AGENZIA delle ENTRATE – Risposta n. 359 del 23 giugno 2023
Note di variazione ai sensi dell’articolo 26 del DPR 633/72
Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, è stato esposto il seguente
Quesito
GAMMA qualità di rappresentante del Gruppo Iva GAMMA, cui fa parte anche ALFA (di seguito anche “la Società”), fa presente quanto qui di seguito sinteticamente riportato.
Nel 2007, ALFA ha stipulato con BETA. “un contratto per il servizio di trasporto energia, al fine di poter svolgere l’attività di vendita di energia elettrica in favore del proprio portafoglio clienti”.
Nel periodo compreso tra la fine del 2019 e i primi mesi del 2020, ai fini del superamento della situazione di tensione finanziaria già allora insorta, BETA ha avviato le interlocuzioni con alcuni fornitori per la definizione della propria esposizione debitoria. In considerazione delle numerose difficoltà finanziarie emerse nel corso del 2019, BETA non è stata, infatti, in grado di provvedere al pagamento degli importi fatturati da ALFA, accumulando nei confronti della stessa un ingente debito.
Per ripianare la propria esposizione nei confronti di ALFA, nell’ambito di una procedura di risanamento ai sensi dell’articolo 67, terzo comma 3, lettera d), della legge fallimentare, il 29 aprile 2020 BETA ha sottoscritto con la stessa un accordo transattivo (di seguito “Accordo”), mediante il quale, per quanto in particolare interessa in questa sede, ALFA si è impegnata a rinunciare a una percentuale del credito vantato nei confronti di BETA.
Con clausola risolutiva espressa, l’efficacia dell’Accordo è stata vincolata al puntuale adempimento, da parte di BETA, degli impegni assunti nei confronti di ALFA e, in particolare, di alcune pattuizioni essenziali.
Sotto il profilo IVA, sulla base della disciplina ratione temporis applicabile (sul punto, identica alla disciplina vigente), ALFA a seguito della pubblicazione nel registro delle imprese del piano attestato ai sensi dell’articolo 67, comma 3, lett. d) della legge fallimentare, ha esercitato la facoltà prevista dall’articolo 26, comma 2, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (di seguito, anche il “Decreto IVA”), provvedendo ad emettere, con riferimento alla parte di credito per cui ha operato la predetta rinuncia, nota di credito nei confronti di BETA (di seguito, la “Nota di credito”).
Come riferito a ALFA da BETA, quest’ultima ha provveduto, ai sensi del comma 5 dell’articolo 26 anzidetto, a registrare la Nota di credito, riversando all’erario l’imposta originariamente detratta.
L’accordo intervenuto tra ALFA e BETA è stato oggetto di regolare esecuzione fino al pagamento della rata con scadenza 30 settembre 2021, comportando il pagamento di un importo complessivo di X euro.
A partire dal mese di ottobre 2021, ALFA ha contestato a BETA la violazione di molteplici previsioni dell’Accordo.
L’11 novembre 2021, a causa di una situazione di squilibrio economico-finanziario sempre più grave, BETA ha depositato dinanzi al Tribunale civile di Roma ricorso ai sensi dell’articolo 161, sesto comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (di seguito, la “legge fallimentare”), per la concessione di un termine per il deposito di una proposta di concordato preventivo e/o di un accordo di ristrutturazione dei debiti ai sensi dell’articolo 182-bis della legge fallimentare. Con comunicazione del 15 novembre 2021, ALFA ha contestato a BETA l’ulteriore violazione di molteplici previsioni dell’Accordo, invitando BETA a cessare ogni condotta contraria a quanto previsto dall’Accordo e a rimediare agli inadempimenti già verificatisi, dando contezza di ciò, immediatamente e comunque entro e non oltre quindici giorni dal ricevimento della stessa, rappresentando che, in difetto, l’Accordo non avrebbe potuto che considerarsi risolto sulla base delle contestazioni formulate.
