CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 06 giugno 2022, n. 18009
Tributi – IRPEF – Redditi di lavoro dipendente e assimilati – Cittadino italiano iscritto all’AIRE e residente in Svizzera – Accertamento effettiva residenza – Tassazione
Rilevato che
1. Con avviso di accertamento n. T9K010801880/2010 l’Agenzia delle Entrate, contestata l’omessa dichiarazione, recuperava a tassazione, per l’anno 2004, i redditi da lavoro corrisposti a M. M. da B&B Italia s.p.a. e quelli assimilati a redditi da lavoro dipendente corrisposti dall’INPS, sul presupposto che egli, cittadino italiano, residente in Svizzera ed iscritto all’AIRE, avesse domicilio fiscale in Italia.
2. La Commissione tributaria provinciale di Como, adita dal contribuente, accoglieva il ricorso.
3. La Commissione tributaria regionale della Lombardia rigettava l’appello dell’Agenzia.
In particolare, la C.T.R. evidenziava che la norma convenzionale OCSE, art. 4 paragrafo 2, prevede che, in caso di conflitto tra Stati circa la residenza fiscale di una persona fisica, il potere impositivo spetti preliminarmente allo Stato ove il soggetto abbia una abitazione permanente, in subordine a quello in cui abbia il proprio centro di interessi vitali, e ancora in subordine a quello in cui esso abbia una dimora abituale; evidenziava poi che nel caso di specie M. M., conformemente ai criteri indicati nella circolare 140E, aveva dimostrato di essere effettivamente residente in Svizzera dal 1997, di essere iscritto all’AIRE dal 1998, unitamente a moglie e figlio, di essere titolare del mutuo stipulato per l’acquisto dell’abitazione in Svizzera, di essere titolare di più utenze domestiche (elettricità, gasolio, telefono, acqua, televisione), che il figlio frequentava l’Università di Zurigo e la moglie lavorava in una scuola di Lugano;
riteneva infine irrilevante, a fronte di tali plurimi elementi, che egli lavorasse presso una società con sede in Italia, avendo anche dimostrato (a mezzo estratti Telepass) di recarsi giornalmente al lavoro dalla propria abitazione in Svizzera, vista la poca distanza.
4. Ricorre, contro la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, l’Agenzia delle entrate, con due motivi;
resiste con controricorso M. M. che propone altresì ricorso incidentale.
Il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 4 maggio 2022, ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380-bis.1, cod. proc. civ., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal d.l. 31 agosto 2016, n.168, conv. in legge 25 ottobre 2016, n.197.
Considerato che
1. Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 10 della I. 23 dicembre 1998, n. 448, dell’art. 2 t.u.i.r., dell’art. 43 cod. civ. e dell’art. 4, paragrafo 2, modello OCSE, in combinato disposto con gli artt. 2697 cod. civ. e ss. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
La ricorrente censura la violazione dell’art. 2697 cod. civ. perché pur potendo M.M. dimostrare in modo ampio, come previsto dalla circolare ministeriale n. 140/E del 24 giugno 1999, di aver interrotto significativi rapporti con lo Stato italiano, nel caso di specie non abbia assolto l’onere probatorio, in quanto contraddetto dall’incarico lavorativo svolto presso la società B&B Italia s.p.a., svolto dal 1987 al 2001 quale dirigente e dal 2001 quale amministratore delegato, con poteri di firma e gestione di 3 stabilimenti, che necessariamente imponevano una presenza stabile in Italia.
Premessa l’irrilevanza della sola iscrizione del cittadino all’AIRE, la residenza fiscale, ai sensi dell’art. 2 t.u.i.r., infatti, si determina anche in base al domicilio che a sua volta, in base all’art. 43 cod. civ., è nel luogo ove la persona ha la sede dei propri affari e interessi, tali essendo non solo quelli personali ma anche patrimoniali, che nel caso di specie (ove il resistente è amministratore di una società e con incarico di gestire tre stabilimenti, in Novedrate, Misinto e Ascoli Piceno, con necessaria presenza stabile e continua in Italia) sarebbero preminenti.
Inoltre, la C.T.R. avrebbe errato nell’applicare la normativa OCSE e del resto non sarebbe possibile far riferimento alla giurisprudenza della Corte di Giustizia non essendo la Svizzera un paese UE.
