La Corte di Cassazione sez. penale con la sentenza n. 41162 depositata il 7 ottobre 2013 intervenendo in tema di mancato pagamento di elementi della busta paga ha statuito che non risponde del reato di appropriazione indebita il datore di lavoro che non versa al dipendente emolumenti per indennità di malattia e assegni per il nucleo familiare.
In base all’ orientamento ormai consolidato della giurisprudenza di legittimità, quando il datore di lavoro si limiti a esporre dati e notizie false in sede di denunce obbligatorie, è configurabile il reato di evasione contributiva di cui all’articolo 37 della L. n. 689/1981 e non il diverso reato di truffa, per il quale, oltre alle false dichiarazioni, devono sussistere artifici e/o raggiri di altra natura. Tali raggiri potrebbero ravvisarsi ove all’INPS fosse simulata la situazione all’origine del debito portato a conguaglio. Allorché, invece, la discordanza tra la situazione rappresentata all’ente previdenziale e quella reale riguardi solo l’effettiva erogazione di somme che l’ente è tenuto a corrispondere al lavoratore tramite il datore di lavoro e quest’ultimo sostanzialmente riconosca il suo obbligo di corrisponderle (pur non avendole di fatto, ancora, corrisposte) nei confronti dell’INPS, il datore di lavoro sicuramente realizza (o, quanto meno, pone in essere atti idonei a realizzare) l’ingiusto profitto del conguaglio delle prestazioni che assume di aver anticipato, ma non determina alcun danno all’ente. Il lavoratore, infatti, non potrebbe che rivolgersi al datore di lavoro per ottenere quanto gli spetta avendo l’INPS, attraverso il conguaglio, adempiuto il suo obbligo. Sotto questo profilo il reato di truffa non sussiste, giacché in questo delitto, mentre il requisito del profitto ingiusto può comprendere in sé qualsiasi utilità, incremento o vantaggio patrimoniale, anche a carattere non strettamente economico, l’elemento del danno deve avere necessariamente contenuto patrimoniale ed economico, consistendo in una lesione concreta e non soltanto potenziale che abbia l’effetto di produrre – mediante la “cooperazione artificiosa della vittima” che, indotta in errore dall’inganno ordito dall’autore del reato, compie l’atto di disposizione – la perdita definitiva del bene da parte della stessa (cfr. Cass. SS.UU. n. 1/1998).
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