Corte di Cassazione, ordinanza n. 19865 depositata il 12 luglio 2023
legittimità processuale del cessionario – sussistenza dell’interesse, in capo al cessionario del credito, ad intervenire nel giudizio, strettamente correlato alla titolarità del diritto di credito da tutelare con l’azione revocatoria
Fatti di causa
1. U. s.p.a. e, per essa, U. C.M.B. s.p.a., quale procuratrice, convenne in giudizio R.M.R., M.F. e F.F. al fine di sentire dichiarare, in via principale, la nullità per simulazione assoluta dell’atto di compravendita del 20 maggio 2011, con il quale i primi due convenuti avevano alienato al terzo convenuto l’immobile sito in Belpasso, contrada Palazzolo, e, in via subordinata, la revoca e l’inefficacia dello stesso atto ai sensi dell’art. 2901 cod. civ.
A fondamento della domanda rappresentò di essere creditrice nei confronti di R.M.R., debitrice principale, e di M.F., fideiussore, dell’importo di euro 106.471,31, dovuto a titolo di saldo di un contratto di apertura di credito, revocato con lettera raccomandata del 10 gennaio 2011, e che la compravendita doveva intendersi simulata, non avendo le parti alcuna volontà di porre in essere il trasferimento del bene immobile, tanto che, contestualmente alla vendita, avevano sottoscritto un contratto di locazione, in forza del quale i venditori avrebbero continuato ad abitare il medesimo immobile da essi venduto; evidenziava, in ogni caso, che l’atto di compravendita doveva essere dichiarato inefficace perché posto in essere con la consapevolezza, da parte del terzo acquirente, del pregiudizio arrecato alle ragioni creditorie.
In esito alla costituzione dei convenuti, i quali opposero la carenza dei presupposti per la declaratoria di nullità e di inefficacia dell’atto, il Tribunale di Catania, con sentenza n. 1344/2017, accolse la domanda subordinata, ritenendo sussistenti l’eventus damni, la scientia damni ed il consilium fraudis.
2. R.M.R. e M.F. hanno proposto gravame, al quale ha aderito F.F., e si è costituita in giudizio la F.S. s.r.l., quale cessionaria del credito già vantato dalla U. s.p.a., la quale non si è invece costituita.
La Corte d’appello di Catania ha ritenuto infondate le doglianze degli appellanti e confermato la decisione di primo grado.
3. Avverso la suddetta decisione propone ricorso per cassazione F.F., con due motivi.
F.S. s.r.l. resiste con controricorso.
U. s.p.a., R.M.R. e M.F. non hanno svolto attività difensiva in questa sede.
4. La trattazione è stata fissata in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis.1. cod. proc civ.
Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero. La controricorrente ha depositato memoria illustrativa.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo d’impugnazione il ricorrente deduce ‹‹Violazione degli artt. 81 c.p.c., 100 c.p.c., 111 c.p.c., 344 c.p.c. e dell’art. 1260 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., per violazione e falsa applicazione di norme di legge››.
Partendo dalla premessa che l’appello è stato proposto nei confronti di U. s.p.a., che non si è costituita in giudizio, e che è invece intervenuta F.S. s.r.l., quale cessionaria del credito già vantato dal precedente istituto bancario, evidenzia che, emergendo dall’estratto della Gazzetta Ufficiale che l’acquisto del credito era avvenuto pro soluto, aveva chiesto alla Corte d’appello di dichiarare l’inammissibilità della costituzione in giudizio della società cessionaria, perché non legittimata a far valere anche il diritto del creditore cedente di far dichiarare l’inefficacia di atti che ne avevano diminuito la garanzia di soddisfazione. Richiamando un precedente di questa Corte (Cass. n. 29637/2017), rappresenta che nell’azione revocatoria il diritto controverso è quello all’inefficacia dell’atto che si assume pregiudizievole e non anche il diritto di credito, sicché il cessionario, in assenza di diversa pattuizione, non subentra automaticamente nel diritto controverso, non trovando applicazione l’art. 111 cod. proc. civ..
Ad avviso del ricorrente, il giudice d’appello, disattendendo l’eccezione sollevata e considerando ammissibile l’intervento in giudizio della Fino 2, sarebbe incorso nella violazione delle norme invocate.
2. Con il secondo motivo – rubricato: violazione dell’art. 100 c.p.c. e dell’art. 2901 c.c. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. per violazione e falsa applicazione di norme di diritto – il ricorrente censura la decisione impugnata per avere disatteso l’eccezione secondo la quale, per effetto dell’avvenuta cessione pro soluto del credito, sarebbe venuto meno l’interesse di U. s.p.a. ad agire e contraddire nel giudizio di secondo grado, non avendo la cessione comportato il contestuale trasferimento del diritto alla dichiarazione di inefficacia dell’atto di vendita, con ogni conseguente effetto in punto di cessazione della materia del contendere e, comunque, di rigetto della domanda formulata in primo grado.
3. La questione posta con il primo motivo – ossia se il cessionario del credito in relazione al quale è stata proposta la azione revocatoria possa o meno essere considerato successore a titolo particolare, ai sensi dell’art. 111 cod. proc. civ., nel diritto controverso – è stata già affrontata e risolta da questa Corte.
Non ignora il Collegio che sulla questione questa Corte si è pronunciata con la sentenza n. 29637 del 2017, richiamata dal ricorrente a sostegno del motivo di ricorso, ma il principio da essa enunciato deve ormai ritenersi superato da altra più recente sentenza che ha affermato che ‹‹il cessionario di un credito beneficia ope legis, in conseguenza della cessione, degli effetti dell’azione pauliana vittoriosamente esperita dal cedente›› (Cass., sez. 3, 22/06/2022, n. 20315).