2. Con il secondo motivo l’Agenzia delle entrate lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2 t.u.i.r. come modificato dall’art. 10 della I. 23 dicembre 1998, n. 448, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
L’art. 2 t.u.i.r., modificato dall’art. 10 I. 448 del 1998, prevede infatti che si considerino residenti, salvo prova contraria, i cittadini italiani cancellati ed emigrati in Stati e Territori in regime fiscale privilegiato, individuati con D.M. e la Svizzera è indicata dal D.M. 4 maggio 1990 quale uno di essi.
3. Con l’unico motivo di ricorso incidentale, M. M. censura la violazione degli artt. 359 e 276 cod. proc. civ., e 1, secondo comma, d.lgs. 546 del 1992, per avere il giudice dichiarata assorbita la questione pregiudiziale relativa all’inesistenza della notifica dell’avviso di accertamento per violazione dell’art. 60 d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600, sotto il profilo dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
Il ricorrente incidentale deduce infatti l’inesistenza della notificazione dell’avviso di accertamento, perché, in violazione delle previsioni dell’art. 60 d.P.R. 600 del 1973, che prevede che essa dovesse farsi con raccomandata all’indirizzo di residenza risultante dall’AIRE e, in caso di esito negativo, presso la casa comunale dell’ultima residenza italiana, sarebbe avvenuta presso la sede della società B&B Italia s.p.a. a Novedrate e presso lo studio del ragioniere C. a Milano, soggetti estranei al rapporto tributario né eletti mai come domiciliatari.
La questione era stata rigettata dalla C.T.P. sul rilievo della sanatoria di cui all’art. 156 cod. proc. civ. e riproposta in appello ma la C.T.R. l’aveva ritenuta assorbita; tale statuizione violerebbe l’art. 276, secondo comma, cod. proc. civ., applicabile al giudizio tributario di appello, in forza dell’art. 359 cod. proc. civ. e del richiamo di cui all’art. 1, comma 2 dlgs. 546 del 1992; il motivo di appello sulla inesistenza della notifica avrebbe carattere pregiudiziale rispetto al merito della pretesa contenuta nell’accertamento e quindi il giudice d’appello avrebbe dovuto esaminarla preliminarmente.
4. Occorre evidenziare che, alla luce dell’esito integralmente favorevole per M. M. del primo e del secondo grado di giudizio, il motivo di ricorso incidentale del medesimo va considerato come condizionato all’esito dell’accoglimento del ricorso principale, che va quindi esaminato preliminarmente.
Ciò in applicazione del principio che, alla stregua del principio costituzionale della ragionevole durata del processo, secondo cui fine primario di questo è la realizzazione del diritto delle parti ad ottenere risposta nel merito, in tema di giudizio di cassazione, il ricorso incidentale proposto dalla parte totalmente vittoriosa nel giudizio di merito, che investa questioni preliminari di merito o pregiudiziali di rito (quale, nella specie, l’illegittimità dell’atto per motivi formali legati all’asserita inesistenza della notifica) ha natura di ricorso condizionato all’accoglimento del ricorso principale, indipendentemente da ogni espressa indicazione di parte, sicché, laddove le medesime questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito siano state oggetto di decisione esplicita o implicita da parte del giudice di merito, tale ricorso incidentale va esaminato dalla Corte solo in presenza dell’attualità dell’interesse, ovvero unicamente nell’ipotesi della fondatezza del ricorso principale (Cass., Sez. U., 06/03/2009, n. 5456; successivamente costantemente seguita: Cass., Sez. U., 25/03/2013, n. 7381; Cass. 14/03/2018, n. 6138).
Nel caso in esame la questione oggetto del ricorso incidentale è stata esplicitamente decisa avendola ritenuta la C.T.R. assorbita (Cass. 03/02/2020, n. 2334, secondo cui in tema di provvedimenti del giudice, l’assorbimento in senso improprio – configurabile quando la decisione di una questione esclude la necessità o la possibilità di provvedere sulle altre – impedisce di ritenere sussistente il vizio di omessa pronuncia, il quale è ravvisabile solo quando una questione non sia stata, espressamente o implicitamente, ritenuta assorbita da altre statuizioni della sentenza; Cass. 26/01/2016, n. 1360; Cass. 27/12/2013, n. 28663).
