Corte di Cassazione, sezione tributaria, sentenza n. 1043 depositata il 10 gennaio 2024
cessazione della materia del contendere – l’inesistenza della notificazione del ricorso per cassazione è un vizio residuale
FATTI DI CAUSA
La controversia ha ad oggetto il ricorso avverso un avviso di liquidazione (n. 2011/002/SC/000000215/0/001) per il recupero delle imposte di registro, dovute a seguito della sentenza emessa dal Tribunale di Busto Arsizio (n. 215/2001) intercorsa tra F.P. (d’ora in poi odierno ricorrente), D.M. e la s.r.l. I.A. con cui è stata dichiarata la cessazione della materia del contendere.
La controversia trae origine da un preliminare di compravendita stipulato tra l’odierno ricorrente, promittente acquirente, e la sig.ra C., moglie del D.M..
Posto che il preliminare restava inadempiuto, l’odierno ricorrente agiva per il risarcimento del danno nei confronti della C.. Nelle more del giudizio la s.r.l. I.A. e il D.M., anche quale amministratore della società, si obbligavano con un diverso negozio nei confronti dell’odierno ricorrente, nei limiti di euro 215.000,00, a provvedere alla cancellazione delle trascrizioni pregiudizievoli, al fine di addivenire al rogito previsto per l’esecuzione dell’originario preliminare.
Tale obbligo rimaneva inadempiuto e, così, l’odierno ricorrente intraprendeva un giudizio anche nei confronti di D.M. e della s.r.l. I.A., chiedendo il risarcimento del danno nei limiti dell’obbligazione assunta.
All’esito del secondo giudizio, poiché era intervenuta la sentenza nella causa instaurata nei confronti della C. (sent. 876/2010), il Tribunale, considerando che il danno richiesto con la seconda causa fosse già ricompreso nelle somme da restituire da parte della C., rigettava la pretesa azionata nei confronti di D.M. e della s.r.l. I.A. (sent. 215/2011), dichiarando cessata la materia del contendere sul presupposto dell’unicità degli interessi regolati con i diversi rapporti giuridici posti a base dei due giudizi.
L’Agenzia delle Entrate (d’ora in poi controricorrente) provvedeva a chiedere il pagamento dell’imposta di registro relativa all’ultima sentenza richiamata, oggetto del presente giudizio, in misura proporzionale al valore della causa.
In seguito al reclamo presentato dall’odierno ricorrente, ai sensi dell’art. 17 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, l’odierna controricorrente, in sede di autotutela, ha annullato parzialmente l’atto emesso, ritenendo di dovere tassare la scrittura privata enunciata in sentenza sulla base del minore valore di euro 215.000,00. La scrittura privata enunciata era, appunto, la transazione con cui era stata conferita una procura ad incassare l’importo di € 215.000,00.
La CTP ha accolto parzialmente il ricorso, confermando la pretesa tributaria contenuta nell’atto impugnato, al netto di quanto annullato in sede di autotutela.
La CTR ha confermato la pronuncia di primo grado sulla base delle seguenti ragioni:
– non ci sono vizi di nullità della notifica, la quale ha, comunque, raggiunto lo scopo, consentendo al ricorrente di impugnare e di difendersi nel merito;
– il provvedimento impugnato conteneva tutti gli elementi essenziali per consentire al contribuente di difendersi come, di fatto, è avvenuto;
– si deve escludere che la tassazione della sentenza n. 215 del 2011 sia una mera duplicazione delle imposte già pagate con la sentenza resa dallo stesso tribunale n. 876 del 2010, in quanto le due sentenze sono correlate con riguardo ai fatti dedotti, ma hanno ad oggetto situazioni giuridiche diverse, sia dal punto di vista soggettivo, sia da quello oggettivo; nella sentenza più risalente l’oggetto della tassazione era una scrittura privata di compravendita immobiliare, mentre nell’altra l’oggetto del giudizio, è un accordo transattivo riguardante la medesima scrittura, ma in relazione a soggetti diversi;
– a nulla rileva la mancata produzione dell’accordo, in quanto questo era stato enunciato nell’atto di citazione e richiamato nella sentenza tassata i cui enunciati fanno fede fino a querela di falso;
– il provvedimento di autotutela non costituisce un nuovo provvedimento autonomamente impugnabile, ma una diminuzione dell’originaria richiesta.
