CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 10 novembre 2022, n. 33134

Lavoro – C.C.N.L. Tessile abbigliamento – Licenziamento – Assenza dal servizio – Invio tardivo della giustificazione – Illegittimità

Fatti di causa

1. La Corte di appello di Firenze ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa città che, in accoglimento del ricorso proposto da D.B., aveva accertato l’illegittimità del licenziamento per giusta causa intimato in data 3 agosto 2017 dalla T. s.p.a. perché in violazione degli artt. 60 e 61 c.c.n.l Tessile abbigliamento era rimasto assente dal servizio senza alcuna giustificazione dal 21 al 27 luglio 2017 omettendo di presentare documentazione a giustificazione dell’assenza.

2. La Corte territoriale, nel rigettare il reclamo della società, ha ritenuto che con la contestazione disciplinare del 27 luglio 2017 la società avesse addebitato al lavoratore una assenza ingiustificata da intendersi come priva di una qualche documentazione che attestasse l’esistenza di una valida causa sospensiva dell’obbligo di rendere la prestazione. Al lavoratore era stato infatti addebitato che alla data della contestazione (il 27 luglio 2017) non era stata rimessa alla società alcuna documentazione a giustificazione della sua assenza (decorrente dal 21 luglio e fino al 26 luglio). La Corte ha sottolineato in fatto che la giustificazione era stata inviata il 28 luglio. Ha evidenziato poi che, invece, alla data del recesso, intimato al lavoratore il 3 agosto 2017, la certificazione medica era arrivata al datore di lavoro che, ciò nonostante, aveva licenziato il B. che era “risultato assente dal servizio senza giustificazione …. dal 21 al 26/7/2017 poiché non è ad oggi pervenuta alcuna certificazione medica volta a coprire il suddetto periodo di assenza”.

2.1. Ha evidenziato allora che le disposizioni del c.c.n.I. applicabile non contenevano alcuna equiparazione tra assenza ingiustificata ed assenza di cui non sia stata tempestivamente comunicata la giustificazione. Ha osservato che la contrattazione collettiva disciplina con due norme diverse l’assenza ingiustificata e la tardiva o irregolare giustificazione. Nell’un caso sanzionandola con il licenziamento (art. 74 lett. b) nell’altro prevedendo la sanzione conservativa della multa (art. 72). Ha escluso che una tale interpretazione delle disposizioni collettive finisse per privare di contenuto la disposizione dell’art. 74 lett. b) potendo essere evitata la sanzione espulsiva con la mera presentazione tardiva di un certificato retroattivo).

2.2. Ha sottolineato che la ratio va ravvisata nel punire le violazioni formali con sanzioni conservative e che il licenziamento si applica al caso in cui il datore di lavoro contesti l’esistenza effettiva di una giustificazione dell’assenza indipendentemente dalla sua tempestività. In sostanza ha ritenuto che, in caso di invio tardivo della giustificazione dell’assenza, il datore di lavoro potrà sempre intimare il licenziamento ove contesti, e poi provi in giudizio, oltre alla violazione procedurale anche l’insussistenza di una legittima causa di sospensione dell’obbligo di rendere la prestazione ovvero l’inidoneità della documentazione tardivamente inviata a dimostrare la effettività della causa di sospensione.

2.3. Stanti questi principi la Corte ha accertato l’insussistenza del fatto addebitato con il licenziamento (il non aver giustificato le assenze) atteso che al momento del recesso la giustificazione era pervenuta al datore di lavoro. Ha poi accertato che il contenuto della certificazione non era stato contestato quanto alla sua idoneità a giustificare l’assenza. Ha ritenuto che, immodificabili le ragioni poste a fondamento del recesso, il fatto addebitato era perciò insussistente. Quindi, esclusa l’equiparazione tra mancata giustificazione e giustificazione tardiva, la Corte ha ritenuto inammissibile l’ulteriore argomento utilizzato della irregolarità del certificato perché retroattivo evidenziando che in sede disciplinare tale specifica circostanza non era stata mai contestata, avendo la datrice di lavoro escluso di aver ricevuto qualsivoglia certificato. Infine, ha posto in rilievo che il medico, il quale aveva redatto il certificato a copertura dell’assenza già avvenuta, si era assunto la responsabilità motivandone la ragioni tenuto conto che si trattava di prosecuzione di malattia già certificata nel periodo immediatamente precedente a quello in esame.

