AGENZIA delle ENTRATE – Risposta n. 66 dell’ 11 marzo 2024
IVA – Condizioni per accedere al rimborso ex articolo 30-ter del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633
Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, è stato esposto il seguente
Quesito
La società ”[ALFA]” (nel prosieguo ”istante” e/o ”committente”) al fine di avere chiarimenti in merito all’applicazione dell’articolo 30ter del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 (di seguito ”decreto IVA”) fa presente quanto qui di seguito sinteticamente riportato.
L’istante che opera nel settore della produzione di […] rappresenta che, «fino all’anno 2017 si è avvalsa dei servizi forniti dalla cooperativa [BETA] [n.d.r. di seguito ”prestatore”], società che ha fornito, (…) servizi di logistica integrata e facchinaggio in regime di appalto, quindi di Iva, ad aliquota ordinaria.
[BETA] (…) ha regolarmente registrato le fatture emesse a [ALFA] ed ha provveduto negli anni interessati ad operare le liquidazioni ed i versamenti di imposta iva che dalle stesse scaturivano. (…).
Nonostante ciò, l’agenzia delle entrate di […], nel corso di una verifica (…), pur riconoscendo l’effettività del rapporto e dei servizi resi ed attestandone anche la relativa inerenza, ha riqualificato contrattualmente il rapporto instaurato tra le parti, considerando lo stesso un ”contratto di somministrazione lavoro”, piuttosto che un ”contratto di appalto per servizi”.
La suddetta riqualificazione avrebbe comportato, nello specifico per gli anni d’imposta 2016 e 2017, che le fatture emesse nel periodo non avrebbero dovuto essere assoggettata a imposta Iva».
Inoltre, l’istante riferisce che, «[BETA] non ha ricevuto alcun accertamento né recupero, con la conseguenza che l’unica incisa e sanzionata per i rilievi risulta essere stata [ALFA].
Inoltre, la società cooperativa [BETA] (…), è attualmente soggetta a procedura concorsuale e quindi non operativa».
Pertanto, l’istante pur non condividendo il rilievo in argomento, ha ritenuto di aderire alla tregua fiscale introdotta con legge 29 dicembre 2022, n. 197 ed «ha provveduto a riversare le somme accertate, corrispondenti all’iva esposta sulle fatture ricevute per l’anno 2016 e 2017, eccepita come non detraibile».
Tutto ciò premesso, l’istante chiede se sia corretto presentare istanza di rimborso della maggiore IVA versata ai sensi dell’articolo 30-ter del decreto IVA, considerato che la società cooperativa, in quanto soggetta a procedura concorsuale, non emetterà alcuna nota di variazione, né rimborserà all’istante l’IVA a suo tempo corrisposta.
Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente
In sintesi, l’istante tenuto conto che è rimasta incisa di un’IVA che non può portare in detrazione, né è nelle condizioni di esercitare rivalsa verso il proprio cedente, o ottenere il rimborso dell’indebito ritiene che, «unico strumento a disposizione possa essere la presentazione di un’istanza diretta di rimborso, da prodursi entro 2 anni dall’intervenuto evento che ha generato la duplicazione dell’imposta (v. art. 30 ter del d.p.r. 633/72) o forse anche nel maggior termine decadenziale (48 mesi) disposto per i versamenti diretti.
In difetto dovrebbe potersi dedurre il costo in quanto lo stesso trae genesi dal disconoscimento, a monte, della detraibilità di un’imposta iva relativa ad un costo effettivamente sostenuto, reale ed inerente, ma ciò non garantirebbe il rispetto del diritto a detrazione che costituisce parte integrante del meccanismo dell’IVA e, che, in linea di principio non può essere soggetto a limitazioni (…)».
Parere dell’Agenzia delle Entrate
Si premette che esula dalle competenze della scrivente, in risposta all’istanza in oggetto, ogni valutazione in merito all’effettiva esistenza e alla spettanza del credito IVA e alla definitività degli atti impositivi cui l’istante fa riferimento, restando impregiudicato qualsiasi potere di controllo da parte dell’Amministrazione finanziaria.
L’articolo 8 della legge 20 novembre 2017, n. 167 ”Legge Europea 2017” ha introdotto l’articolo 30ter del decreto IVA che attualmente definisce il sistema di recupero dell’IVA indebitamente versata.
La norma, al comma 1, consente al soggetto passivo di poter presentare «domanda di restituzione dell’imposta non dovuta, a pena di decadenza, entro il termine di due anni dalla data del versamento della medesima ovvero, se successivo, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione».
Il successivo comma 2 contempla, invece, il «caso di applicazione di un’imposta non dovuta ad una cessione di beni o ad una prestazione di servizi, accertata in via definitiva dall’Amministrazione finanziaria», prevedendo che, in tale ipotesi, «la domanda di restituzione può essere presentata dal cedente o prestatore entro il termine di due anni dall’avvenuta restituzione al cessionario o committente dell’importo pagato a titolo di rivalsa».
