CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 27525 depositata il 28 settembre 2023
Lavoro – Addebito disciplinare – Destituzione dal servizio – Certificati medici apocrifi – Permessi per malattia del figlio – Proporzionalità della sanzione disciplinare comminata alla condotta addebitata al lavoratore – Disconoscimento di scrittura privata – Assorbimento della domanda in senso proprio e improprio – Omessa pronuncia – Accoglimento
Fatto
1. Con sentenza 25 maggio 2020, la Corte d’appello di Roma ha rigettato il reclamo del lavoratore indicato in epigrafe avverso la sentenza di primo grado, reiettiva, in esito a rito Fornero, della sua impugnazione della destituzione dal servizio comminatagli dalla società datrice, con lettera del 6 agosto 2018, per addebito disciplinare, consistito nell’avere prodotto ad essa certificati medici apocrifi, al fine di ottenere giorni di permesso per malattia del figlio.
2. In esito ad argomentato scrutinio delle risultanze istruttorie, con particolare riguardo al disconoscimento – con la deposizione testimoniale resa – della sottoscrizione in calce ad essi, da parte del pediatra che li avrebbe redatti (non contrastabile con querela di falso, siccome scritture non provenienti da una delle parti processuali), essa ha ritenuto, come già il Tribunale, provato l’addebito, contestato in modo specifico e in un tempo congruo in relazione alle dimensioni dell’impresa e alla complessità degli accertamenti necessari dalla sua scoperta.
3. Con atto notificato il 22 luglio 2020, il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione con nove motivi, cui la società ha resistito con controricorso; nel corso del giudizio essa ha pure sostituito il difensore.
4. Entrambe le parti hanno comunicato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Ragioni della decisione
1. In via preliminare, deve essere disattesa l’eccezione di inammissibilità del controricorso, per nullità della procura alle liti, in mancanza di data certa di rilascio.
È noto che essa sia valida solo se rilasciata in data successiva alla (già emessa) sentenza impugnata, sicché il ricorso deve essere dichiarato inammissibile qualora la procura, se conferita con atto separato, sia anteriore alla pubblicazione del provvedimento impugnato, restando altresì esclusa ogni possibilità di successiva sanatoria o regolarizzazione (Cass. 4 marzo 2000, n. 2444). D’altro canto, il requisito della specialità della procura, ai sensi dell’art. 83, terzo comma c.p.c., non postula, in ogni caso, la contestualità del relativo conferimento rispetto alla redazione dell’atto cui accede, dal momento che, anche nel caso in cui la procura sia stata redatta, sottoscritta e autenticata in data anteriore a quella del ricorso, è possibile desumerne la specialità, da un lato, dalla sua congiunzione (materiale o telematica) al ricorso e, dall’altro, dalla sua susseguente notifica insieme a quest’ultimo (Cass. 15 dicembre 2022, n. 36827).
1.1. Ed è ciò che si è verificato nel caso di specie, per la documentata posteriorità della procura alla sentenza della Corte d’appello impugnata dal ricorrente (espressamente menzionata nella procura speciale) e anteriorità alla notificazione del controricorso a mezzo PEC, in quanto specificamente indicata nella sua relazione di notificazione.
2. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2, secondo comma legge n. 604/1966, in combinato disposto con gli artt. 18, quarto comma legge n. 300/1970, 1175, 1375, 2700 c.c., 221 c.p.c., per non avere la Corte territoriale ritenuto insussistente l’elemento oggettivo della fattispecie illecita contestata o la sua irrilevanza giuridica, e pertanto la sua carenza di illiceità, in assenza di un accertamento, tramite querela di falso in via principale, della inautenticità dei sei certificati medici oggetto dell’addebito disciplinare, quale presupposto della contestazione.
