CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 6684 depositata il 6 marzo 2023
Tributi – IRPEF e IVA – Crediti per tasse regionali automobilistiche – Notifica – Errore di fatto – Mancata impugnazione del preavviso di iscrizione ipotecaria non preclude la possibilità di impugnare il successivo atto di iscrizione ipotecaria – Efficacia interruttiva dei termini di prescrizione dell’atto di preavviso – Accoglimento – revocazione delle sentenze della Corte di cassazione ed errore di fatto – L’errore di fatto della sentenza impugnata attiene alla supposizione di inesistenza di un fatto – l’accettazione da parte del cancelliere degli atti e documenti depositati dalla parte che si costituisce, tramite l’apposizione del timbro di cancelleria in calce all’indice del fascicolo senza l’annotazione di alcun rilievo formale, fa presumere la regolare produzione degli stessi – il ritiro” del fascicolo di parte e comunque soggetta ad attestazione della cancelleria – la scadenza del termine perentorio sancito per opporsi o impugnare un atto di riscossione mediante ruolo, o comunque di riscossione coattiva, produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito, ma non anche la cd. “conversione” del termine di prescrizione breve eventualmente previsto in quello ordinario decennale – l’impugnazione da parte del contribuente di un atto non espressamente indicato dall’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, il quale, tuttavia, abbia natura di atto impositivo .., è una facoltà e non un onere, il cui mancato esercizio non preclude la possibilità d’impugnazione con l’atto successivo – sia l’iscrizione ipotecaria ex art. 77 del d.P.R. nr. 692 del 1973 che il preavviso di iscrizione sono idonei a produrre effetti interruttivi qualora presentino i connotati dell’atto di costituzione in mora
Esposizione dei fatti di causa
1. l’Agenzia delle Entrate Riscossione ricorreva per la cassazione della sentenza con cui la CTR della Campania aveva ritenuto prescritti i crediti erariali per Irpef e IVA ed i crediti per tasse regionali automobilistiche recate da alcune cartelle notificate da essa ricorrente a C.S. tra il 2001 ed il 2008 “essendo decorsi ben oltre dieci anni (crediti Irpef ed Iva), cinque anni e tre anni per gli altri crediti (tasse regionali automobilistiche) [tra la data di notifica delle cartelle] e la data [27 novembre 2014] di notifica [del successivo atto interruttivo costituito dal] preavviso di fermo amministrativo, non impugnato”.
Il contribuente non si costituiva.
La Corte dichiarava l’improcedibilità del ricorso, ai sensi dell’art.369 c.p.c., in quanto difettava la prova del fatto che ne fosse stata effettuata la notifica al contribuente.
Avverso la sentenza della Suprema Corte ha proposto ricorso per revocazione l’Agenzia delle Entrate – Riscossione svolgendo un unico motivo, illustrato nelle memorie difensive.
Il contribuente non si è costituito.
Il P.G. ha concluso per l’inammissibilità del ricorso per revocazione.
Esposizione delle ragioni di diritto
2. In via preliminare, si osserva che questa Corte ha statuito che l’art. 330 c.p.c., – secondo cui l’impugnazione deve essere notificata, in mancanza di diversa indicazione contenuta nell’atto di notificazione della sentenza, presso il procuratore costituito o nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto per il giudizio, – si applica anche alla revocazione per errore di fatto contro le sentenze della Corte di cassazione, rientrando questa tra i mezzi di impugnazione (Cass., 20 settembre 2021, n. 25349; Cass., 14 novembre 2014, n. 24334; Cass., 20 aprile 2006, n. 9174; Cass., 6 ottobre 2000, n. 13342; Cass., 21 settembre 1995, n. 10005).
3.Con un unico motivo di ricorso la concessionaria denuncia, ai sensi dell’art. 395, n.4, c.p.c., l’erronea supposizione da parte della sentenza impugnata dell’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente affermata, laddove la Corte afferma che il ricorso non risultava notificato alla controparte, avendo essa società prodotto la prova documentale dell’intervenuta notifica, risultando, ad avviso della stessa sia il timbro dell’ufficiale giudiziario che la consegna a mani dell’incaricato alla ricezione avvenuta in data 9.11.2017 presso lo studio dell’avv. M.M., indirizzo di domiciliazione indicato anche nella sentenza della CTR Campania.
