CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza n. 36326 depositata il 13 dicembre 2022
Tributi – Avviso di accertamento – IRPES, IRAP e IVA – Errore di fatto – Sospensione dei termini per impugnare – Inammissibilità
Fatti di causa
1. Con ordinanza n. 9606/2020 depositata in data 25/5/2020 la Corte di Cassazione dichiarava inammissibile il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza n. 824/2/18 della Commissione tributaria regionale della Calabria, la quale a sua volta aveva accolto l’appello dell’I.I.E. S.r.l. con socio unico, avverso la decisione della Commissione tributaria di Catanzaro n. 430/4/2014 con cui era stato rigettato il ricorso introduttivo sul presupposto, con riferimento alla notificazione dell’avviso di accertamento per IRPES, IRAP e IVA 2012.
2. La CTR aveva ritenuto nulla la notifica dell’atto impositivo in quanto indirizzata in luogo diverso dalla sede sociale della contribuente.
Infine, la suddetta pronuncia della Corte di Cassazione dismetteva il ricorso dell’Amministrazione finanziaria in quanto tardivo in considerazione del fatto che la sentenza d’appello era stata depositata il 18.5.2018 mentre il ricorso per cassazione risultava presentato per la notifica il 18.2.2019, oltre il termine semestrale di cui all’art.327 cod. proc. civ..
3. Avverso tale ordinanza l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per revocazione artt. 391-bis e 395, n. 4, cod. proc. civ. affidato ad un unico motivo, mentre la contribuente è rimasta intimata.
Ragioni della decisione
4. Con un unico motivo di ricorso l’Amministrazione lamenta l’errore revocatorio previsto dall’art. 395 n.4 cod. proc. civ. in cui sarebbe incorso il giudice di legittimità, per erronea supposizione di fatto processuale incidente sull’ammissibilità del ricorso per cassazione e sul termine di impugnazione della sentenza di merito, per un triplice profilo:
a) errore percettivo, in quanto nel pronunciare sull’ammissibilità del ricorso la percezione del fatto è stata fuorviata dalla supposizione che il periodo per impugnare fosse pari ad un semestre, senza tener conto della sospensione dei termini di cui all’art. 6 comma 11 del d.l. n.119/2018 conv. in l. n.136/2018 che conduceva alla scadenza del termine per impugnare al 2.9.2019, con conseguente tempestività del ricorso presentato per la notifica il 18.2.2019;
b) errore di diritto, perché l’ordinanza impugnata non contiene il richiamo all’art.6 comma 11 del d.l. n.119/2018 conv. in l. n.136/2018 e neppure risulta che tale disposto sia stato ritenuto inapplicabile in virtù di un ragionamento giuridico; c) inique conseguenze si trarrebbero dall’applicazione alla fattispecie di un orientamento giurisprudenziale – ritenuto minoritario – della giurisprudenza di legittimità, dovendosi interpretare l’art.395 n.4 cod. proc. civ., per come richiamato dall’art.391 bis cod. proc. civ. in modo da consentire il ricorso più ampio possibile alla revocazione, specie nei casi in cui, trattandosi di provvedimenti di ultimo grado l’errore non risulti rimediabile.
5. Il motivo è complessivamente inammissibile. Va rammentato preliminarmente che l’errore di fatto previsto dall’art. 395 n. 4, cod. proc. civ., idoneo a costituire motivo di revocazione, consiste in una falsa percezione della realtà o in una svista materiale che abbia portato ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso, oppure l’inesistenza di un fatto positivamente accertato dagli atti o documenti di causa, purché non cada su un punto controverso e non attenga ad un’errata valutazione delle risultanze processuali (Cass. Sez. 5-, Sentenza n. 26890 del 22/10/2019, Rv. 655451 – 01, conforme, Cass. Sez. 6 – l, Ordinanza n. 2236 del 26/01/2022, Rv. 663756- 01).
Infatti, l’unico mezzo di impugnazione esperibile avverso le sentenze della Corte di Cassazione è, ai sensi degli artt. 391 bis e 395 n. 4 cod. proc. civ., la revocazione per l’errore di fatto in cui sia incorso il giudice di legittimità, e presuppone l’esistenza di divergenti rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l’altra dagli atti e documenti di causa. Esso deve, quindi, 1) consistere in una errata percezione del fatto, in una svista di carattere materiale, oggettivamente ed immediatamente rilevabile, tale da avere indotto il giudice a supporre la esistenza di un fatto la cui verità era esclusa in modo incontrovertibile, oppure a considerare inesistente un fatto accertato in modo parimenti indiscutibile; 2) essere decisivo, nel senso che, se non vi fosse stato, la decisione sarebbe stata diversa; 3) non cadere su di un punto controverso sul quale la Corte si sia pronunciata; 4) presentare i caratteri della evidenza e della obiettività, sì da non richiedere, per essere apprezzato, lo sviluppo di argomentazioni induttive e di indagini ermeneutiche; 5) non consistere in un vizio di assunzione del fatto, né in un errore nella scelta del criterio di valutazione del fatto medesimo (cfr. Cass. Sez. l, Sentenza n. 2425 del 3 febbraio 2006; conforme, Cass. Sez. l, Sentenza n. 3264 del 14 febbraio 2007, Rv. 599949- 01).