Come già più volte chiarito dalla prassi (cfr., per tutte, la risposta ad interpello n. 66, pubblicata il 12 novembre 2018 nell’apposita sezione del sito della scrivente), «Per motivi di cautela fiscale e per evitare un indebito arricchimento del cedente/prestatore, il rimborso dell’IVA indebitamente versata è strettamente collegato alla restituzione al cessionario/committente di quanto erroneamente addebitato ed incassato a titolo di rivalsa. I due anni entro i quali presentare la richiesta di rimborso dell’IVA non dovuta decorrono dal momento in cui avviene la restituzione al cessionario/committente della medesima somma da lui versata per effetto di accertamento definitivo».
In altre parole, la citata disciplina del rimborso dell’IVA, nel rispetto della neutralità dell’imposta, garantisce al cedente/prestatore la possibilità di ottenere il rimborso dell’imposta versata indebitamente all’erario, subordinando espressamente tale possibilità all’avvenuta restituzione al cessionario/committente dell’imposta indebitamente addebitata in fattura, imposta che, se indebitamente detratta, lo stesso cessionario/committente deve aver restituito all’erario a seguito di un accertamento definitivo.
Ciò detto, con riferimento alla possibilità di consentire al committente/cessionario di chiedere direttamente all’erario il rimborso dell’IVA erroneamente versata a titolo di rivalsa, recentemente la Corte di Cassazione con la sentenza n. 14838 del 26 maggio 2023 ha chiarito che «8. l’IVA corrisposta dalla società contribuente è stata indebitamente corrisposta al proprio emittente in base al rapporto civilistico di rivalsa e non può essere oggetto di richiesta di rimborso nei confronti dell’Amministrazione finanziaria in base al rapporto di imposta che lega emittente ed Erario, posto che ”il soggetto ”obbligato al pagamento della imposta” non coincide con il soggetto ”obbligato in rivalsa’”’ (Cass., Sez. V, 26 agosto 2015, n. 17173). Trattandosi di rapporti distinti che giacciono su piani diversi (il rapporto di imposta e la rivalsa), il contribuente non può, pertanto, far valere pretese che nascono dal rapporto privatistico di rivalsa al fine di far valere pretese altrui legate al rapporto di imposta, ma solo pretese che da questo rapporto derivano e che attengono all’esercizio della detrazione, le quali sono state già oggetto di definizione con adesione.
9. Da ciò consegue la manifesta infondatezza della questione di rimessione alla Corte di Giustizia ex articolo 267 TFUE, in considerazione del fatto che dalla stessa giurisprudenza della Corte di Giustizia emerge che una normativa nazionale in forza della quale, da un lato, il prestatore che ha versato erroneamente l’IVA alle autorità tributarie è legittimato a chiederne il rimborso e, dall’altro, il destinatario dei servizi può esercitare un’azione civilistica di ripetizione dell’indebito contro tale prestatore, rispetta i principi di neutralità dell’IVA e di effettività (CGUE, 13 ottobre 2022, Humda, C-397/21, punto 21; CGUE, 15 marzo 2007, Reemtsma Cigarettenfabriken, C-35/05, punto 39)».
Al riguardo la Corte di Giustizia UE con la sentenza del 15 marzo 2007, C-35/05, al punto 39 ha precisato che «(…) si deve riconoscere che, in via di principio, un sistema come quello in discussione nella causa principale, in cui, da un lato, il prestatore che ha versato erroneamente l’IVA alle autorità tributarie è legittimato a chiederne il rimborso e, dall’altro, il destinatario dei servizi può esercitare un’azione civilistica di ripetizione dell’indebito nei confronti del prestatore, rispetta i principi di neutralità ed effettività. Tale sistema, infatti, consente a detto destinatario gravato dell’imposta erroneamente fatturata di ottenere il rimborso delle somme indebitamente versate».
Applicando i principi innanzi richiamati al caso di specie, ne deriva che la richiesta di rimborso dell’IVA non dovuta, ai sensi dell’articolo 30ter del decreto IVA, può essere presentata solo dalla società cooperativa [BETA] (soggetto obbligato al pagamento dell’imposta), entro il termine decadenziale di due anni dalla restituzione al cessionario/committente dell’imposta indebitamente applicata. L’istante (soggetto obbligato in rivalsa) ha, dunque, solo la possibilità di richiedere il rimborso dell’imposta non dovuta al cedente/prestatore, ricorrendo, ove necessario, all’ordinaria giurisdizione civilistica mediante un’insinuazione anche tardiva al passivo fallimentare, non potendo ricorre ad altri istituti contemplati dalla disciplina IVA.
In conclusione, la soluzione prospettata dall’istante non può essere condivisa.
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