La Corte di Cassazione con la sentenza n. 1475 depositata il 23 gennaio 2020 intervenendo in tema di presunzione di onerosità dei finanziamenti a società controllate o collegate e dei mezzi di prova a dimostrarne la gratuità ha ribadito che “In tema di imposte sui redditi, la presunzione legale di onerosità per i versamenti effettuati dal socio alla società, prevista dall’art. 43 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 ai fini della determinazione del reddito di capitale delle persone fisiche, è applicabile anche ai versamenti effettuati da soci imprenditori, in forma individuale o collettiva, non facendo la norma cenno alcuno ad una pretesa natura di persona solo “fisica” dei soci destinatari della presunzione ed essendo tale limitazione, in carenza di qualsivoglia concreto elemento di differenziazione, contraria ad una interpretazione normativa coerente con i precetti dettati dagli artt. 3 e 53 Cost., in quanto finirebbe per trattare diversamente situazioni economiche identiche. Ne consegue che, in caso di mancato superamento della presunzione legale, gli interessi attivi, al pari di quelli prodotti da qualsiasi finanziamento a terzi, concorrono a formare il reddito prodotto dall’impresa (individuale o collettiva), come espressamente previsto dall’art. 45 del d.P.R. n. 917 cit. e confermato dall’art. 95, nella parte in cui considera il reddito complessivo delle società quale reddito d’impresa “da qualsiasi fonte provenga”
La vicenda ha riguardato una società a cui a seguito di pvc veniva notificato un avviso di accertamento con riprese a tassazione relative a costi indeducibili di diversa natura ed in particolare, ai fini della sentenza in commento, l’omessa contabilizzazione di ricavi per interessi attivi relativi a finanziamenti a società controllate e collegate. In particolare l’Amministrazione Finanziaria eccepiva che i finanziamenti soci, specie se infruttiferi, sono operazioni straordinarie da iscrivere sui libri sociali, dove non sono state trovate annotazioni al proposito, mentre alle richieste di chiarimenti la contribuente avrebbe risposto con la corrispondenza intercorsa con le proprie controllate o collegate donde si ricavava la concessione del prestito.
Avverso tale atto impositivo la società contribuente proponeva ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale, i cui giudici respingevano le doglianze della ricorrente. La decisione della CTP veniva confermata, a seguito della impugnazione della ricorrente, anche dalla Commissione Tributaria Regionale. La società proponeva ricorso in cassazione fondato su dieci motivi.
Gli Ermellini rigettano il ricorso della contribuente. Per i giudici della Suprema Corte è legittimo l’operato dell’Agenzia delle Entrate che con cui sono stati ripresi a tassazione i ricavi per gli interessi attivi sui finanziamenti concessi dalla società contribuente a società controllate e collegate, ai sensi dell’articolo 43 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, fermo restando la possibilità di prova contraria e che la natura infruttifera del finanziamento deve risultare dai libri sociali.
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