La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 19865 depositata il 12 luglio 2023, intervenendo in tema di legittimità processuale del cessionario, ha statuito che “… in tema di azione revocatoria, qualora la parte attrice ceda il proprio credito durante la controversia, il cessionario può intervenire nel processo ai sensi dell’art. 111 c.p.c. quale successore nel diritto affermato in giudizio, poiché con la domanda ex art. 2901 c.c. si esplica la facoltà del creditore – che costituisce contenuto proprio del suo diritto di credito (presupposto e riferimento ultimo dell’azione esercitata) – di soddisfarsi su un determinato bene nel patrimonio del debitore. …”
La vicenda ha riguardato un istituto di credito che aveva convenne in giudizio, un proprio debitore, il fideiussore ed il soggetto acquirente di un immobile, al fine di sentire dichiarare, in via principale, la nullità per simulazione assoluta dell’atto di compravendita con il quale i primi due convenuti avevano alienato al terzo convenuto l’immobile e, in via subordinata, la revoca e l’inefficacia dello stesso atto ai sensi dell’art. 2901 cod. civ. Il Tribunale adito accolse la subordinata dell’istituto di credito. Avverso tale decisione i convenuti proposero gravame. I giudici di appello hanno ritenuto infondate le doglianze degli appellanti e confermato la decisione di primo grado. Avverso la suddetta decisione, l’acquirente dell’immobile, propose ricorso per cassazione fondato su due motivi.
Gli Ermellini respingono il ricorso ed in particolare evidenziano che “… il principio da essa enunciato deve ormai ritenersi superato da altra più recente sentenza che ha affermato che ‹‹il cessionario di un credito beneficia ope legis, in conseguenza della cessione, degli effetti dell’azione pauliana vittoriosamente esperita dal cedente›› (Cass., sez. 3, 22/06/2022, n. 20315). …”
Pertanto alla luce dell’evoluzione giuridica, i giudici di legittimità chiariscono che “… dal momento che anche l’actio pauliana ha la funzione di evitare la dispersione della garanzia patrimoniale ed il cessionario di un credito non è men creditore di quanto lo fosse il cedente, se si negasse al cessionario di avvalersi degli effetti della relativa domanda proposta dal suo dante causa, assumendo che la legittimazione resti in capo a quest’ultimo, si perverrebbe al risultato paradossale secondo cui il cedente, siccome non più titolare del credito tutelato, non potrebbe beneficiare degli effetti della declaratoria di inefficacia dell’atto dispositivo, mentre il cessionario acquisterebbe un credito privo della garanzia perseguita con l’esercizio della revocatoria. …”
I giudici di piazza Cavour hanno, quindi, chiarito che ‹‹la cessione del credito realizza un fenomeno di successione nel diritto legittimante all’azione revocatoria, dalla sostanza e dagli effetti del tutto analoghi a quelli che ha ogni ipotesi di successione a titolo particolare nel diritto controverso›› e che ‹‹oggetto della successione, quale fenomeno processuale regolato dall’art. 111 cod. proc. civ., non è propriamente o comunque non necessariamente una successione nel diritto sostanziale ma una successione nel diritto “affermato” in giudizio e, in tal senso, una successione nella qualità di parte››; spiegando, quindi, che ‹‹quando si controverte sul fondamento e l’accoglibilità dell’azione revocatoria si controverte pur sempre sul credito affermato; ciò, certo, non già ai fini di una tutela di accertamento o di condanna (il che esclude, come detto, la rilevanza di un pregiudiziale accertamento dell’esistenza, esigibilità e liquidità del credito stesso); il fatto però che lo si faccia con finalità meramente conservativa della garanzia patrimoniale non esclude che sia pur sempre il credito (affermato) il presupposto e il riferimento ultimo della tutela richiesta; più precisamente si controverte su una facoltà che costituisce contenuto proprio del diritto di credito, quella cioè di potersi soddisfare su un determinato bene presente nel patrimonio del debitore››.