CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 14 maggio 2021, n. 13101
Sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato – Adibizione ad altro appalto – Trattamento economico
Fatti di causa
1. Con precedente pronunzia giudiziale era stato accertato il carattere fittizio dell’appalto che la Società S. – Società Generale di Informatica S.p.A. – (anche S., di seguito) aveva affidato alla società A., alle cui dipendenze formalmente operavano tutti gli originari ricorrenti, e la sussistenza tra gli stessi e la S. di un rapporto di lavoro subordinato.
2. A seguito di tale pronuncia, G. S., D.M.R., C.M., G.P., A.D., M.A., P.L., B.C. convennero in giudizio la S. per ottenere, a titolo di adempimento del contratto di lavoro dichiarato esistente con la predetta società, il riconoscimento del diritto alle retribuzioni maturate nel periodo di adibizione, da parte del formale datore di lavoro (A.), ad altro appalto.
3. Con la sentenza del 28 marzo 2017 n. 1336, la Corte d’Appello di Roma confermò la sentenza del giudice di primo grado, che aveva rigettato la domanda dei lavoratori.
4. Questa Corte, con l’ordinanza 9 aprile 2019 n. 9859, ha rigettato il ricorso per cassazione proposto dagli odierni ricorrenti nei confronti della sentenza della Corte di Appello.
5. Essa ha rilevato che gli stessi ricorrenti avevano ammesso di avere percepito dalla società A., formale datrice di lavoro, i trattamenti economici in relazione alla prestazione effettivamente resa “in misura non inferiore a quella spettante per effetto della dichiarata sussistenza del rapporto con la S.”; ha, poi, ritenuto che i pagamenti effettuati dall’appaltatore interposto, successivamente all’ordine giudiziale di ripristino del rapporto, avevano effetto liberatorio, ai sensi dell’art. 27, comma 2, del d.lgs. n. 276/2003, nella lettura datane dalle Sezioni Unite di questa Corte n. 2990 del 2018, e che, pertanto, nulla era dovuto dalla S.
6. Avverso questa ordinanza D.M.R., A.D., B.C., C.M., G.P., G. S., M.A. e P.L. hanno proposto ricorso per revocazione, al quale Sogei – Società Generale di Informatica S.P.A. – ha resistito con tempestivo controricorso , illustrato da successiva memoria.
7. Il P.M. ha depositato memoria scritta, ai sensi dell’art. 23 c. 81 del dl. 28 ottobre 2020 n. 137, come conv. nella I. 18 dicembre 2020 n. 176, concludendo per l’inammissibilità, ovvero il rigetto del ricorso, conclusioni ribadite in sede di discussione orale.
Motivi della decisione
8. In via preliminare, deve osservarsi che non si ravvisano profili di incompatibilità nei confronti del componente del collegio che ha esaminato il precedente ricorso per Cassazione definito con l’Ordinanza n. 9859 del 2019.
9. Salvo che nell’ipotesi prevista dall’art. 395 n. 6 cod.proc.civ. (dolo del giudice), che non ricorre nella specie, secondo l’ordinamento processuale vigente non sussiste, infatti, per i magistrati che abbiano pronunciato la sentenza impugnata per revocazione, alcuna incompatibilità a partecipare alla decisione sulla domanda di revocazione, trattandosi di errore percettivo e non già valutativo che, come tale, ben può essere riparato anche dallo stesso giudice o collegio giudicante (Cass. 9 ottobre 2017 n. 23498).
10. I ricorrenti domandano la revocazione della ordinanza di questa Corte n. 9859 del 2019, imputandole di avere rigettato il ricorso per cassazione sull’erroneo presupposto che essi ricorrenti avevano percepito la retribuzione dalla S. nel periodo dedotto in giudizio. Deducono di non avere ricevuto alcuna retribuzione in esecuzione dell’appalto perché questo era pacificamente scaduto dopo la sentenza che aveva accertato l’illegittima interposizione.