Il ricorrente propone ricorso fondato su quattro motivi, la controricorrente si costituisce con controricorso e propone ricorso incidentale, il P.G. con conclusioni scritte si è espresso per il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Preliminarmente si dà atto che non vi è luogo a decidere sul ricorso incidentale che, se pure enunciato nell’intestazione del controricorso, non è dato ravvisare nel corpo dell’atto.
2. Con il primo motivo di impugnazione il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 26 e 60 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, 148 e 156, comma 3, cod. proc. civ., nonché l’omessa o insufficiente motivazione. Si duole che la sentenza impugnata abbia ritenuto sanato il vizio di notifica, senza considerare la mancanza della stesura della relata di notifica, vizio che determinerebbe l’inesistenza della notificazione.
Il motivo è infondato. Giova preliminarmente, su un piano più generale, ricordare il consolidato principio di legittimità, per il quale l’inesistenza della notificazione del ricorso per cassazione è un vizio residuale. Esso è, infatti, configurabile, in base ai principi di strumentalità delle forme degli atti processuali e del giusto processo, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità. Tali elementi consistono: a) nell’attività di trasmissione, svolta da un soggetto qualificato, dotato, in base alla legge, della possibilità giuridica di compiere detta attività, in modo da poter ritenere esistente e individuabile il potere esercitato; b) nella fase di consegna, intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall’ordinamento (in virtù dei quali, cioè, la stessa debba comunque considerarsi, ex lege, eseguita), restando, pertanto, esclusi soltanto i casi in cui l’atto venga restituito puramente e semplicemente al mittente, così da dover reputare la notificazione meramente tentata ma non compiuta, cioè, in definitiva, omessa (Cass. Sez. U, n. 14916/2016, Rv. 640603 – 01, Sez. 6 – 3, n. 2174/2017, Rv. 642740 – 01, Sez. 6 – 1, n. 20659/2017, Rv. 645697 – 01, Sez. 5, n. 3816/2018, Rv. 646941 – 01, Sez. 3, n. 26511/2022, Rv. 665447 – 01).
Entrando nello specifico della doglianza, il Collegio intende ribadire il principio per il quale la mancata indicazione della parte richiedente la notificazione dell’atto processuale ne importa la nullità solo quando produce incertezza assoluta su tale parte. Tale incertezza ricorre esclusivamente ove da detto atto non sia possibile in alcun modo ricavare ad istanza di chi la medesima notificazione sia stata eseguita (Cass. Sez. 6 – 3, n. 14150/2020, Rv. 658509 – 01), ipotesi non ricorrente nel caso di specie, tenuto conto, come rilevato nella stessa sentenza impugnata, che il ricorrente si è difeso ampiamente in modo del tutto tempestivo.
Costituisce, poi, regola consolidata che l’istituto della sanatoria per il raggiungimento dello scopo trovi applicazione, non solo, con riferimento agli atti processuali, ma anche a quelli sostanziali (Cass. Sez. 5, n. 1156/2019, Rv. 652199 – 01).
In tal senso deve essere data continuità al principio di legittimità, secondo cui la natura sostanziale e non processuale dell’avviso di accertamento tributario, che costituisce un atto amministrativo autoritativo attraverso il quale l’amministrazione enuncia le ragioni della pretesa tributaria, non osta all’applicazione di istituti appartenenti al diritto processuale, soprattutto quando vi sia un espresso richiamo di questi nella disciplina tributaria. Ne consegue che, l’applicazione, per l’avviso di accertamento, in virtù dell’art. 60 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, delle norme sulle notificazioni nel processo civile comporta, quale logica necessità, l’applicazione del regime delle nullità e delle sanatorie per quelle dettato. Deriva, pertanto, che la proposizione del ricorso del contribuente produce l’effetto di sanare la nullità della notificazione dell’avviso di accertamento per raggiungimento dello scopo dell’atto, ex art. 156 cod. proc. civ. (Cass. Sez. 5, n. 2272/2011, Rv. 616401 – 01).