3. Il ricorso è fondato.
4. Per consolidata interpretazione in materia di revocazione delle sentenze della Corte di cassazione, l’errore di fatto di cui all’art. 395 n. 4, c.p.c. deve consistere in una disamina superficiale di dati di fatto che abbia quale conseguenza l’affermazione o la negazione di elementi decisivi per risolvere la questione, ovvero in un errore meramente percettivo, risultante in modo incontrovertibile dagli atti e tale da aver indotto il giudice a fondare la valutazione della situazione processuale sulla supposta inesistenza (od esistenza) di un fatto, positivamente acquisito (od escluso) nella realtà del processo, che, ove invece esattamente percepito, avrebbe determinato una diversa valutazione della situazione processuale. E invece inammissibile il ricorso ex art. 395, n. 4, c.p.c., ove vengano dedotti errori di giudizio concernenti i motivi di ricorso esaminati dalla sentenza della quale è chiesta la revocazione, ovvero l’errata valutazione di fatti esattamente rappresentati o, ancora, l’omesso esame di atti difensivi, asseritamente contenenti argomentazioni giuridiche non valutate (Cass. 22/09/2014, n. 19926; Cass. 09/12/2013, n. 27451; Cass. Sez. Un. 28/05/2013, n. 13181; Cass. 12/12/2012, n. 22868; Cass. 18/01/2012, n. 714; Cass. Sez. Un. 30/10/2008, n. 26022). In particolare, è consolidato l’orientamento giurisprudenziale secondo cui una sentenza della Corte di cassazione non possa essere impugnata per revocazione in base all’assunto che essa abbia male valutato i motivi di ricorso, perché un vizio di questo tipo costituirebbe un errore di giudizio e non un errore di fatto ai sensi dell’art. 395, comma 1, numero 4, c.p.c. (Cass. Sez. 6 – L, 03/04/2017, n. 8615; Cass. Sez. 6 – 3, 15/06/2012, n. 9835). Si è altresì già affermato che la configurabilità dell’errore revocatorio sia del tutto da escludersi quando si prospetti che la decisione della Corte di cassazione sia conseguenza di una pretesa errata valutazione od interpretazione delle risultanze processuali, ovvero, in particolare di un errato giudizio espresso dalla sentenza di legittimità sulla violazione del cosiddetto “principio di autosufficienza” in ordine ai motivi di ricorso, per omessa indicazione e trascrizione dei documenti su cui erano fondate le censure (Cass. 10466/2011; n. 2236/2022; Cass. 26890/2019; Cass., Sez. 6 – 5, 31/08/2017, n. 20635; Cass. Sez. 2, 22/06/2007, n. 14608; Cass. Sez. 1, 23/05/2006, n. 12154).
4.1 La sentenza n. 16370/2021 della Corte di cassazione, qui impugnata, ravvisò tuttavia l’inammissibilità del ricorso per cassazione affermando la mancanza della prova della notificazione alla controparte. In realtà, la copia dell’originale del ricorso per cassazione presentava effettivamente l’assenza della relata ed un nome illeggibile, mentre l’originale del ricorso- regolarmente depositato nel fascicolo di parte – presentava in calce sia la relata che l’attestazione dell’avvenuta consegna all’incaricato del legale che nel giudizio di appello aveva difeso il contribuente.
L’affermazione dell’impugnata sentenza di questa Corte, secondo cui non era stata offerta prova della notificazione del ricorso è, dunque, frutto di errore di fatto, che rende la sentenza n 163370/2021 della Corte di cassazione suscettibile di revocazione ex art. 391 bis c.p.c.