11. Va dichiarata l’inammissibilità del ricorso per la decisiva ragione che il vizio denunciato è estraneo al perimetro del del mezzo impugnatorio delineato dall’art. 391 bis e dall’art. 395 cod.proc.civ. n. 4.
12. Questa Corte ha più volte affermato, in tema di revocazione delle sentenze della Corte di cassazione, che l’errore revocatorio si individua nell’errore meramente percettivo, risultante in modo incontrovertibile dagli atti del giudizio di legittimità e tale da aver indotto il giudice a fondare la valutazione della situazione processuale sulla supposta inesistenza (od esistenza) di un fatto, positivamente acquisito (od escluso) nella realtà del processo, che, ove invece esattamente percepito, avrebbe determinato una diversa valutazione della situazione processuale, e non nella pretesa errata valutazione di fatti esattamente rappresentati (tra le molte, Cass. Sez. Un., 30 ottobre 2008, n. 26022).
13. E’ stato precisato, inoltre, che restano fuori dall’area del vizio revocatorio: la sindacabilità di errori formatisi sulla base di un’assunta errata valutazione o interpretazione di fatti, documenti e risultanze processuali che investano direttamente la formulazione del giudizio sul piano logico-giuridico, perché siffatto tipo di errore, ove pure in astratta ipotesi fondato, costituirebbe un errore di giudizio e non un errore di fatto (Cass. Sez. Un. 24.11.2020 n. 26674, Cass. Sez. Un. Cass. Sez. Un. 10 novembre 2020 n. 25212, Cass. Sez. Un. 27 dicembre 2017, n. 30994, Cass. Sez. Un. 16 novembre 2016 n. 23306); l’erronea comprensione del contenuto giuridico concettuale delle difese (Cass. Sez. Un. 24.11.2020 n. 26674, Cass. 10 novembre 2020 n. 25212, cit., Cass. 22 marzo 2005, n. 6198) e l’inesatta qualificazione dei fatti ivi esposti (Cass. Sez. Un. 24.11.2020 n. 26674; Cass. 10 giugno 2009, n. 13367); l’errato apprezzamento di un motivo di ricorso (Cass. 15 giugno 2017, n. 14937).
14 E’ stato, inoltre, affermato che la pronunzia del giudice, che si assume erronea, sull’esistenza di uno o più fatti ritenuti pacifici per difetto di contestazione, costituisce frutto non di un errore meramente percettivo, ma di un’attività valutativa, nel senso che il giudice stesso, postasi la questione della mancanza di contestazioni in ordine all’esistenza di uno o più fatti determinati, l’ha risolta affermativamente all’esito di un giudizio di per sé incompatibile con l’errore di fatto e non idoneo, quindi, a costituire motivo di revocazione a norma dell’art. 395 cod.proc.civ., n. 4 (Cass. 31 marzo 2011 n. 7488).
15. A prescindere dal rilievo che la sentenza revocanda non ha affatto affermato che le retribuzioni domandate erano state corrisposte dalla Sogei, ma ha riconosciuto effetto liberatorio, ai sensi dell’art. 27 c. 3 del d.lgs. n 276/2003, alle retribuzioni che gli stessi ricorrenti avevano ammesso di avere ricevuto da A., è evidente che il ricorso per revocazione non denuncia un errore meramente percettivo, ma un, preteso, errore di giudizio valutativo, che è estraneo al ricorso per revocazione ex art. 395 cod.proc.civ. n. 4.
16. Conclusivamente, va dichiarata l’ inammissibilità del ricorso.
17. Le spese del giudizio, nella misura liquidata in dispositivo, seguono la soccombenza.
18. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dai ricorrenti.
P.Q.M.
Dichiara l’inammissibilità del ricorso.
Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in Euro 3.500,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso forfetario spese generali, oltre IVA e CPA.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
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