3. Con il secondo, egli deduce nullità della sentenza per violazione degli artt. 112 e 132 c.p.c., per non avere la Corte territoriale ritenuto necessaria, ai sensi del combinato disposto degli artt. 2700 c.c., 221 c.p.c., la querela di falso richiesta per privare di fede privilegiata la giustificazione riportata nei sei certificati medici contestati come falsi, così ritenendo sussistente l’elemento soggettivo dell’illecito disciplinare contestato: neppure avendo potuto pronunciarsi sulla querela di falso, in assenza di domanda della (contro)parte datrice, pertanto decaduta dalla possibilità di proporla.
4. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce nullità della sentenza per violazione degli artt. 112 e 132 c.p.c., per omessa pronuncia sul motivo di reclamo relativo all’assenza di prova, a carico della società datrice, dell’elemento soggettivo del lavoratore, come si evince dalla esclusiva valutazione, nella sentenza impugnata, di falsità o meno dei certificati; né esso potendo essere escluso, come dalla Corte erroneamente, sulla base delle dichiarazioni del medico pediatra relative alla non riferibilità a sé dei certificati, ma inconferenti rispetto alla condotta dolosa addebitata al lavoratore.
5. Con il quarto, egli deduce falsa applicazione dell’art. 5 legge n. 604/1966, in combinazione con l’art. 2697 c.c., per avere la Corte territoriale erroneamente posto a suo carico l’onere di provare di non poter conoscere la pretesa falsità dei sei certificati oggetto di contestazione.
6. Con l’ottavo motivo, il ricorrente deduce violazione degli artt. 2727, 2729 c.c., per avere la Corte territoriale ritenuto sussistente l’elemento oggettivo dell’addebito disciplinare unicamente sulla base delle dichiarazioni rese dal teste dottor C., pediatra, non rispettando i principi di concordanza né di uso corretto delle presunzioni, enunciati in materia dalla giurisprudenza di legittimità, al fine di avvalorarne l’attendibilità, anche considerata la produzione nell’odierno giudizio di legittimità (a smentita di una presunzione tratta dalla Corte territoriale di falsità del certificato medico di giovedì 10 luglio 2014, per la chiusura dello studio medico in tale giorno della settimana, riferita dal medesimo pediatra) di una contraria dichiarazione della ASL RM2 del 4 dicembre 2018.
7. Con il nono, egli deduce violazione degli artt. 421 e 437 c.p.c., anche come error in procedendo, per omesso esercizio dei poteri officiosi propri del giudice del lavoro per l’acquisizione di elementi istruttori, nonostante l’espressa richiesta del lavoratore di audizione della segretaria del medico (dedotta come teste, ma non ammessa siccome non indicata nella lista testimoniale) e di C.t.u. grafologica sulla falsità dei certificati.
8. Essi sono in parte inammissibili e in parte infondati.
9. Non si configurano le censure (apparentemente) di errores in iudicando, non implicando esse un problema interpretativo delle norme di diritto denunciate di violazione, né di falsa applicazione della legge, consistente nella sussunzione della fattispecie concreta in una qualificazione giuridica che non le si addica, perché la fattispecie astratta da essa prevista non sia idonea a regolarla, oppure nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che ne contraddicano la pur corretta interpretazione (Cass. 30 aprile 2018, n. 10320; Cass. 25 settembre 2019, n. 23851); quanto piuttosto di allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa esterna all’esatta interpretazione della norma e inerente alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cass. 11 gennaio 2016, n. 195; Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass. 29 ottobre 2020, n. 23927), oggi peraltro nei rigorosi limiti del novellato art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c.
9.1. In particolare, non sussiste il vizio di violazione del principio di corrispondenza del chiesto al pronunciato:
a) né sotto il profilo di ultrapetizione (ricorrente quando il giudice del merito, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri gli elementi obiettivi dell’azione e, sostituendo i fatti costitutivi della pretesa, emetta un provvedimento diverso da quello richiesto, ovvero attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso; così pronunciando oltre i limiti delle pretese o delle eccezioni fatte valere dai contraddittori, attribuendo alla parte un bene della vita non richiesto o diverso da quello domandato: Cass. 11 gennaio 2011, n. 455; Cass. 24 settembre 2015, n. 18868; Cass. 11 aprile 2018, n. 9002; Cass. 21 marzo 2019, n. 8048), in ordine all’assenza di domanda di querela di falso, non avendo la Corte territoriale reso una pronuncia in merito ad essa, ma semplicemente escluso la sua necessità, in funzione della falsità dei certificati medici prodotti, per effetto del disconoscimento del pediatra apparente sottoscrittore (al quarto e quinto capoverso di pg. 3 della sentenza).
