CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 29243 depositata il 20 ottobre 2023

Lavoro – Enasarco – Decreto ingiuntivo – Contributi dovuti in forza di contratti di agenzia – Contratti di commissione – Registro IVA – Rigetto

Rilevato che

In riforma della pronuncia di primo grado, la Corte d’appello di Roma respingeva l’opposizione svolta da F. s.r.l. avverso un decreto ingiuntivo ottenuto dalla fondazione Enasarco e avente ad oggetto contributi dovuti in forza di contratti di agenzia conclusi con tre ditte collaboratrici che provvedevano a vendere a terzi automobili della concessionaria F. s.r.l.

Nonostante con due delle ditte fossero stati conclusi contratti di commissione con mandato a vendere auto e il registro iva della F. s.r.l. mostrasse il versamento dell’iva dalle tre collaboratrici alla F. s.r.l. per acquisto delle automobili, la Corte riteneva che tali elementi non risultassero dirimenti al fine di escludere l’esistenza di contratti di agenzia. Era infatti pacifico che, per vario tempo, in modo ripetuto e sulla base dell’accordo iniziale con le tre ditte, queste avevano venduto per conto della F. s.r.l. auto a terzi di cui la stessa era concessionaria, incassando una commissione calcolata sul valore della vendita.

Avverso la sentenza la F. s.r.l. ricorre per due motivi, illustrati da memoria.

La fondazione Enasarco resiste con controricorso, illustrato da memoria.

All’adunanza camerale il collegio riservava il termine di 60 giorni per il deposito del presente provvedimento.

Considerato che

Con il primo motivo di ricorso, F. s.r.l. deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art.2697 c.c., con riferimento agli artt.112 c.p.c. e 1742 c.c. La Corte non avrebbe considerato che la prova del contratto di agenzia spettava all’Enasarco, e che la stessa non poteva essere data per testimoni o presunzioni, essendo necessaria la prova scritta ad probationem. Di fatto, la Corte avrebbe attribuito l’onere probatorio alla ricorrente non esaminando la sussistenza degli elementi costitutivi del contratto di agenzia, limitandosi a negare la prova di un rapporto di commissione.

Con il secondo motivo di ricorso, la F. s.r.l. deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2769 c.c. con riguardo agli artt.1731, 1742 e 115 c.p.c. La società rileva che erano stati prodotti i contratti di commissione e il registro iva delle vendite, costituenti elementi indiziari capaci di fondare la prova dell’esistenza di un rapporto negoziale qualificabile come commissione, mentre nulla aveva provato in senso contrario la fondazione Enasarco.

I due motivi, che possono essere trattati congiuntamente, in quanto strettamente connessi, sono per un verso infondati e per altro inammissibili.

La violazione dell’art. 2697 c.c. non sussiste, in quanto la sentenza non afferma che gravasse sulla ricorrente l’onere probatorio circa la sussistenza di contratti di commissione né nega che spettasse invece all’Enasarco la prova del contratto d’agenzia.

La Corte ha bensì ritenuto che dalle risultanze processuali emergesse la prova che i rapporti con le tre ditte andassero ricondotti al tipo negoziale dell’agenzia.

In particolare, si legge nella sentenza che: “è dato incontestato in giudizio che il rapporto di collaborazione tra F. srl e le società A. srl, D.P. srl e A. spa si era realizzato come un vincolo perdurante nel tempo scaturito da un accordo, concluso una volta per tutte, in ragione del quale le società collaboratrici provvedevano a vendere per conto di F. srl le vetture, di cui essa era concessionaria, percependo una commissione calcolata sul valore della vendita; è del pari incontestato che tale accordo aveva avuto concreta esecuzione, assicurando durevoli compensi alle collaboratrici”. Sulla base di tale assunto la Corte ha concluso nel senso della sussistenza, ai fini dell’art. 1742 c.c., della “stabilità e replicabilità nel tempo del patto originario tra i contraenti del rapporto di collaborazione”.

Nel compiere queste affermazioni, la Corte non ha violato né falsamente applicato gli artt. 1742 ss. c.c., e dunque non è incorsa in violazione di legge. Il ricorso si duole che non sarebbe stato compiuto il necessario accertamento sugli elementi costitutivi del tipo negoziale, ma, così facendo, esso viene a censurare un vizio di motivazione della sentenza, in modo inammissibile, poiché non deduce alcun elemento di fatto decisivo che sia stato omesso ai sensi dell’art.360, co.1, n. 5 c.p.c.

Quanto poi alla censura per cui la prova del contratto di agenzia non poteva darsi per testimoni o per presunzioni, essa è da un lato inconferente – poiché la l’affermazione del contratto d’agenzia è basata non su una prova testimoniale o per presunzioni, bensì sul “dato incontestato in giudizio” di un vincolo perdurante nel tempo in base al quale le tre collaboratrici vendevano a terzi auto della F. s.r.l. percependo una provvigione sul valore della vendita nell’ambito di un rapporto continuativo – dall’altro lato è infondata, poiché i limiti probatori valgono tra le parti del contratto e non verso Enasarco, terzo rispetto al contratto d’agenzia, e che fa valere quest’ultimo come fatto giuridico fondante il rapporto previdenziale contributivo (Cass. 5880/21).

Quanto poi agli elementi probatori addotti dal secondo motivo, ovvero i due contratti di commissione e il registro delle vendite IVA, i quali non sarebbero stati adeguatamente valorizzati dalla Corte, va sottolineata l’inammissibilità della censura. Essa tende infatti a sindacare la valutazione del materiale istruttorio compiuto dalla Corte, la quale ha rilevato che, nei confronti del terzo fondazione Enasarco, non avevano rilevanza il nomen attribuito ai contratti ma le concrete modalità di svolgimento dei rapporti, mentre il versamento iva integrava una mera confessione resa a un terzo, liberamente valutabile e ritenuta non dirimente. Ora, la censura con cui si critica il cattivo esercizio del prudente apprezzamento della prova (art.116 c.p.c.) da parte del giudice è ammissibile nei soli limiti dell’art. 360, co.1, n. 5 c.p.c. (Cass. S.U. 20867/20). L’autentica violazione dell’art.116 c.p.c. si ha solo quando si allega che il giudice abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione.

Conclusivamente il ricorso va respinto, con condanna alle spese secondo soccombenza.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso;

condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite del presente giudizio di cassazione, liquidate in €4000 per compensi, €200 per esborsi, oltre 15% per spese generali e accessori di legge;

dà atto che, atteso il rigetto, sussiste il presupposto processuale di applicabilità dell’art.13, co.1 quater, d.P.R. n.115/02, con conseguente obbligo in capo a parte ricorrente di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.