A siffatto approdo questa Corte è pervenuta sulla base della considerazione che, dal momento che anche l’actio pauliana ha la funzione di evitare la dispersione della garanzia patrimoniale ed il cessionario di un credito non è men creditore di quanto lo fosse il cedente, se si negasse al cessionario di avvalersi degli effetti della relativa domanda proposta dal suo dante causa, assumendo che la legittimazione resti in capo a quest’ultimo, si perverrebbe al risultato paradossale secondo cui il cedente, siccome non più titolare del credito tutelato, non potrebbe beneficiare degli effetti della declaratoria di inefficacia dell’atto dispositivo, mentre il cessionario acquisterebbe un credito privo della garanzia perseguita con l’esercizio della revocatoria.
In altri termini, l’interpretazione propugnata dalla ricorrente avrebbe l’effetto di vanificare l’attività processuale svolta dal creditore cedente, dovendosi tenere conto che un atto in frode del creditore non cessa solo in dipendenza della circolazione del credito tutelato.
Sull’argomento questa Corte è ritornata anche più recentemente (Cass., sez. 3, 23/02/2023, n. 5649), ulteriormente precisando che ‹‹non è possibile configurare un diritto alla declaratoria di inefficacia dell’atto come suscettibile di autonoma considerazione, agli effetti dell’art. 111 cod. proc. civ., rispetto al diritto di credito cui l‘azione revocatoria accede quale strumento finalizzato alla conservazione della garanzia patrimoniale di cui tale diritto gode ex art. 2740 cod. civ. Chi agisce in revocatoria non fa valere un diritto diverso dal diritto di credito, ma propone un’azione a tutela dello stesso. La limitata funzione meramente conservativa della garanzia patrimoniale fa sì che, come detto, l’accertamento giudiziale del credito non costituisca presupposto, né oggetto dell’azione revocatoria; ciò nondimeno la titolarità di un diritto di credito, anche sub iudice, costituisce pur sempre condizione dell’azione revocatoria, sotto il profilo della legitimatio ad causam dell’attore (Cass. n. 12975 del 30/06/2020; Cass., sez. 2, 04/11/2004, n. 21110). Ciò comporta che le vicende relative al credito vantato non rimangono prive di riflessi sull’azione revocatoria…››.
Si è, quindi, chiarito che ‹‹la cessione del credito realizza un fenomeno di successione nel diritto legittimante all’azione revocatoria, dalla sostanza e dagli effetti del tutto analoghi a quelli che ha ogni ipotesi di successione a titolo particolare nel diritto controverso›› e che ‹‹oggetto della successione, quale fenomeno processuale regolato dall’art. 111 cod. proc. civ., non è propriamente o comunque non necessariamente una successione nel diritto sostanziale ma una successione nel diritto “affermato” in giudizio e, in tal senso, una successione nella qualità di parte››; spiegando, quindi, che ‹‹quando si controverte sul fondamento e l’accoglibilità dell’azione revocatoria si controverte pur sempre sul credito affermato; ciò, certo, non già ai fini di una tutela di accertamento o di condanna (il che esclude, come detto, la rilevanza di un pregiudiziale accertamento dell’esistenza, esigibilità e liquidità del credito stesso); il fatto però che lo si faccia con finalità meramente conservativa della garanzia patrimoniale non esclude che sia pur sempre il credito (affermato) il presupposto e il riferimento ultimo della tutela richiesta; più precisamente si controverte su una facoltà che costituisce contenuto proprio del diritto di credito, quella cioè di potersi soddisfare su un determinato bene presente nel patrimonio del debitore››.
Alla stregua dei superiori principi, ai quali si intende dare continuità, il primo motivo è da rigettare, dovendosi ribadire che, in tema di azione revocatoria, qualora la parte attrice ceda il proprio credito durante la controversia, il cessionario può intervenire nel processo ai sensi dell’art. 111 c.p.c. quale successore nel diritto affermato in giudizio, poiché con la domanda ex art. 2901 c.c. si esplica la facoltà del creditore – che costituisce contenuto proprio del suo diritto di credito (presupposto e riferimento ultimo dell’azione esercitata) – di soddisfarsi su un determinato bene nel patrimonio del debitore.
4. Dall’infondatezza del primo motivo non può che derivare anche il rigetto del secondo motivo.
Invero, la ritenuta sussistenza dell’interesse, in capo al cessionario del credito, ad intervenire nel giudizio, strettamente correlato alla titolarità del diritto di credito da tutelare con l’azione revocatoria, comporta che, pur in difetto di costituzione del creditore cedente (nel caso di specie, U. s.p.a.), non possa pervenirsi ad una declaratoria di cessazione della materia del contendere, atteso che le ragioni di credito originariamente vantate da U. s.p.a. e poi cedute a F.S. s.r.l. risultano ancora contestate tra le parti e, soprattutto, ancora non soddisfatte.
Del tutto inconferente è, pertanto, il precedente di legittimità richiamato dal ricorrente (Cass. n. 12975/2020), che attiene alla diversa ipotesi in cui, sopravvenuto in corso di causa un giudicato che accerti l’inesistenza del credito, non sia più sussistente l’interesse all’azione revocatoria e non permanga l’esigenza di dichiarare l’inefficacia dell’atto di disposizione del patrimonio del debitore, e ciò analogamente all’effetto che determinerebbe un fatto estintivo del diritto di credito posto a fondamento di una azione di adempimento.
5. In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.