6. Specificamente, l’elaborazione della Corte sulla revocazione della decisione di inammissibilità del ricorso per cassazione è chiara nel senso di affermare che l’errore revocatorio è configurabile nelle ipotesi in cui la Corte sia giudice del fatto e, in particolare, quando abbia valutato l’ammissibilità e la procedibilità del ricorso, individuandosi nell’errore meramente percettivo, risultante in modo incontrovertibile dagli atti e tale da aver indotto il giudice a fondare la valutazione della situazione processuale sulla supposta inesistenza (od esistenza) di un fatto, positivamente acquisito (od escluso) nella realtà del processo, che, ove invece esattamente percepito, avrebbe determinato una diversa valutazione della situazione processuale, e non anche nella pretesa errata valutazione di fatti esattamente rappresentati.
7. Ne consegue, in tema di inammissibilità del ricorso per cassazione per tardività, siccome notificato in un certo giorno, senza tener conto che in quel giorno era avvenuta la spedizione del piego postale, mentre l’atto era stato consegnato il giorno precedente all’ufficiale giudiziario per la notificazione, non costituisce un errore di fatto, bensì un errore di diritto, posto che l’applicazione dei principi in tema di scissione del momento perfezionativo della notificazione per il richiedente e per il destinatario (di cui alle sentenze della Corte costituzionale n. 477 del 2002 e n. 28 del 2004, nonché all’art. 2 della l. n. 263 del 2005, che ha modificato l’art. 149 c.p.c.) implica lo svolgimento di un processo argomentativo logico-giuridico che, di per sé, esclude il presupposto stesso della revocazione (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 11202 del 08/05/2017, Rv. 644164 – 01; conforme, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 16136 del 09/07/2009, Rv. 608812- 01).
Ancora, si è ritenuto che non integra un errore di fatto idoneo a giustificare la revocazione della pronuncia di legittimità, ai sensi dell’art. 395, n. 4, cod. proc. civ., il mancato rilievo della nullità della notificazione del ricorso per cassazione effettuata presso la sede distrettuale dell’Avvocatura dello Stato, anziché presso l’Avvocatura generale, trattandosi non di errata percezione dell’esistenza o inesistenza di un fatto immediatamente emergente dagli atti, quanto di omessa valutazione delle risultanze processuali (Cass. Sez. 6 – 2, Sentenza n. 25654 del 15/11/2013, Rv. 628355- 01).
8. Nel caso di specie l’errore oggetto della censura in disamina secondo la sua stessa prospettazione non può essere considerato fattuale né percettivo, dal momento che consiste nel non aver tenuto conto del disposto all’art.6 comma 11 del d.l. n.119/2018 conv. in l. n.136/2018, a mente del quale «Per le controversie definibili sono sospesi per nove mesi i termini di impugnazione, anche incidentale, delle pronunce giurisdizionali e di riassunzione, nonché per la proposizione del controricorso in Cassazione che scadono tra la data di entrata in vigore del presente decreto e il 31 luglio 2019.».
L’errore prospettato dunque inerisce alla consapevolezza dell’esistenza della proroga ed all’applicazione della stessa alla fattispecie e l’interpretazione lata del disposto dell’art. 395 n.4 cod. proc. civ. invocata nella censura, in particolare nel voler estendere per ragioni di equità l’oggetto del presente giudizio a censure di diritto, non è conforme alla giurisprudenza della Corte di cassazione di cui si è sopra dato conto.
9. Per le ragioni illustrate, non ricorre nella fattispecie l’errore revocatorio previsto dall’art.395, n.4, cod. proc. civ. non essendovi stata nel caso di specie una falsa percezione della realtà oggettiva, per svista o mero equivoco circa la realtà di fatto. Non esiste nella fattispecie l’erronea percezione riferita al fatto storico, oggettivamente e immediatamente percepibile, ovvero una svista materiale evidente ed obiettiva che emerge dal semplice raffronto tra la ordinanza impugnata e un documento di causa esaminabile in via diretta dalla Corte.
10. In conclusione il ricorso dev’essere dichiarato inammissibile e, in assenza di costituzione dell’intimata, nessun provvedimento dev’essere adottato sulle spese di lite.
11. Si dà atto che, ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, in presenza di soccombenza della parte ammessa alla prenotazione a debito, non sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
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