CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 28 febbraio 2022, n. 6599
Tributi – Riscossione – Cartella di pagamento – Debito tributario riferito alla società conferente ramo d’azienda – Responsabilità solidale della conferitaria
Rilevato che
1. B. S.r.l. ricorre, con sei motivi, illustrati con una memoria, contro l’Agenzia delle entrate, che resiste con controricorso, avverso la sentenza con la quale la Commissione tributaria regionale (“C.T.R.”) dell’Abruzzo (sezione staccata di Pescara) ha rigettato l’appello della contribuente contro la decisione della Commissione tributaria provinciale di Chieti (n. 688/04/2014) che aveva respinto il ricorso introduttivo della società relativo alla cartella di pagamento, per euro 115.505,73, ad essa notificata quale conferitaria del ramo di azienda di B. S.p.a., e, perciò, solidalmente responsabile con la società conferente, destinataria, in precedenza, di un avviso di accertamento ai fini dell’Irpeg, riguardante il periodo d’imposta 2003;
2. In particolare, per quanto ancora rileva, la C.T.R., disattendendo i relativi motivi di appello della contribuente: (i) ha ritenuto che la cartella di pagamento fosse sufficientemente motivata tramite il richiamo al contenuto dell’avviso di accertamento diretto alla debitrice principale B. S.p.a.; (ii) ha affermato che, nella specie, era applicabile la presunzione di responsabilità solidale ampia di cui all’art. 14, commi quattro e cinque, del d.lgs. n. 472 del 1972, in quanto gli elementi conoscitivi risultanti dagli atti evidenziavano che il conferimento del ramo di azienda dalla B. S.p.a. alla neocostituita B. S.r.l. era stato chiaramente posto in essere in frode al fisco, con conseguente inoperatività delle limitazioni di responsabilità solidale previste dai primi due commi dell’articolo 14;
(iii) ha negato che la cartella fosse illegittima per irregolare sottoscrizione del ruolo, in ragione del fatto che, come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, il ruolo era stato regolarmente formato e reso esecutivo mediante la validazione dei dati in esso indicati eseguita, anche in via centralizzata, dal sistema informativo dell’amministrazione creditrice;
Considerato che
1. con il primo motivo di ricorso [«1. Nullità della sentenza per violazione degli artt. 115 e 116 del c.p.c., per avere i giudici di seconde cure erroneamente valutato i documenti prodotti in giudizio, ritenendo che l’operazione di conferimento di ramo d’azienda sarebbe stata posta in essere al solo fine di frodare l’erario (art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.)»], si censura la sentenza impugnata che ha ravvisato che l’operazione di conferimento alla neo-costituita B. S.r.l. del ramo di azienda relativo alla gestione della discarica ubicata in Canosa di Puglia fosse stata realizzata, in data 30/01/2008, al solo fine di frodare l’erario, senza considerare che, in realtà, la stessa appellante aveva provato per tabulas che il consiglio di amministrazione della (conferente) B. S.p.a. aveva deliberato tale operazione il giorno 16/10/2007, ben prima che il fisco rivolgesse alcuna contestazione alla società conferente, e ciò stava a dimostrare che a quest’ultima non potesse essere addebitato un comportamento fraudolento;
2. con il secondo motivo [«2. Violazione del principio di “non contestazione” ex art. 115 c.p.c., con riferimento alla circostanza pacifica in atti che l’operazione di conferimento di ramo di azienda era stata programmata e in parte attuata ben prima della redazione del p.v.c. nei confronti della conferente B. S.p.a. (art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.)»], la ricorrente censura la sentenza impugnata che, trascurando il principio di non contestazione, non ha considerato che era circostanza pacifica tra le parti (ossia non contestata dall’ufficio) che il conferimento di azienda era stato programmato e in parte eseguito prima della redazione del p.v.c. recante l’addebito fiscale nei confronti della B. S.p.a., a riprova del fatto che l’operazione era stata realizzata in totale buona fede e in assenza di un intento fraudolento;
3. con il terzo motivo [«3. Nullità della sentenza per violazione degli artt. 24 e 111, comma 6 Cost., 132 comma 2, n. 4 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c. e 36, comma 2, n. 4 del d.lgs. n. 546/1992. Vizio di motivazione apparente (art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.)»], la ricorrente deduce il vizio di motivazione apparente della sentenza impugnata, fondata su circostanze del tutto irrilevanti e priva dell’illustrazione delle ragioni per le quali la Commissione regionale aveva reputato inconferenti i plurimi argomenti difensivi addotti dalla contribuente per superare la presunzione di cui all’art. 14, comma 5, del d.lgs. n. 472 del 1997, che (appunto) prevede una presunzione di frode in caso di cessione di azienda successiva alla contestazione di un fatto penalmente rilevante;