5. Il primo motivo di ricorso principale, con cui l’Agenzia deduce la violazione di legge, in particolare dell’art. 10 della I. 23 dicembre 1998, n. 448, degli artt. 2 t.u.i.r., 43 cod. civ. e 4, paragrafo 2, modello OCSE, in combinato disposto con gli artt. 2697 cod. civ., va trattato unitamente al secondo ove essa deduce la violazione dell’art. 2, comma 2-bis, del d.P.R. 917 del 1986, il quale prevede che si presuma residente in Italia chi ha trasferito la residenza in paese a fiscalità privilegiata; tali paesi sono individuati dal d.m. 4 maggio 1999 e tra essi vi è la Svizzera.
5.1. Occorre precisare che la previsione contenuta nel comma 2- bis citata si applica in relazione ai periodi di imposta successivi alla data di entrata in vigore della l. n. 488 del 1998, art. 10, (che ha inserito nell’art. 2 t.u.i.r., il suddetto comma). Non si tratta, invero, di una applicazione retroattiva della norma, in quanto la stessa, sotto il profilo della introduzione della disciplina dell’inversione dell’onere della prova in materia di residenza di cittadini italiani che si sono trasferiti all’estero presso Stati a fiscalità privilegiata, opera per i periodi di imposta successivi alla data di entrata in vigore, dunque dal 1999; non rileva l’epoca di cancellazione dalle anagrafi della popolazione residente e di emigrazione all’estero, nella specie il 1998, poichè ciò che conta è la ricorrenza, anno per anno, dei requisiti per essere considerato residente all’estero ovvero residente o domiciliato in Italia secondo i parametri vigenti in ciascun anno, senza che venga in rilievo l’epoca d’iniziale cancellazione anagrafica (Cass. 01/03/2019, n. 6081; Cass. 21/01/2015, n. 960).
La presunzione in parola ammette però prova contraria (Cass. 30/09/2016, n. 19484).
5.2. Ciò premesso, la violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ., dedotta dall’Agenzia ricorrente, e che ha un senso solo se riferita alla presunzione relativa di cui al predetto comma 2-bis, è censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non, invece, laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti, cioè quando, in base ad una eventualmente incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia errato nel ritenere che la parte onerata abbia assolto tale onere (Cass. 07/10/2021, n. 27225; Cass. 29/05/2018, n. 13395; Cass. 20/01/2006, n. 1131). Nel caso di specie espressamente la Commissione tributaria nell’affermare che M. M. ha «esaurientemente adempiuto all’onere probatorio posto a suo carico» ha evidentemente ritenuto che l’onere gravasse sul medesimo, non invertendo gli oneri probatori.
La C.T.R., dopo aver peraltro richiamato la circolare 140E del 1999 dell’Agenzia delle entrate, che elenca una serie di elementi in base ai quali la parte possa dimostrare l’effettività della residenza nello Stato estero a fiscalità privilegiata, e che vanno considerati e valutati in una visione globale, atteso che il superamento della prova contraria alla presunzione legale non può che scaturire da una complessiva considerazione della posizione del contribuente, ha concluso, con un accertamento in fatto non sindacabile in questa sede, ritenendo non fittizio il trasferimento della residenza all’estero.
5.3. Quanto alla violazione dell’art. 2 t.u.i.r. e dell’art. 43 cod. civ., si evidenzia che la prima disposizione prevede che «soggetti passivi dell’imposta sono le persone fisiche, residenti e non residenti nel territorio dello Stato» e che «ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo di imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile».
Posto che nel caso di specie il ricorrente è residente in Svizzera (anche alla luce di quanto sopra evidenziato) ed è iscritto all’A.I.R.E. (anagrafe dei residenti all’estero), il criterio di attribuzione della residenza fiscale in Italia invocato dall’ufficio sarebbe rappresentato dal domicilio.
Sul punto, una costante giurisprudenza di questa Corte evidenzia che esso debba essere inteso come la sede principale degli affari ed interessi economici nonché delle relazioni personali, come desumibile da elementi presuntivi (Cass. 08/10/2020, n. 21694, Cass. 15/06/2010, n. 14434; Cass. 07/11/2001, n. 13803); il concetto di domicilio va valutato cioè in relazione al luogo in cui la persona intrattiene sia i rapporti personali che quelli economici (Cass., Sez. U., 29/11/2006 n. 25275; recentemente Cass. 14/05/2021, n. 14240) dovendo il concetto di interessi, in contrapposizione a quello di affari, intendersi comprensivo anche degli interessi personali (Cass. 1/03/12019, n. 6081; Cass. 29/12/2011, n. 29576).