L’errore di fatto della sentenza impugnata attiene alla supposizione di inesistenza di un fatto (vale a dire, non aver provato il ricorrente la notifica del ricorso per cassazione) falsamente percepito, come emerge direttamente dall’originale del ricorso su cui risulta la notificazione avvenuta il 9 novembre 2017; tale errore ha altresì avuto carattere decisivo, in quanto ha costituito la ragione essenziale e determinante della pronuncia di inammissibilità del ricorso.
Ebbene, in caso di revocazione proposta avverso la sentenza con cui la Suprema Corte abbia dichiarato inammissibile un ricorso per carenza della prova della sua notificazione all’intimato, la prova della sua presenza nel fascicolo di parte può essere fornita dimostrando l’espressa menzione dell’atto nell’indice del fascicolo sottoscritto dal funzionario ovvero sulla base di altri elementi, a condizione che essi non rientrino nella disponibilità materiale della parte che avrebbe interesse a fornire tale dimostrazione e, dunque, diversi dall’indice a suo tempo vistato dalla cancelleria ( e poi eventualmente ritirato dalla parte: Cass., 21 maggio 2015, n. 10517).
Nella concreta fattispecie, l’avvenuto deposito del ricorso per cassazione con relativa relazione di notificazione risulta chiaramente dall’indice del fascicolo di parte presente al fascicolo di ufficio – ex art. 74, d.a. c.p.c. – sottoscritto dal funzionario di Cancelleria con attestazione anche della data di notificazione del ricorso all’avv. M.M..
Questa Corte ha precisato che: “Nel processo tributario, come in quello civile, l’accettazione da parte del cancelliere degli atti e documenti depositati dalla parte che si costituisce, tramite l’apposizione del timbro di cancelleria in calce all’indice del fascicolo, ai sensi dell’art. 74, quarto comma, disp. att. cod. proc. civ., senza l’annotazione di alcun rilievo formale, fa presumere la regolare produzione degli stessi.” (Cass. n. 12670/2015).
In relazione alla requisitoria del P.G., si osserva che il ritiro e il rideposito del fascicolo di parte devono necessariamente avvenire per il tramite del cancelliere che custodisce l’incartamento processuale, ove non risulti alcuna annotazione dell’avvenuto ritiro del fascicolo di una parte (e quindi neanche del successivo rideposito), il giudice non può rigettare una domanda o un’ eccezione per mancanza di una prova documentale inserita del fascicolo di parte ovvero decidere pur essendo presente in atti la prova del deposito dell’atto risultante mancante ( in questo caso la relata di notifica risultava dall’indice del fascicolo di parte presente nel fascicolo d’ufficio e mai ritirato), ma deve ritenere (in carenza di contraria risultanza, ovvero della prova rigorosa fornita da controparte che l’appellante abbia ritirato il proprio fascicolo) che le attività delle parti e dell’ufficio si siano svolte nel rispetto delle norme processuali e quindi che il fascicolo non sia mai stato ritirato dopo l’avvenuto deposito (Cass. 15060/2003, tale principio, consolidato nelle sentenze Cass. n. 977/1986, n. 12299/1999, n. 11201/2000, n. 13897/2000, risulta confermato, con sfumature del caso concreto, in Cass. nn. 12351/2004, 15206/2005, 8290/2006, 29262/2008, 12250/10, 12369/2014).
In definitiva, l’ipotetica “possibilità del ritiro” del fascicolo di parte e comunque soggetta ad attestazione della cancelleria, non appartiene certo all’onere probatorio che può pretendersi dal ricorrente in revocatoria. Orbene, essendo l’attestazione della cancelleria l’elemento probatorio incontrovertibile dell’avvenuto deposito (Cass. n. 19174/2016), l’annotazione del cancelliere (che è fidefaciente v. Cass. n. 27536/2013) sull’indice del fascicolo di parte è idonea a dimostrare che il ricorso in originale recante in calce la relazione di notificazione non sia mai stata ritirata.
5. Rivelatosi l’errore di fatto ed individuate le parti della citata sentenza della Corte di Cassazione da rescindersi nella decisione sull’inammissibilità del ricorso, deve ora procedersi al giudizio rescissorio.