4. con il quarto motivo [«4. Illegittimità della sentenza per violazione dell’art. 2697 cod. civ. (art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.)»], la ricorrente censura la sentenza impugnata che, nell’ignorare del tutto i documenti depositati in giudizio dalla società (dai quali si desumeva l’assenza di qualsivoglia intento fraudolento nell’operazione di conferimento del ramo di azienda), e, per contro, nell’attribuire rilievo a circostanze ininfluenti sotto questo profilo, ha palesemente violato il principio dell’onere della prova sancito dall’art. 2697, cod. civ. Infatti, dopo che la società aveva vinto la presunzione relativa di frode nel conferimento del ramo di azienda, spettava all’Amministrazione finanziaria (che invece non aveva assolto a tale onere) il compito di dimostrare tale presunta (ma inesistente) frode, quale elemento costitutivo della pretesa tributaria;
5. con il quinto motivo [«5. Illegittimità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 14 d.lgs. n. 472/1997 (art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.)»], la ricorrente censura la sentenza impugnata che, considerata la palese e dimostrata assenza di frode, avrebbe dovuto applicare il primo comma dell’articolo 14, per il quale il cessionario di azienda, oltre ad avere il beneficio della preventiva escussione del debitore principale, risponde in solido dei debiti del cedente entro i limiti del valore dell’azienda (o del ramo di azienda) ceduta, pari nella specie a euro 2.918.000,00, come stabilito da una perizia di stima non contestata dall’ente impositore;
6. con il sesto motivo [«6. Violazione dell’art. 7 della legge n. 212/2000 e dell’art. 3 della legge n. 241/1990 (art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.)»], la ricorrente censura la sentenza impugnata che non ha dichiarato l’illegittimità della cartella di pagamento per difetto di motivazione benché la sua emissione non fosse stata preceduta dalla notifica alla stessa B. S.r.l., quale conferitaria dell’azienda, di un avviso di accertamento in modo da consentirle di esercitare il diritto di difesa in merito alla presunta frode. In subordine, nel caso in cui la Corte interpreti il quarto comma dell’articolo 14 nel senso che ai fini della contestazione dell’obbligazione solidale in capo al cessionario sia sufficiente la mera iscrizione a ruolo degli importi accertati nei confronti del cedente e la conseguente notifica della cartella nei confronti del cessionario, la ricorrente propone, nei seguenti termini, questione di legittimità costituzionale di tale disposizione: «6.2. in via subordinata: illegittimità costituzionale dell’art. 14, comma 4 del d.lgs. n. 472/1997, per violazione degli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione, nella parte in cui non prevede la notifica di un avviso di accertamento motivato, prima dell’iscrizione a ruolo e conseguente emissione della cartella di pagamento.»;
7. con il settimo motivo [«7. Violazione e falsa applicazione degli artt. 12 dpr 602/73 e 20, 24 e 32 dpr 82/05, nonché dell’art. 1, comma 5-ter lett. e) d.l. 17.6.2005 n. 106, convertito con modificazioni nella L. 31.7.2005 n. 156 (art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.)»], la ricorrente censura la sentenza impugnata che non ha rilevato la nullità della cartella in mancanza di un valido titolo esecutivo a causa del fatto che il relativo ruolo non era stato sottoscritto con firma digitale, nel pieno rispetto delle norme del codice dell’amministrazione digitale;
8. i primi cinque motivi, suscettibili d’esame congiunto per connessione, non sono fondati;
8.1. innanzitutto, per le Sezioni unite di questa Corte la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo, allorquando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, cioè tali da lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. U. 19/06/2018, n. 16159 [p. 7.2.], che menziona Cass. Sez. U. 03/11/2016, n. 22232; conf.: Cass. Sez. U. nn. 22229, 22230, 22231, del 2016. I medesimi concetti giuridici sono espressi da Cass. Sez. U. 24/03/2017, n. 766; Cass. Sez. U. 09/06/2017, n. 14430 [p. 2.4.]; Cass. Sez. U. 18/04/2018, n. 9557 [p. 3.5.]). Ancor più di recente, Cass. Sez. U. 27/12/2019, n. 34476 (che cita, in motivazione, Cass. Sez. U. 07/04/2014, n. 8053; Cass. Sez. U. 18/04/2018, n. 9558; Cass. Sez. U. 31/12/2018, n. 33679) ha avuto modo di ribadire che «nel giudizio di legittimità è denunciabile solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, in quanto attiene all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali: tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione.»;
8.2. da un altro punto di vista, come ha avuto modo di affermare questa Corte (Cass. 12281, n. 9/05/2019, conf.: 31/08/2020, n. 18092), la violazione dell’art. 116, cod. proc. civ., (norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale), che, come precisato da Cass. 11892 del 2016 e ribadito (in motivazione) da Cass. Sez. U. n. 16598 del 2016, è idonea ad integrare il vizio di cui all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ., ricorre solo quando (e non è il caso di specie) il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime.