Tale principio trova applicazione anche al caso di specie riguardante un avviso di liquidazione.
In questa direzione depone il consolidato orientamento di legittimità, per il quale, più in generale, in tema di atti d’imposizione tributaria, la notificazione non è un requisito di giuridica esistenza e perfezionamento, ma una condizione integrativa d’efficacia, con la conseguenza che la sua inesistenza o invalidità non determina in via automatica l’inesistenza dell’atto, quando ne risulti senza alcun dubbio la piena conoscenza da parte del contribuente entro il termine di decadenza concesso per l’esercizio del potere all’Amministrazione finanziaria, su cui grava il relativo onere probatorio (Cass. Sez. 5, n. 654/2014, Rv. 629235 – 01, Sez. 5, n. 8374/2015, Rv. 635171 – 01, Sez. 5, n. 21071/2018, Rv. 650056 – 01, Sez. 3, n. 26310/2021, Rv. 662500 – 02).
3. Con il secondo motivo di impugnazione il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 21 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, dell’art. 2 quater del d.l. 30 settembre 1994, n. 564, convertito con modificazioni dalla l. 30 novembre 1994, n. 6656 e dell’art. 43, comma 4, del d.P.R. n. 600 del 1973. La sentenza impugnata avrebbe dovuto limitarsi a dichiarare la sopravvenuta cessazione della materia del contendere, posto che il presente giudizio ha ad oggetto l’accertamento originario e non l’atto sopravvenuto e sostitutivo emesso in autotutela dell’odierna pretesa impositiva (n. 215 del 2011).
4. Con il terzo motivo di impugnazione il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., la violazione /o falsa applicazione dell’art. 3 della l. 7 agosto 1990, n. 241, e dell’art. 52 bis del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131. Si censura la parte di sentenza che ha ritenuto sufficientemente motivato il provvedimento impugnato, quando, invece, questo difettava delle indicazioni circa l’imponibile accertato, delle aliquote applicate, del calcolo delle sanzioni.
5. Con il quarto motivo di impugnazione il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 8 lett. e) della Tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. n. 131 del 1986, dell’art. 8, lett. b), della Tariffa, parte prima, allegata al medesimo d.P.R., nonché l’omessa pronuncia si un punto decisivo della controversia. Tale ultimo punto sarebbe da individuare nel non avere considerato che la sentenza n. 215 del 2011, nel dichiarare la cessazione della materia del contendere, ha preso atto della sopravvenuta inesigibilità delle obbligazioni assunte dalla s.r.l. I.A. e dal D.M., non più attuabili, stante l’accoglimento della domanda dell’odierno ricorrente nei confronti della C.. Ad avviso del ricorrente la sentenza non si sarebbe pronunciata sull’unicità degli interessi regolati con i due distinti negozi. Il secondo negozio stipulato era finalizzato, infatti, alla liberazione degli immobili della C., da pesi e iscrizioni pregiudizievoli. La sentenza avrebbe dovuto applicare l’imposta fissa per la registrazione della sentenza, ai sensi dell’art. 8, lett. e) della Tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. n. 131 del 1986 e non invece, l’imposta proporzionale ex art. 8 lett. b) del medesimo d.P.R.
5. I motivi secondo e quarto sono infondati e, stante la loro stretta connessione, possono essere trattati congiuntamente. Il potere di procedere all’autotutela ex art. 2 quater del d.lgs. n. 564 del 1994, (articolo aggiunto dall’articolo unico della legge 30 novembre 1994, n. 656, in sede di conversione) è così regolato: «1. Con decreti del Ministro delle finanze sono indicati gli organi dell’Amministrazione finanziaria competenti per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio o di revoca, anche in pendenza di giudizio o in caso di non impugnabilità, degli atti illegittimi o infondati. Con gli stessi decreti sono definiti i criteri di economicità sulla base dei quali si inizia o si abbandona l’attività dell’amministrazione.
1-bis. Nel potere di annullamento o di revoca di cui al comma 1 deve intendersi compreso anche il potere di disporre la sospensione degli effetti dell’atto che appaia illegittimo o infondato (omissis).