6. Con il primo motivo, il ricorrente lamentava la violazione dell’art. 2935 c.c., ritenendo erronea la decisione della Commissione tributaria regionale che aveva ritenuto prescritta la pretesa creditoria dell’Agenzia in quanto erano decorso più di dieci anni per i tributi IVA e Irpef dal giorno in cui i crediti potevano essere fatti valere ed oltre cinque anni e tre anni per gli altri tributi ( tasse auto).
La regionale avrebbe errato nel calcolare il dies a quo dalla notifica della cartelle e non invece dalla data della notifica del preavviso di iscrizione ipotecaria del 27 novembre 2014, non impugnata dal contribuente.
7. Con la seconda censura, l’amministrazione finanziaria deduce la violazione degli artt. 17, 18, 19 e 20 d.lgs. N. 46/99 nonché degli artt. 19 e 20 d.lgs. 122/99, in relazione all’art. 2946 c.c. ex art. 360 c.p.c.; per avere i giudici regionali fatto applicazione del principio affermato dalle Sezioni unite n. 23397/2016 secondo le quali la non opposizione della cartella genera l’irretrattabilità del credito;
mentre nella specie, il termine doveva decorrere dalla data di notifica del preavviso di iscrizione ipotecaria ( 27/11/2014).
Secondo l’Agenzia a decorrere dalla notifica della cartelle non è possibile più fare riferimento ai singoli termini di prescrizione dei crediti da esse recati, con la decorrenza originariamente fissata dalla legge bensì alla ordinaria prescrizione per l’unico credito pecuniario nel quale sono confluite le singole voci e con unitaria decorrenza dalla notifica della cartella.
8. La terza censura prospetta error in procedendo e nullità della sentenza dei giudici di appello per aver dichiarato la prescrizione del diritto a riscuotere il credito portato dalla cartella esattoriale (la n. 07120050112546429000) notificata il 14.10.2005, atteso che concernendo crediti Iva ed irpef la prescrizione decennale non si era compiuta.
9. Il quarto motivo – violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., reitera le medesime doglianze in punto di prescrizione dei crediti portati dalla predetta cartella notificata il 14 10.2005.
10. La quinta censura deduce l’omesso esame di un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione ex art. 360 n.5, c.p.c. per avere il decidente omesso di esaminare la data di notificata della prefata cartella esattoriale.
11. L’ultimo strumento di ricorso deduce violazione dell’art. 91 c.p.c. per avere il giudicante condannato l’agenzia al pagamento delle spese di lite, mentre dovendosi accogliere l’odierno ricorso, le spese dovranno essere nuovamente regolate.
12. La prima e la seconda censura, in quanto osmotiche, possono essere trattate congiuntamente.
Esse sono destituite di fondamento.
Correttamente la Commissione Regionale ha fatto applicazione del principio enunciato dalle S.U. citate secondo le quali” Il principio, di carattere generale, secondo cui la scadenza del termine perentorio sancito per opporsi o impugnare un atto di riscossione mediante ruolo, o comunque di riscossione coattiva, produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito, ma non anche la cd. “conversione” del termine di prescrizione breve eventualmente previsto in quello ordinario decennale, ai sensi dell’art. 2953 c.c., si applica con riguardo a tutti gli atti – in ogni modo denominati – di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva di crediti degli enti previdenziali, ovvero di crediti relativi ad entrate dello Stato, tributarie ed extratributarie, nonché di crediti delle Regioni, delle Province, dei Comuni e degli altri Enti locali, nonché delle sanzioni amministrative per la violazione di norme tributarie o amministrative e così via. Pertanto, ove per i relativi crediti sia prevista una prescrizione (sostanziale) più breve di quella ordinaria, la sola scadenza del termine concesso al debitore per proporre l’opposizione, non consente di fare applicazione dell’art. 2953 c.c., tranne che in presenza di un titolo giudiziale divenuto definitivo”.