Inoltre, è stato precisato (da Cass. n. 11892 del 2016) che la violazione dell’art. 115, cod. proc. civ., può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dovere osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche quando (come è accaduto in questo giudizio di merito) il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre ed è giunto a conclusioni diverse rispetto a quelle prospettate dal ricorrente;
8.3. un altro principio rilevante ai fini del decidere è che il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), né in quello del precedente n. 4, disposizione che, tramite l’art. 132, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante. Infatti, è ius receptum che, con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento di fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che lo scrutinio dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione che ne ha fatto il giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento, e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass. 7/04/2017, n. 9097; 07/03/2018, n. 5355). A queste considerazioni si aggiunga che, recentemente, è stato chiarito (in tal senso Cass. Sez. L. 03/11/2020, n. 24395) che a diverse conclusioni non è dato pervenire nemmeno configurando il supposto vizio di apprezzamento delle risultanze probatorie come violazione degli artt. 115, 116, cod. proc. civ., poiché (vedi supra §§ 8.1., 8.2.) questa Corte (Cass. nn. 1229 del 2019, 4699 e 26769 del 2018, 27000 del 2016) ha da tempo consolidato il principio secondo cui una censura relativa alla violazione e falsa applicazione di questi due articoli non può avere ad oggetto l’erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo il fatto che questi abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti o disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, ovvero abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, o abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione, restando conseguentemente escluso che il vizio possa concretarsi nella censura di apprezzamenti di fatto difformi da quelli propugnati da una delle parti (Cass. n. 18665 del 2017) o, in più in generale, nella denuncia di un cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali;
8.4. svolte queste premesse sul piano dei principi di diritto, venendo ai motivi di ricorso, contrariamente a quanto sostiene la contribuente, la motivazione della sentenza di appello esiste ed è congrua rispetto alle questioni di fatto e di diritto sottese alla controversia fiscale. In particolare, la C.T.R., senza infrangere le prescrizioni degli artt. 115, 116, cod. proc. civ., ed attenendosi alla regola sull’onere della prova dettata dall’art. 2697, cod. civ., come ha bene evidenziato l’ufficio in controricorso (cfr. pag. 3), ha reputato che la rapida sequenza temporale entro la quale è stato perfezionato il conferimento dell’unico ramo d’azienda e l’identità della compagine sociale e della rappresentanza legale delle società contraenti, B. S.p.a. e B. S.r.l. (infatti, B. S.r.l. è la newco interamente partecipata da B. S.p.a., e F.M. è amministratore di entrambe le società), dimostravano che l’operazione era stata posta in essere al fine di frodare il fisco, con conseguente inoperatività delle limitazioni di responsabilità sancite dai primi due commi dell’articolo 14.
9. il sesto motivo, nella sua complessa articolazione, è infondato;
9.1. si è appena visto (cfr. § 8.4.) che la C.T.R., con accertamento di fatto esente da specifica censura, ha stabilito che – in ragione della sostanziale identità delle due compagini societarie che, tra l’altro, avevano il medesimo amministratore — la conferitaria B. S.r.l., destinataria della cartella di pagamento oggetto di questo giudizio, era a conoscenza dell’avviso di accertamento presupposto, notificato alla conferente B. S.p.a. e menzionato nella cartella, sicché la stessa cessionaria d’azienda non poteva fondatamente dolersi di alcuna lesione del diritto di difesa. Da questa considerazione discende anche la manifesta infondatezza dei dubbi della contribuente circa la legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 4, del d.lgs. n. 472 del 1997 (cfr. § 6.);
10. il settimo motivo non è fondato;
la sentenza impugnata è conforme al tralatizio orientamento sezionale (ex multis Cass. 20/01/2017, n. 1449; in senso conforme, per esempio, Cass. 06/06/2018, n. 14608), per il quale «In tema di riscossione delle imposte sui redditi, ai sensi dell’art. 1, comma 5-ter, del d.l. n. 106 del 2005, conv., con modif., dalla l. n. 156 del 2005, norma di interpretazione autentica dell’art. 12, comma 4, del d.P.R. n. 602 del 1973, i ruoli sono formati e resi esecutivi anche mediante la cd. validazione informatica dei dati in essi contenuti, eseguita in via centralizzata dal sistema informativo dell’Amministrazione creditrice, che deve considerarsi equipollente alla sottoscrizione del ruolo stesso.»;
11. le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la contribuente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità a favore dell’Agenzia delle entrate, liquidandole in euro 5.600,00, a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
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