Sicché, essa ha esattamente applicato il principio secondo cui l’onere del disconoscimento della scrittura privata, stabilito dall’art. 215, primo comma, n. 2 c.p.c., grava esclusivamente sul soggetto che appare essere l’autore della sottoscrizione e non già su colui che contesti l’opponibilità del documento, siccome non recante alcuna sottoscrizione a lui riferibile; con la conseguenza che, quando il contenuto della scrittura privata inter alios sia contestato, il documento non viene in rilievo come prova legale e la corrispondenza a verità o meno del suo contenuto, dimostrabile con ogni mezzo di prova, è affidata al libero apprezzamento del giudice (Cass. 30 aprile 2005, n. 9024; Cass. 13 ottobre 2017, n. 24168; Cass. 20 agosto 2018, n. 20814); b) né sotto il profilo di omessa pronuncia sul motivo di reclamo relativo all’assenza di prova dell’elemento soggettivo del lavoratore – ricorrente in caso di omissione di qualsiasi decisione su un capo di domanda (Cass. 16 maggio 2012, n. 7653; Cass. 27 novembre 2017, n. 28308; 16 luglio 2018, n. 18797), neppure sotto il profilo di un’implicita statuizione di rigetto (Cass. 8 marzo 2007, n. 5351; Cass. 6 dicembre 2017, n. 29191; Cass. 13 agosto 2018, n. 20718) – avendo la Corte reso una tale pronuncia, in esito al critico scrutinio delle risultanze istruttorie sotto il riflesso dell’elemento psicologico del lavoratore incolpato in ordine alla falsità dei certificati medici (al secondo capoverso di pg. 4 della sentenza).
9.2. Né la Corte territoriale ha invertito l’onere probatorio, sola ipotesi integrante la denunciata violazione dell’art. 2697 c.c. (Cass. 17 giugno 2013, n. 15107; Cass. 29 maggio 2018, n. 13395; Cass. 31 agosto 2020, n. 18092), in ordine alla deduzione di una circostanza contraria ad un elemento costitutivo del fatto contestato, che è stato provato dal datore (come correttamente rilevato al terz’ultimo capoverso di pg. 4 della sentenza); sicché la doglianza, contenuta nel quarto motivo, consiste in un’inammissibile contestazione della valutazione probatoria compiuta dalla corte di merito.
9.3. Neppure è viziato da errori di diritto il ragionamento presuntivo compiuto dalla Corte d’appello, avendo essa applicato principi ancora recentemente ribaditi (Cass. 27 febbraio 2023, n. 5903, in motivazione sub p.to 4.2). E così, in particolare, di inconfigurabilità di una violazione, censurabile in base all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., in tema di presunzioni, per non avere il giudice di merito sussunto erroneamente sotto i tre caratteri individuativi della presunzione (“gravità”, “precisione”, “concordanza”) fatti concreti che non siano invece rispondenti a quei requisiti (integrando vizio di sussunzione l’avere il giudice di merito, qualificato come gravi, precisi e concordanti gli indizi raccolti, ritenuti tuttavia inidonei a fornire la prova presuntiva oppure, pur avendoli considerati non gravi, non precisi né concordanti, averli reputati sufficienti a dimostrare il fatto controverso: Cass. 13 febbraio 2020, n. 3541) e non già alla stregua del n. 5 dello stesso art. 360, competendo alla Corte di cassazione, nell’esercizio della funzione di nomofilachia, controllare se la norma dell’art. 2729 c.c., oltre ad essere applicata esattamente a livello di declamazione astratta, lo sia stata anche sotto il profilo dell’applicazione a fattispecie concrete che effettivamente risultino ascrivibili alla fattispecie astratta (Cass. 4 agosto 2017, n. 19485; Cass. 16 novembre 2018, n. 29635). E dovendo, nondimeno, per restare nell’ambito della violazione di legge, la critica concentrarsi sull’insussistenza dei requisiti della presunzione nel ragionamento condotto nella sentenza impugnata, non potendo invece (come appunto la censura dell’ottavo motivo in esame) svolgere argomentazioni dirette ad infirmarne la plausibilità (criticando la ricostruzione del fatto ed evocando magari altri fatti che non risultino dalla motivazione): vizio valutabile, ove del caso, nei limiti di ammissibilità di cui all’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. (Cass. 30 giugno 2021, n. 18611).