Pertanto, ove per i relativi crediti sia prevista una prescrizione (sostanziale) più breve di quella ordinaria, la sola scadenza del termine concesso al debitore per proporre l’opposizione, non consente di fare applicazione dell’art. 2953 c.c., tranne che in presenza di un titolo giudiziale divenuto definitivo; che, alla luce del principio che precede, dunque, la mancata impugnazione degli atti impositivi/esecutivi rende irretrattabili i crediti d’imposta, senza incidere sul relativo termine prescrizionale, che è quello ordinario decennale, salvo che non sia per essi espressamente previsto ex lege un termine inferiore.
Non può trovare condivisione la tesi addotta dall’Agenzia secondo la quale, in mancanza di impugnazione del preavviso di iscrizione, il nuovo termine di prescrizione decorreva dalla notifica di detto atto, in quanto non opposto, e non dalle cartelle esattoriali.
Difatti, occorre ribadire che «In tema di contenzioso tributario, l’impugnazione da parte del contribuente di un atto non espressamente indicato dall’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, il quale, tuttavia, abbia natura di atto impositivo .., è una facoltà e non un onere, il cui mancato esercizio non preclude la possibilità d’impugnazione con l’atto successivo .. » (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 14675 del 18/07/2016, Rv. 640514 — 01; conforme Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 14045 del 04/05/2017, non massimata). Erra dunque la ricorrente allorchè fonda il proprio ricorso, affermando la preclusività della mancata impugnazione del preavviso di iscrizione ipotecaria. Pur dovendosi affermare — per adesione alla giurisprudenza di questa Corte – che tale atto prodromico – procedimentalmente obbligatorio – sia autonomamente impugnabile, è altresì evidente che lo stesso non rientra nell’elenco di cui all’art. 19, d.lgs. 546/1992.
Quindi la sua impugnazione non può che considerarsi meramente facoltativa e non preclusiva di quella del successivo atto di iscrizione ipotecaria, la cui natura di atto autonomamente ed obbligatoriamente impugnabile è invece sancita da tale disposizione legislativa processuale.
In altri termini, l’impugnazione da parte del contribuente della diffida di pagamento ovvero – come in questo caso- del preavviso di iscrizione ipotecaria, trattandosi di un atto non espressamente indicato dall’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, è una facoltà volta ad estendere gli strumenti di tutela e non un onere, con la conseguenza che, in mancanza di essa, la pretesa tributaria non si cristallizza e, pertanto, non è preclusa la successiva impugnazione di uno degli atti tipici previsti dalla predetta disposizione normativa (Cass. 11471/2018).
13. La terza e la quarta censura, che riproducono le medesime doglianze, meritano invece accoglimento.
Secondo l’indirizzo di questa Corte (Cass. n. 18305/2020; n. 850/2021; n. 14213/2022) deve attribuirsi sia all’iscrizione ipotecaria ex art. 77 del d.P.R. nr. 692 del 1973 che al preavviso di iscrizione l’idoneità a produrre effetti interruttivi qualora presentino i connotati dell’atto di costituzione in mora, a norma dell’art. 2943, comma 4, cod.civ., e cioè se integrino una manifestazione scritta di esercizio e di tutela del diritto da parte del creditore, comunicata personalmente al debitore, secondo una valutazione che è oggetto di accertamento rimesso al giudice del merito.
Il preavviso di iscrizione ipotecaria è un atto con cui il creditore fa valere il suo diritto al pagamento, come è stato altrimenti detto, è un atto funzionale a portare a conoscenza del debitore la pretesa dell’Amministrazione finanziaria (Cass. n. 22018/2017; Cass. 26052/2011). In quanto tale, già per il solo suo contenuto di atto “informativo” della pretesa tributaria, è idoneo ad interrompere la prescrizione; ma esso vale anche come richiesta di pagamento, a garanzia della quale si avvisa che sarà iscritta ipoteca, in caso di inadempimento. Ritenuta l’efficacia interruttiva propria del menzionato preavviso di iscrizione, il quinto motivo va considerato assorbito così come l’ultima censura, atteso che la disciplina delle spese del giudizio di appello andrà valutata in sede di rinvio.
