La Corte di Cassazione con la sentenza n. 15527 depositata il 21 luglio 2020 intervenendo in tema rettifica della dichiarazione fiscale ha ribadito che «la dichiarazione, in linea generale, salvo casi particolari o parti specifiche di essa, è un atto di scienza e quindi sempre emendabile, con la conseguenza che il contribuente può fare valere eventuali vizi commessi nella redazione della stessa, che attengano al merito della pretesa tributaria, anche in sede contenziosa, indipendentemente dal rispetto dei termini per la presentazione dell’emenda»
La vicenda ha riguardato una società, successivamente fallita, a cui veniva notificato una cartella di pagamento IRES, IRAP, IVA, emessa a seguito di un controllo automatizzato, ex art. 36-bis, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600. La società contribuente impugnava tale atto innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale. La contribuente riteneva, dimostrandolo, l’insussistenza del debito Ires per cui era stata emessa la cartella di pagamento in quanto il credito relativo ad una grossa fattura emessa nell’anno precedente non era mai stato incassato trattandosi di credito non ammesso allo stato passivo della committente debitrice. I giudici di prime cure rigettarono le doglianze della ricorrente. Avverso la decisione della CTP la società propose appello alla Commissione Tributaria Regionale. I giudici di appello riformarono parzialmente la sentenza di primo grado annullando la cartella limitatamente all’IRES. L’Agenzia delle Entrate impugnava la decisione della CTR con ricorso in cassazione fondato su due motivi.
Gli Ermellini rigettano il ricorso dell’Ufficio. In particolare i giudici di legittimità evidenziano che «In caso di errori od omissioni nella dichiarazione dei redditi, la dichiarazione integrativa può essere presentata non oltre i termini di cui all’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 se diretta ad evitare un danno per la P.A. (art. 2, comma 8, del d.P.R. n. 322 del 1998), mentre, se intesa, ai sensi del successivo comma 8 bis, ad emendare errori od omissioni in danno del contribuente, incontra il termine per la presentazione della dichiarazione per il periodo d’imposta successivo, con compensazione del credito eventualmente risultante, fermo restando che il contribuente può chiedere il rimborso entro quarantotto mesi dal versamento ed, in ogni caso, opporsi, in sede contenziosa, alla maggiore pretesa tributaria dell’Amministrazione finanziaria.»
Inoltre la Corte Suprema precisa che in base all’insegnamento delle sezioni unite “in materia di IVA e di imposte dirette sono applicabili i medesimi principi, compreso quello secondo il quale la dichiarazione del contribuente, affetta da errore, sia esso di fatto che di diritto, commesso dal dichiarante nella sua redazione, è – in linea di principio – emendabile e ritrattabile, quando dalla medesima possa derivare l’assoggettamento del dichiarante ad oneri contributivi diversi e più gravosi di quelli che, sulla base della legge, devono restare a suo carico …”
Il suddetto principio di diritto è stato enunciato sia dalle Sezioni Unite (Cass. SS.UU. 30 giugno 2016 n. 13378), sia dal legislatore, che, con il DL 193/2016, ha modificato in questo senso l’art. 2 del DPR 322/98. Pertanto la dichiarazione fiscale è emendabile sia in fase accertativa che durante il contenzioso tributario.
In giurisprudenza è stata affermata e consolidata la nozione ampia di errore, ricomprendendovi anche errori estranei al recupero dell’ente impositore ed in quanto il contribuente può di dimostrare di aver eseguito, per errore, una variazione in aumento. (Corte di Cassazione sentenza n. 21730/2017 che ha affermato che “qualora il contribuente dichiari, ma poi ometta di versare, una determinata imposta, ben può attendere, senza che ciò comporti alcuna decadenza, l’eventuale pretesa dell’amministrazione e, mediante l’impugnazione dell’atto lato sensu impositivo notificatogli, opporsi in sede contenziosa alla pretesa stessa, facendo valere errori, di fatto o di diritto, commessi in suo danno nella redazione della dichiarazione.”)
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