9.3.1. È poi inammissibile la produzione della dichiarazione della ASL RM2 del 4 dicembre 2018, in quanto documento introdotto per la prima volta nel giudizio di legittimità, al di fuori dei limiti stabiliti dall’art. 372 c.p.c. Non è, infatti, consentita la produzione di documenti nuovi relativi alla fondatezza nel merito della pretesa, per far valere i quali, se rinvenuti dopo la scadenza dei termini, la parte che ne assuma la decisività può esperire esclusivamente il rimedio della revocazione straordinaria ai sensi dell’art. 395, n. 3 c.p.c. (Cass. 12 luglio 2018, n. 18464; Cass. 20 febbraio 2020, n. 4415).
9.4. Quanto, infine, al denunciato mancato ricorso della Corte territoriale ai propri poteri istruttori officiosi, giova ribadire che, se è vero che nel rito del lavoro, permeato dall’esigenza di contemperare il principio dispositivo con quello di ricerca della verità materiale, il giudice può esercitare poteri istruttori d’ufficio anche successivamente al verificarsi delle preclusioni istruttorie, se reputi insufficienti le prove già acquisite (Cass. 10 gennaio 2005, n. 278; Cass. 29 settembre 2016, n. 19305; Cass. 28 marzo 2018, n. 7694; Cass. 25 agosto 2020, n. 17683), neppure può, tuttavia, sopperire alle carenze probatorie delle parti, così da sostituirsi negli oneri ad esse spettanti (Cass. 22 luglio 2009, n. 17102; Cass. 20 luglio 2011, n. 15899).
9.4.1. Nel caso di specie, la Corte territoriale ha ritenuto pienamente accertata la falsità dei certificati medici (al penultimo capoverso di pg. 3), in esito alla critica disamina delle risultanze istruttorie (dal primo capoverso di pg. 3 al quarto di pg. 4 della sentenza), né decisiva la deposizione della segretaria del medico pediatra, “soprattutto alla luce della circostanza che il predetto redattore e sottoscrittore dei certificati ha negato in sede ispettiva, e ribadito in sede testimoniale, sotto giuramento, la falsità materiale” (così al secondo capoverso, ultima parte di pg. 6 della sentenza), così valutando come pienamente sufficiente il quadro probatorio.
10. Con il quinto motivo, il ricorrente deduce nullità della sentenza per violazione degli artt. 112 e 132 c.p.c., in riferimento agli artt. 2119 e 1455 c.c., per omessa pronuncia della Corte territoriale sul motivo di reclamo riguardante la mancanza di proporzionalità tra la sanzione disciplinare comminata e la condotta contestata al lavoratore, senza neppure indicare le circostanze concrete di sussunzione della fattispecie concreta nella clausola generale di giusta causa.
