzione, le cosiddette tie breaker rules per dirimere tali conflitti. Le citate regole convenzionali fanno prevalere il criterio dell’abitazione permanente cui seguono, in ordine gerarchico, il centro degli interessi vitali, il soggiorno abituale e la nazionalità del Contribuente. Tale riscontro, tuttavia, non può essere operato in questa sede, richiedendo la verifica di elementi fattuali che esulano dall’istituto dell’interpello ordinario, la cui funzione consulenziale ne limita l’ambito ai soli casi in cui ricorra un’incertezza interpretativa attinente alla norma tributaria (c.d. ”interpello ordinario puro”), ovvero alla qualificazione giuridico-tributaria della fattispecie (c.d. ”interpello ordinario qualificatorio” cfr. circolare 1° aprile 2016 n. 9/E).
Ciò premesso, la scrivente fornisce, di seguito, le proprie valutazioni sulla base delle dichiarazioni dell’Istante (qui assunte acriticamente) del trasferimento dell’abitazione permanente e della sede dell’attività lavorativa dal Regno Unito all’Italia, a decorrere dal 30 agosto dell’anno X. Al riguardo, si osserva, sulla base delle considerazioni sopra svolte, che la presenza, per la maggior parte del periodo d’imposta, anche di una sola delle condizioni sostanziali, come definite dall’articolo 43 del codice civile (ossia il domicilio, individuato nel luogo in cui una persona ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi e la residenza, individuata nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale), è sufficiente per far ritenere che un soggetto sia considerato residente in Italia in base alla vigente normativa interna mentre la presenza nel nostro Paese dell’abitazione principale del Contribuente, per la maggior parte del periodo d’imposta, farebbe prevalere, in ogni caso, la residenza italiana dell’Istante, ai sensi delle vigenti disposizioni convenzionali (cfr. articolo 4, paragrafo 2, della citata Convenzione).
Nella fattispecie in esame l’Istante, in base alle sue stesse affermazioni, avrebbe trasferito in Italia la residenza, ai sensi del codice civile, e l’abitazione principale, rilevante in base al citato Trattato internazionale, dal 30 agosto dell’anno X. Da ciò consegue che l’Istante dovrebbe essere considerato residente nel Regno Unito per l’anno X (essendo ivi residente per la maggior parte di tale periodo d’imposta e non residente in Italia, ai sensi dell’articolo 2, comma 2, del TUIR); diversamente nell’anno di imposta successivo X+1, al permanere delle condizioni dichiarate nell’istanza di interpello in esame (residenza ai sensi del codice civile ed abitazione principale in Italia), lo stesso Contribuente risulterebbe residente nel nostro Paese per la maggior parte di tale periodo d’imposta (183 giorni nell’anno X+1), indipendentemente dalla sua iscrizione nelle anagrafi della popolazione residente in Italia.
Nel presupposto, quindi, di una residenza italiana dell’Istante nell’anno X+1, si ricorda che l’articolo 3, comma 1, del TUIR prevede che ”l’imposta si applica sul reddito complessivo del soggetto formato per i residenti da tutti i redditi posseduti al netto degli oneri deducibili indicati nell’articolo 10”. Si rileva, pertanto, che, nella fattispecie in esame, i redditi ovunque prodotti dal Contribuente in tale periodo d’imposta dovranno essere assoggettati ad imposizione in Italia.
Per quel che concerne, in particolare, i redditi erogati dal datore di lavoro del Regno Unito, a fronte dell’attività lavorativa svolta nell’anno X+1 nel nostro Paese in modalità smart working, si osserva che gli stessi emolumenti dovranno essere assoggettati ad imposizione esclusiva in Italia, ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 1, della citata Convenzione (in quanto il Contribuente risulterebbe residente in Italia e l’attività lavorativa verrebbe svolta nell’anno X+1 nel nostro Paese), e, di conseguenza, non dovranno essere assoggettati a tassazione nel Regno Unito.
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