La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 2261 depositata il 23 gennaio 2024, intervenendo in tema di corresponsione dell’indennità sostitutiva per la mancata fornitura dei capi di vestiario da utilizzare in servizio, nel confermare la decisione della Corte di appello ha precisato che in mancanza di una norma che ponga in capo al datore la fornitura delle divise, al dipendente non compete alcun rimborso delle spese sostenute o indennità sostitutiva per l’acquisto degli abiti da lavoro.
La vicenda ha riguardato un dipendente che aveva, lavorato alle dipendenze del Comune come agente di polizia locale, il quale si rivolse al Tribunale, in funzione di giudice del lavoro, per chiedere la condanna del Comune al pagamento dell’indennità sostitutiva per la mancata fornitura dei capi di vestiario da utilizzare in servizio, nonché al risarcimento dei conseguenti danni all’immagine e alla dignità personale e professionale. Il Tribunale adito rigettò le domande con sentenza che venne impugnata dal lavoratore davanti alla Corte d’Appello. I giudici di appello nel rigettare il gravame rilevava che l’indennità sostitutiva non era prevista da alcuna legge, né da una norma della contrattazione collettiva, né da atti deliberativi del datore di lavoro, mentre, con riguardo alla domanda di condanna al risarcimento, ravvisò il difetto di allegazione e di prova del danno subito. l’ex dipendente, avverso la decisione di appello, proponeva ricorso in cassazione fondato su quattro motivi.
I giudici di legittimità rigettano il ricorso, condividendo le conclusione dei giudici di appello, e constatato “… l’infondatezza della domanda di condanna al pagamento dell’indennità sostitutiva (per mancanza di una norma a fondamento del relativo diritto), la Corte di Napoli ha respinto anche la domanda di condanna al risarcimento del danno, per mancanza di prova – e, prima ancora, di allegazione – dei fatti necessari per dare sostegno all’accertamento di un pregiudizio risarcibile.
Detto dell’insindacabilità dell’accertamento sul fatto, si deve osservare che il ricorrente nemmeno sostiene di avere allegato e chiesto di provare fatti specifici a dimostrazione di un effettivo pregiudizio subito, ma si limita a indicare possibili criteri per la liquidazione del danno (ossia per la determinazione del quantum debeatur, che però non può prescindere dall’accertamento dell’an debeatur) e a ipotizzare un danno in re ipsa che invece può essere riconosciuto solo nei casi di seria lesione di interessi protetti di rilevanza costituzionale (v., ex multis, Cass. nn. 33276/2023, 21934/2023, 21586/2023, 21123/2023, 13073/2023, 6589/2023, per limitarsi alle più recenti). …”
Si rammenta che una deroga a tale principio generale è rappresentata dall’ipotesi in cui gli indumenti da lavoro rappresentino un dispositivo di protezione individuale, per cui sorge l’obbligo in capo al datore di lavoro di fornire gli indumenti da lavoro al personale dipendente.
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