1-quater. In caso di pendenza del giudizio, la sospensione degli effetti dell’atto cessa con la pubblicazione della sentenza.
1-quinquies. La sospensione degli effetti dell’atto disposta anteriormente alla proposizione del ricorso giurisdizionale cessa con la notificazione, da parte dello stesso organo, di un nuovo atto, modificativo o confermativo di quello sospeso; il contribuente può impugnare, insieme a quest’ultimo, anche l’atto modificato o confermato (gli ultimi tre commi sono stati aggiunti dall’articolo 27, comma 1, della legge 18 febbraio 1999, n. 28)».
Nel caso in esame è da escludere che sia avvenuta una sostituzione del provvedimento impositivo, in quanto l’odierna controricorrente ha provveduto ad una rideterminazione dell’importo dovuto, rettificando l’importo originariamente richiesto. In tal senso è corretta la parte della sentenza impugnata, tra l’altro non censurata, che esclude che il provvedimento di autotutela sia un nuovo provvedimento, sul presupposto dell’esercizio di un potere di rettifica in diminuzione della pretesa impositiva.
Non è possibile sostenere che nel caso di specie sia sopravvenuta una cessazione della materia del contendere, la quale presuppone la sopravvenuta carenza d’interesse della parte alla definizione del giudizio, postulando che siano accaduti nel corso del giudizio fatti tali da determinare il venir meno delle ragioni di contrasto tra le parti e da rendere incontestato l’effettivo venir meno dell’interesse sottostante alla richiesta pronuncia di merito (Cass. Sez. 2, n. 30251/2023, Rv. 669310 – 01).
Deve, in proposito, essere richiamato il principio di legittimità secondo cui la cessazione della materia del contendere presuppone che le parti si diano reciprocamente atto del sopravvenuto mutamento della situazione sostanziale dedotta in giudizio e sottopongano conclusioni conformi in tal senso al giudice, potendo al più residuare un contrasto solo sulle spese di lite, che il giudice con la pronuncia deve risolvere secondo il criterio della cosiddetta soccombenza virtuale. Quando, invece, la sopravvenienza di un fatto, che si assume suscettibile di determinare la cessazione della materia del contendere, sia allegato da una sola parte e l’altra non aderisca a tale prospettazione, il suo apprezzamento, ove esso sia dimostrato, non può concretarsi in una pronuncia di cessazione della materia del contendere, ma, ove abbia determinato il soddisfacimento del diritto azionato con la domanda dell’attore, in una valutazione dell’interesse ad agire (Cass. Sez. 3, n. 11962/2005, Rv. 582510 – 01, Sez. 2, n. 21757/2021, Rv. 661966 – 01).
Il secondo motivo è altresì, in parte inammissibile laddove si sostiene che l’odierna controricorrente, nell’esercizio del suo potere di autotutela, avrebbe emesso un provvedimento sostitutivo del precedente, ma non censura in alcun modo la parte di motivazione in cui viene affermato che il provvedimento di autotutela costituisce solo una diminuzione dell’originaria richiesta e non un provvedimento autonomo.
Nel caso in esame, come riportato dallo stesso ricorrente, in relazione al quarto motivo di impugnazione, la sentenza posta a base della pretesa impositiva ha così affermato:
«Rilevato che la decisione della presente vertenza ha il proprio presupposto nella fattispecie concreta decisa con la sentenza 876/10 emessa tra il Forno e la C. e visto che le istanze del Forno in questa causa hanno sostanzialmente già trovato il proprio riconoscimento nella suddetta sentenza ne deriva che è cessata fra le parti la materia del contendere. Ed invero l’accoglimento delle richieste attoree di questo processo comporterebbe una duplicazione di quanto già ottenuto dallo stesso Forno nell’altra sentenza».
Se è vero che l’accoglimento della domanda proposta dal Forno nei confronti della C. ha reso inattuabile il negozio giuridico oggetto della successiva sentenza (n. 215 del 2011), è imprescindibile e corretta la considerazione effettuata dai giudici di merito che questo secondo giudizio ha un oggetto diverso ed è intercorso tra soggetti giuridici differenti ovvero tra il Forno e la s.r.l. I.A. e il D.M..