3. Per la cassazione della sentenza ricorre la T. s.p.a. affidato a quattro motivi. Resiste con controricorso D.B.. Il Procuratore generale ha concluso per il rigetto del ricorso. La ricorrente ha depositato memoria illustrativa ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Ragioni della decisione

4. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’artt. 60, 61, 72 e 74 del c.c.n.I. abbigliamento industria del 4/2/2014 anche in relazione all’art. 1362 e 1363 c.c. e degli artt. 7 della legge n. 300 del 1970 e 2119 c.c. in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c.. Con il secondo motivo, poi, si duole dell’apparenza della motivazione e della sua manifesta ed irriducibile contraddittorietà avuto riguardo all’art. 360 primo comma n. 5 c.p.c..

4.1. Deduce la ricorrente che il 27 luglio 2017 al B. era stato contestato di essere rimasto assente senza giustificazione a decorrere dal 21 luglio e fino alla data della contestazione. Quindi con il licenziamento del 3 agosto successivo, intimato per la 4 violazione dell’art. 74 lettera b) del c.c.n.l. abbigliamento e industria che autorizza la risoluzione in tronco del rapporto nel caso di assenze ingiustificate protrattesi per oltre tre giorni consecutivi, si era dato atto che i fatti contestati erano risultati confermati e si era precisato che nessuna certificazione medica era pervenuta per coprire la detta assenza.

4.2. Tanto premesso la ricorrente ritiene che la Corte territoriale sia incorsa nella denunciata violazione di legge per avere ritenuto che l’art. 74 trovi applicazione solo al caso in cui l’assenza superiore a tre giorni resti del tutto priva di giustificazione mentre nel caso di ritardato inoltro della giustificazione stessa la sanzione irrogabile sarebbe quella conservativa.

4.3. Deduce che la tempestiva comunicazione di impedimenti all’attività lavorativa è espressione dell’obbligo di correttezza e buona fede del prestatore e che la mancata comunicazione dell’assenza dal lavoro, ancorché quest’ultima sia dovuta a motivi legittimi, è idonea ad arrecare al datore di lavoro un pregiudizio organizzativo derivante dal legittimo affidamento in ordine alla supposta effettiva ripresa della prestazione lavorativa.

4.4. Sostiene che l’interpretazione data alle disposizioni collettive – differenziando la tardiva comunicazione della giustificazione dell’assenza dalla mancanza della giustificazione stessa – sarebbe illogica contraddittoria e non rispondente allo stesso tenore letterale della norma.

4.5. Ritiene corretta, invece, una lettura che valorizzi lo spessore della violazione e rileva che, sia tardiva o sia mancante la giustificazione, il criterio discretivo debba essere quello temporale: più o meno di tre giorni.

4.6. Osserva che invece l’interpretazione della Corte di merito sarebbe profondamente illogica poiché autorizzerebbe il paradosso che, giustificata l’assenza retroattivamente pur dopo un ampio arco temporale, il licenziamento non potrebbe essere irrogato. La motivazione della sentenza sarebbe perplessa e non terrebbe conto dell’interpretazione data dalla Cassazione a norme di altro contratto (quello dell’industria) che reca una disciplina sostanzialmente sovrapponibile e sottolinea che la mancanza di giustificazione dell’assenza deve essere rapportata al momento in cui la stessa avrebbe dovuto essere data.

5. Le due censure, da esaminare congiuntamente, non possono essere accolte.

5.1. Ritiene il Collegio che l’interpretazione data dalla Corte di appello alle norme collettive che vengono in considerazione non si esponga alle critiche mosse dalla ricorrente.

