La Corte di Cassazione sez. lavoro con la sentenza n. 22869 depositata il 8 ottobre 2013 intervenendo in tema di licenziamento afferma che è legittimo il licenziamento del dipendente di un’ azienda che – senza motivazione plausibile – si allontani dal luogo di lavoro e faccia ritorno nel proprio Paese di origine.
La vicenda ha origine dal comportamento del dipendente che senza alcuna motivazione e senza alcuna autorizzazione si allontani dal posto di lavoro rientrando nel proprio paese di origine (era un dipendente extracomunitario). L’azienda dopo un periodi di assenza senza alcuna motivazione chiedeva ai connazionali del dipendente assente notizie in merito. Dalle informazioni raccolte si era venuto a conoscenza che il lavoratore aveva deciso di non ritornare più in Italia. Pertanto l’azienda provvede al licenziamento del dipendente.
Il lavoratore ricorre avverso il provvedimento di licenziamento al Tribunale, in funzione di giudice di lavoro, per accertare l’illegittimità del licenziamento (orale secondo la prospettazione del ricorrente) intimatogli e con conseguente diritto alla dichiarazione di inefficacia dello stesso ed al risarcimento del danno. Il Tribunale respinge la domanda del ricorrente. Medesima sorte subisce il ricorso proposto, dal lavoratore, inanzi alla Corte di Appello. Per i giudici di appello, infatti, rilevava che il rapporto doveva considerarsi come risolto su iniziativa del lavoratore. Nel caso concreto il lavoratore si era difeso rilevando come avesse chiesto un periodo di ferie, tesi che tuttavia era stata confutata dall’azienda. Inoltre si era accertato che il lavoratore non avesse chiesto le ferie e ne vi era stato un provvedimento, dell’azienda, che concedesse il lavoratore ad un periodo di ferie.
Il lavoratore, per il tramite del suo difensore, ricorre avverso la decisione del giudice di merito per la cassazione della sentenza basandolo su cinque motivi di censura.
Gli Ermellini rigettano il ricorso del dipendente ritenendo infondate le motivazioni. Pertanto i giudici confermano e ritengono corretta la sentenza della Corte di Appello.
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