E nel caso di specie, la C.T.R., pur non esplicitamente richiamando tale disposizione, ha negato che possa attribuirsi al M. un domicilio in Italia, adeguatamente soppesando i vari elementi dedotti e provati dal ricorrente ai fini della residenza, attinenti alla sfera personale e familiare, evidenziando alla loro luce che da molti anni la parte abbia stabilito il proprio centro di interessi vitali in Svizzera, unitamente al proprio nucleo familiare, e che non vi fossero altri elementi gravi, precisi e concordanti di segno contrario, tenuto conto che la vicinanza tra luogo di residenza e sede di lavoro non impedisse di considerare il centro di interessi vitali in Svizzera, con valutazione di fatto del resto non solo non censurabile in questa sede ma apoditticamente contestata, affermando l’Agenzia che «l’Italia è il paese dove ha intessuto i rapporti sociali e professionali normali che influenzano in misura totalitaria i suoi legami al di là del confine ».
Il motivo va dunque respinto.
5.4. A sua volta il par. 4 del modello di Convenzione Ocse, applicato dalla C.T.R. e contestato nella sua rilevanza giuridica dalla ricorrente, è in realtà stato trasfuso (come evidenziato anche dal controricorrente) nell’art. 4 della Convenzione tra la Repubblica italiana e la Confederazione svizzera per evitare le doppie imposizioni, ratificata con l. 23/12/1978, n. 943; in esso è previsto che «ai fini della presente Convenzione, l’espressione “residente di uno Stato contraente” designa ogni persona che, in virtù della legislazione di detto Stato, è assoggettata all’imposta nello stesso Stato, a motivo del suo domicilio, della sua residenza, della sede della sua direzione o di ogni altro criterio di natura analoga».
Il secondo comma dell’art. 4 prevede poi che «Quando, in base alle disposizioni del paragrafo 1, una persona fisica è considerata residente di entrambi gli Stati contraenti, la sua situazione è determinata nel seguente modo: a) detta persona è considerata residente dello Stato contraente nel quale ha un’abitazione permanente. Quando essa dispone di un’abitazione permanente in ciascuno degli Stati contraenti, è considerata residente dello Stato contraente nel quale le sue relazioni personali ed economiche sono più strette (centro degli interessi vitali); b) se non si può determinare lo Stato contraente nel quale detta persona ha il centro dei suoi interessi vitali, o se la medesima non ha un’abitazione permanente in alcuno degli Stati contraenti, essa è considerata residente dello Stato contraente in cui soggiorna abitualmente».
L’abitazione permanente in Svizzera è elemento che la C.T.R. ha evidenziato quale criterio di soluzione dei casi in cui entrambi gli Stati possano considerare residente fiscalmente il contribuente e la censura sul punto si profila del tutto generica (“come spiegato nell’atto di appello non era possibile applicare direttamente nel caso in esame la normativa OCSE”), riferendosi le ulteriori considerazioni della ricorrente alla presunta inapplicabilità di orientamenti della Corte di Giustizia, dei quali però nella sentenza non vi è alcun cenno. Occorre appena evidenziare che la convenzione stipulata tra gli Stati, al pari delle altre norme internazionali pattizie, riveste carattere di specialità rispetto alle corrispondenti norme nazionali e quindi prevale su queste ultime, dovendo la potestà legislativa essere esercitata nel rispetto dei vincoli derivanti, tra l’altro, dagli obblighi internazionali sanciti dall’art. 117, primo comma, Cost. (Cass. 14/05/2021, n. 14240).
Occorre, alla luce del rigetto del ricorso principale, in applicazione dei principi espressi al par. 4, dichiarare assorbito il ricorso incidentale.
6. Pertanto, il ricorso principale va rigettato, con assorbimento del ricorso incidentale.
Le spese seguono la soccombenza dell’Agenzia e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso principale; dichiara assorbito il ricorso incidentale;
condanna Agenzia delle entrate al pagamento in favore di M.M. delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 6.500,00 per compensi, oltre spese forfettarie nella misura del 15%, euro 200,00 per esborsi ed accessori di legge.
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