5.2. A norma dell’art. 60 c.c.n.l. Tessile e abbigliamento, che si applica al rapporto di lavoro intercorso tra le parti l’assenza per malattia o per infortunio non sul lavoro deve essere comunicata entro 24 ore salvo il caso di accertato impedimento e il certificato medico deve essere consegnato o fatto pervenire tempestivamente e comunque non oltre i tre giorni dall’inizio dell’assenza (art. 60 comma 3). Il successivo art. 61, poi, nel disciplinare l’assenza dal lavoro indica, al primo comma, le modalità di comunicazione delle assenze malattia o per infortunio non sul lavoro e dispone che, salvo comprovato impedimento, il lavoratore vi provveda nei modi indicati dall’azienda prima dell’inizio del suo orario lavorativo. Al secondo comma dispone che il numero di protocollo del certificato medico attestante lo stato di infermità venga comunicato all’azienda non oltre il secondo giorno di assenza ed anche l’eventuale proroga deve essere comunicata con le medesime modalità (art. 61 comma 3). Analogamente la certificazione del medico curante che attesti il prolungamento dell’originaria malattia o l’inizio di una nuova va comunicata al datore di lavoro entro 24 ore. Come chiarito nel primo periodo della disposizione la finalità è quella di consentire al datore di lavoro di adottare adeguate misure organizzative per il caso di assenza del lavoratore.

5.3. L’art. 72, che reca le norme sui provvedimenti disciplinari, a titolo esemplificativo stabilisce che la multa o la sospensione potranno essere inflitte al lavoratore, tra l’altro, nel caso in cui “non si presenti al lavoro, non comunichi (salvo il caso di comprovato impedimento) e non giustifichi l’assenza con le modalità e nei termini di cui agli artt. 55, 60 e 61”.

5.4. Il successivo art. 74, che detta le disposizioni che regolano il licenziamento disciplinare nel contesto delle leggi vigenti, specifica che può costituirne causa, per quanto qui interessa, l’assenza ingiustificata per oltre tre giorni lavorativi consecutivi, oppure assenze ingiustificate ripetute per tre volte in un anno, nei giorni susseguenti a quelli festivi o alle ferie. Sottolinea che non interrompono la consecutività i giorni festivi o non lavorativi eventualmente intercorrenti (art. 74 lett. b). Al penultimo comma della citata norma si chiarisce poi che l’elencazione non esclude quegli altri comportamenti che per la loro natura o gravità configurano una giusta causa o un giustificato motivo di licenziamento.

5.5. Già dal tenore testuale delle disposizioni ricordate si evince che le parti sociali hanno inteso punire con il licenziamento quella condotta che per le modalità con le quali è realizzata si rivela particolarmente grave. Non qualunque assenza ingiustificata ma proprio quella che non solo supera i tre giorni lavorativi – continuativi o comunque ripetuti nell’arco di un anno – ma si caratterizzi anche per essere contigue a giorni festivi o di ferie. La norma poi sottolinea che l’assenza deve essere ingiustificata il che non può che voler dire che il lavoratore non abbia documentato le ragioni della stessa o che tali ragioni non siano risultate confermate all’esito del controllo datoriale.

5.6. Ben diversa è la fattispecie che si realizza nel caso in cui il lavoratore non rispetti il procedimento che è dettato dal contratto al fine di assicurare al datore di lavoro la possibilità di fronteggiare disagi organizzativi connessi alla mancata presenza di unità in organico. L’assenza, infatti, seppur tardivamente ben potrà essere giustificata e la condotta del lavoratore potrà essere valutata disciplinarmente in tale contesto e, in ragione della sua maggiore o minore incidenza sull’organizzazione potrà dar luogo all’irrogazione di una multa o, in casi più gravi, alla sospensione del lavoratore, la sanzione conservativa la più grave che può essere irrogata.