E’ dunque errata la decisione impugnata nella parte in cui ha ritenuto decorsa la prescrizione negando al preavviso l’efficacia interruttiva e ritenendo prescritti tutti i debiti tributari, anche quelli soggetti a prescrizione decennale ( Iva, Irpef) per i quali il termine al momento della data di notifica del preavviso citato non era ancora decorso.
Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità (cfr., da ultimo, Cass., Sez. 6-5, 26.6.2020, n. 12740, Rv. 658066-01 e Cass., Sez. 6-5, 11.12.2019, n. 32308, Rv. 656475-01) il termine prescrizionale dei tributi erariali quali I.R.P.E.F., I.R.A.P., I.R.E.S. ed I.V.A. (oggetto delle cartelle sottese al preavviso di iscrizione ipotecaria per cui è causa) è quello ordinarlo decennale, di cui all’art. 2946 cod. civ., non potendosi applicarsi l’estinzione per decorso quinquennale prevista dall’art. 2948, comma 1, n. 4, cod. civ. “per tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi”, in quanto l’obbligazione tributaria ad essi connessa, pur consistendo in una prestazione a cadenza annuale, ha carattere autonomo ed unitario ed il pagamento non è mai legato ai precedenti bensì risente di nuove ed autonome valutazione in ordine alla sussistenza dei presupposti impositivi.
In particolare, i diversi tributi possono avere termini prescrizionali differenti, se previsti dalla legge, altrimenti soggiacciono al termine ordinario decennale di prescrizione, con conseguente applicazione delle cause di interruzione previste dall’ordinamento. (Cass. Sez. 5 – , Ordinanza n. 24278 del 03/11/2020; Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 12740 del 26/06/2020, ex plurimis).
La notifica di una cartella di pagamento costituisce un mero atto interruttivo (cfr. artt. 2943 c.c. e s.s.), a partire dal quale inizia a decorrere un nuovo termine prescrizionale, proprio del singolo credito tributario azionato.
La decisione va cassata con rinvio alla corte di merito, per la valutazione dell’incidenza del suddetto principio di diritto sul decorso dei termini di prescrizione rispetto alla cartella n. 07120050112546429000, per crediti IVA ed Irpef notificata nell’anno 2005 (Cass. n. 5469/2019).
Deve difatti riconoscersi valenza interruttiva alla notifica del preavviso (che è menzionato dalla stessa CTR, la quale ha accertato l’estinzione, per prescrizione, dei crediti tributari perché erano decorsi oltre 10 anni tra la notifica delle cartelle e la notifica del preavviso di iscrizione ipotecaria) ancorchè la sua impugnazione debba ritenersi facoltativa essendo essa prescritta (solo) con riferimento all’iscrizione di ipoteca (art. 19 d.lgs. n. 546 del 1992).
Pertanto, la Regionale avrebbe dovuto considerare gli effetti interruttivi della prescrizione del preavviso notificato il 27.11.2014 rispetto alla cartella esattoriale n. 07120050112546429000, portante crediti Iva ed Irpef, notificata il 14.10.2005.
In definitiva, vanno accolti il terzo ed il quarto motivo del ricorso per revocazione avverso la sentenza della Corte di cassazione n. 16370/2021; va revocata la sentenza impugnata con la revocazione, nella parte in cui la stessa ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso per assenza della notificazione all’intimato; vanno, infine, giudicando in rescissorio, rigettati il primo ed il secondo motivo del ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate contro la sentenza della CTR della Campania n. 3391/32/2017, accolti invece il terzo ed il quarto motivo, assorbiti il quinto ed il sesto.
La sentenza di merito va cassata con rinvio alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Campania in diversa composizione, che deciderà anche sulla regolamentazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso per revocazione e revoca la sentenza n. 16370/2021; giudicando in rescissorio, accoglie il terzo ed il quarto motivo del ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate contro la sentenza della CTR della Campania n. 3391/32/2017, respinti il primo ed il secondo motivo, assorbiti il quinto ed il sesto; cassa la sentenza di merito impugnata e rinvia alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Campania che, in diversa composizione, deciderà anche sulla regolamentazione delle spese del presente giudizio.
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