In tal senso è da disattendere anche l’ulteriore censura svolta dal ricorrente sull’omessa pronuncia della sentenza impugnata con riguardo all’unicità degli interessi regolati con i due distinti negozi. In proposito, infatti, la sentenza ha ben chiarito che le due sentenze pur correlate in fatto, riguardano situazioni giuridiche diverse, non solo dal punto di vista soggettivo, ma anche da quello oggettivo. Nella prima sentenza, infatti oggetto di tassazione è stata la scrittura privata di compravendita immobiliare, mentre nella seconda, oggetto del presente giudizio, sottoposto a tassazione è stato un accordo transattivo riguardante la suddetta scrittura privata.
Sussiste, poi, una parziale differenza soggettiva, in quanto il primo negozio è stato stipulato tra l’odierno ricorrente e la C., mentre il secondo tra l’odierno ricorrente e la società I.A. s.r.l. e il Murrone, marito della C..
È, pertanto, da escludere la possibilità che potesse dai giudici di merito essere pronunciata una cessazione della materia del contendere tout court.
Del resto, la prosecuzione di entrambi i giudizi da parte dell’odierno ricorrente, con lo spiegamento delle relative difese, conferma ulteriormente che non era venuto meno l’interesse dello stesso alla decisione e che anche questi non ha prestato acquiescenza.
Sotto un diverso profilo si condivide l’osservazione del P.G. secondo cui, l’assunto del ricorrente nel quarto motivo si fonda sulla pretesa che il contratto enunciato in sentenza non abbia mai avuto efficacia, il che è escluso dal sopravvenire della risoluzione e della pronuncia che l’aveva dichiarata.
Si osserva ancora a margine che diversi sono i presupposti per l’esercizio della tutela cd integrativa prevista dall’art. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973 su cui si è soffermato il secondo motivo di impugnazione. Essa, oltre ad essere prevista per le imposte sui redditi, è limitata alle integrazioni o modifiche in aumento, ipotesi non ricorrente nel caso in esame. Su tale disposizione si ricorda, come sia stato precisato che l’integrazione o la modifica in diminuzione di un precedente avviso, non integrando una nuova pretesa tributaria, bensì una mera riduzione di quella originaria, operata in autotutela, non necessita di adempimenti formali né di una specifica motivazione, a differenza della modifica in aumento che, determinando una pretesa nuova, deve necessariamente formalizzarsi nell’adozione di un avviso di accertamento, integrativo o sostitutivo di quello preesistente, il quale, a garanzia del contribuente, esige specifica motivazione, con l’indicazione dei nuovi elementi di fatto di cui è sopravvenuta la conoscenza, così come prescritto a pena di nullità dall’art. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973. (Cass. Sez. 5, n. 27543/2018, Rv. 651063 – 01).
Infondato è anche il profilo di doglianza relativo all’errata applicazione dell’imposta proporzionale ex art. 8 della Tariffa, parte I, allegata al d.P.R. n. 131 del 1986, in quanto non contenente pronuncia di condanna. A seguito del provvedimento di autotutela, infatti, come risulta dal controricorso e in alcun modo contestato, gli importi complessivamente dovuti sono stati così quantificati: la tassazione della sentenza civile in misura fissa, pari ad euro 168,00, la tassazione dell’atto enunciato, scrittura privata, pari ad euro 6450,00, sanzione per omessa registrazione dell’atto enunciato, pari ad euro 7740,00.
6. Il terzo motivo incentrato sul difetto di motivazione del provvedimento impugnato è inammissibile, in quanto il ricorrente non riproduce e neppure allega l’atto impugnato non consentendo alcuna verifica in questa sede. Tale accertamento, sarebbe in ogni caso precluso, in quanto la verifica della sufficienza del requisito motivazionale è stata risolta positivamente in fatto in entrambi i gradi di giudizio.
7. Da quanto esposto segue il rigetto del ricorso. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.
Si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente a pagare in favore della controricorrente le spese del presente giudizio, che liquida nell’importo di € 2.500,00 per compensi, oltre € 200,00 per esborsi, rimborso forfettario e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 — bis dello stesso articolo 13, se dovuto.