11. Esso è, innanzi tutto, ammissibile, per la puntuale specificazione dei motivi relativi alla “sproporzionalità del licenziamento tra fatto contestato e sanzione irrogata” in entrambe le fasi del giudizio di primo grado e in quello di reclamo, con indicazione essenziale del loro contenuto (a pg. 18 del ricorso), ai fini di specificità del motivo a norma dell’art. 366, primo comma, n. 4 e n. 6 c.p.c.: anche alla luce di un’interpretazione non eccessivamente formalistica (secondo i principi contenuti nella sentenza CEDU Succi e altri c. Italia del 28 ottobre 2021), così da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa, non potendo pertanto tradursi in un ineluttabile onere di integrale trascrizione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, bastando in esso la puntuale indicazione del contenuto degli atti richiamati all’interno delle censure e la specifica segnalazione della loro presenza negli atti del giudizio di merito (Cass. S.U. 18 marzo 2022, n. 8950).
12. Esso è pure fondato, perché ricorre il vizio (correttamente denunciato quale error in procedendo: Cass. 27 gennaio 2006, n. 1755; Cass. 13 ottobre 2022, n. 29952) di omessa pronuncia della sentenza della Corte d’appello, che ha ignorato i motivi di gravame in questione, non potendo essi ritenersi assorbiti, così come conclusivamente affermato (al terzo capoverso di pg. 6 della sentenza: “Alla luce delle motivazioni che precedono, il reclamo deve quindi essere respinto, rimanendo assorbita ogni altra questione”). Ed infatti, le motivazioni svolte hanno riguardato profili (quali l’accertamento dell’illecito disciplinare addebitato e la specificità e tempestività della contestazione) diversi dalla proporzionalità della sanzione disciplinare comminata alla condotta addebitata al lavoratore.
12.1. Giova allora ribadire che l’assorbimento di una domanda in senso proprio ricorra quando la decisione sulla domanda assorbita divenga superflua, per difetto sopravvenuto di interesse della parte che, con la pronuncia sulla domanda assorbente, abbia conseguito la tutela richiesta nel modo più pieno, mentre quello in senso improprio sia ravvisabile quando la decisione assorbente escluda la necessità o la possibilità di provvedere sulle altre questioni, ovvero comporti un implicito rigetto di altre domande; sicché, l’assorbimento erroneamente dichiarato si traduce in una omessa pronunzia (Cass. 3 febbraio 2020, n. 2334; Cass. 22 giugno 2020, n. 12193; Cass. 2 luglio 2021, n. 18832): come appunto nel caso di specie.
13. Con il sesto motivo, il ricorrente deduce violazione degli artt. 2119, 1175, 1375 c.c., per non avere la Corte territoriale integrato la clausola elastica con la valorizzazione di fattori esterni, relativi al comune sentire sociale, non giustificando l’irrimediabile lesione della fiducia tra le parti un’assenza ingiustificata di sette giorni del lavoratore dal servizio negli anni 2013 e 2014 , secondo il parametro di riferimento dell’art. 43, p.to 2 R.D. 148/1931 (di previsione della “proroga del termine per l’aumento dello stipendio o della paga … per assenze arbitrarie fino a cinque giorni, avvenute nonostante divieto da parte dei superiori”).
14. Con il settimo motivo, egli deduce, infine, violazione dell’art. 43, secondo comma R.D. 148/1931, in relazione agli artt. 12 disp. att. c.c., 2119, 1455 c.c., 18, quarto comma legge n. 300/1970, per non avere la Corte territoriale ritenuto applicabile al caso di specie la sanzione conservativa prevista dalla (prima) norma denunciata (“per assenze arbitrarie fino a cinque giorni”), in assenza di alcun parametro temporale di riferimento, trattandosi di sette giorni di assenze arbitrarie del lavoratore in tredici anni di durata del rapporto.
15. Essi sono entrambi assorbiti dalla fondatezza del quinto motivo.
16. Per le ragioni suesposte, esso deve essere accolto, con assorbimento del sesto e del settimo motivo e rigetto degli altri, la cassazione della sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto e rinvio, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.
P.Q.M.
Accoglie il quinto motivo di ricorso, assorbiti il sesto e il settimo, rigettati gli altri; cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.
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