5.7. Resta da dire poi che la giustificazione dell’assenza non può che essere per sua natura prossima all’evento perché l’accertamento da parte del medico di fiducia non può sopravvenire a distanza di lungo tempo senza che ne siano presenti ragionevoli giustificazioni connesse ad accertamenti necessari. Il rilievo disciplinare del ritardo nella comunicazione è espressione della reazione datoriale al disagio organizzativo causato dalla condotta del lavoratore. L’assenza, tardivamente giustificata, è punita con la sanzione conservativa prevista dall’art. 72 lett. b). Ove, invece, l’arco temporale si dilati oltremodo viene meno la possibilità stessa di ritenere l’assenza, seppur tardivamente, giustificata e, dunque, la condotta potrà essere valutata nei più rigorosi termini dettati dall’art. 74. Dalle disposizioni esaminate non si evince una assimilazione della mancata comunicazione dell’assenza con la sua ingiustificatezza. Piuttosto per poter ritenere ingiustificata l’assenza si deve poter presumere che la comunicazione delle ragioni giustificatrici o non sia intervenuta ovvero non sia più ragionevolmente possibile anche a cagione del tempo trascorso dall’assenza.

5.8. Non può dirsi poi che, come denunciato con il secondo motivo di ricorso, la motivazione della sentenza sia apparente o irriducibilmente contraddittoria posto che non solo è graficamente esistente ma consente di percepire il fondamento della decisione in quanto riporta argomentazioni coerenti ed idonee a rendere evidente e chiaro il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento senza che sia lasciato all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture (cfr. Cass. 01/03/2022 n. 6758).

6. Con il terzo motivo di ricorso è denunciato l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio mentre con il quarto motivo di ricorso si deduce la nullità della sentenza per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 primo comma n. 4 c.p.c..

6.1. In estrema sintesi ad avviso della società ricorrente la Corte territoriale avrebbe errato nel non valutare che il certificato medico del medico curante non solo era stato tardivamente prodotto ma risultava rilasciato ad oltre sette giorni di distanza dall’ultimo giorno di malattia coperto dal precedente certificato medico con una valutazione ex post eseguita sulla base delle dichiarazioni rese al medico dal lavoratore. Deduce allora che, analogamente a quanto già ritenuto da questa Corte con la sentenza n. 15226 del 2016 già richiamata in appello, il medico non avrebbe potuto certificare retroattivamente la patologia e per tale aspetto denuncia sia un vizio motivazionale che la violazione delle disposizioni richiamate in tema di prova.

7. Le due censure sono inammissibili sotto vari profili.

7.1. Da un canto, e per quanto riguarda specificatamente il denunciato vizio di motivazione oggi ammissibile nei limiti ristretti dettati dall’art. 360 primo comma n. 5 nel testo attualmente vigente, la censura più che denunciare l’omesso esame di un fatto decisivo finisce per prospettare una diversa ricostruzione del fatto ( il tardivo rilascio ella certificazione da parte del medico curante) che invece è stato preso in considerazione dal giudice di appello che ne ha ritenuto l’irrilevanza valutando sia l’aspetto della responsabilità che il medico si assume nell’attestare l’esistenza di determinate condizioni di salute sia la specifica natura dell’affezione riscontrata sia la storia clinica del lavoratore. Si tratta di valutazione dei fatti, tutti esaminati, che è rimessa alla esclusiva competenza del giudice di merito.

7.2. Quanto alla denunciata violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. è appena il caso di rammentare che il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità. La denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice di merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360, comma 1 , n. 4, c.p.c., bensì un errore di fatto che va censurato nei limiti consentiti dall’art. 360, comma 8 1, n. 5, c.p.c. (cfr. Cass. 12/10/2021 n. 27847). Non può porsi una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito. Tale violazione può essere ravvisata solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali ovvero abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, o ancora abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (cfr. Cass 12/10/2021 n. 27847, 30/09/2020 n. 20867 v. anche Cass. 01/03/2022 n. 6774 e già Cass. n. 27000 del 2016).

8. In conclusione, per le ragioni esposte, il ricorso deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in € 5.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.