Successivamente, con lettera del 19 novembre 2021, a seguito del mancato pagamento del corrispettivo per il servizio reso dovuto a ALFA da parte di ZETA, pagamento garantito da BETA con il rilascio di una lettera di garanzia a prima richiesta, ALFA ha contestato a BETA l’ulteriore violazione di una pattuizione essenziale del suddetto Accordo, ovvero di una violazione suscettibile di determinare l’inefficacia dell’Accordo.
Secondo ALFA, le condotte poste in essere da BETA ed in particolare il mancato pagamento dell’importo della fattura per il servizio reso a ZETA, hanno violato plurime pattuizioni essenziali dell’Accordo, giustificando l’attivazione della clausola risolutiva e così appunto determinando:
– l’inefficacia dell’Accordo;
– la reviviscenza del debito complessivo nei confronti di ALFA, per l’importo originario (al netto ovviamente di quanto incassato in pendenza dell’Accordo stesso).
BETA non ha condiviso la ricostruzione di ALFA e, in replica alle comunicazioni ricevute, con comunicazione del 29 novembre 2021, ha contestato la rappresentazione fornita da quest’ultima, rilevando come la presentazione del ricorso di cui all’articolo 161, sesto comma, della legge fallimentare abbia avuto come effetto, dalla sua pubblicazione nel registro delle imprese (avvenuta in data 11 novembre 2021), la cristallizzazione della situazione patrimoniale passiva.
Secondo BETA, il mancato pagamento dell’importo di cui alla fattura nei confronti di ZETA rimasta insoluta non potrebbe in alcun modo imputarsi ad un atto volontario di BETA, sicché non potrebbe configurarsi alcun relativo inadempimento contrattuale ed i presupposti per l’attivazione della clausola risolutiva contenuta nell’Accordo non potrebbero ritenersi effettivamente integrati nel caso di specie.
Con comunicazione del 3 febbraio 2022 ALFA ha contestato integralmente le argomentazioni di BETA, ritenendo che la condotta di BETA non potesse che essere considerata in violazione dell’Accordo e facendo presente in particolare che la violazione di una pattuizione essenziale dell’Accordo si ponesse in aperto contrasto con la logica di preservare la continuità dei rapporti con i clienti e, dunque, il valore dell’azienda, a tutela del ceto creditorio.
Ritenendo l’Accordo inefficace, ALFA ha proposto ricorso avanti il Tribunale Civile per l’emissione di un decreto ingiuntivo per un importo pari al debito originario (così come individuato e riconosciuto nell’Accordo), al netto di quanto già incassato.
Tale ricorso è stato accolto e il decreto è stato emesso in data 15 aprile 2022 e notificato a BETA l’11 maggio 2022.
In data 20 giugno 2022 BETA ha proposto opposizione al decreto ingiuntivo, contestando la debenza degli importi richiesti dalla società fornitrice e continuando, altresì, a contestare l’intervenuta inefficacia dell’Accordo invocata da ALFA.
A fronte del contenzioso attualmente pendente, le parti intendono definire quanto prima la situazione relativa all’emissione della nota di credito, segnatamente nella prospettiva di acclarare – mediante la presentazione di istanze di interpello se, nell’ambito della vicenda in esame, sussista una causa che comporti la necessità di emettere una fattura in rettifica della Nota di credito.
In particolare, l’Istante chiede di sapere se. in caso di sopravvenuta inefficacia di un accordo transattivo stipulato nell’ambito di un piano attestato di risanamento ai sensi dell’art. 67, comma 3, lett. d), L.F., con conseguente reviviscenza del debito originario, sussista un obbligo di emissione da parte del cedente/prestatore di una nota di debito ai fini IVA ex art. 26, comma 1, del d.P.R. n. 633 del 1972, a rettifica delle variazioni in diminuzione precedentemente operate ai fini IVA ai sensi dell’art. 26, comma 2, del medesimo decreto a fronte del “‘mancato pagamento del corrispettivo” da parte del cessionario/committente.
Essendo ALFA entrata a far parte del Gruppo Iva GAMMA, come sopra rammentato, ove si ritenesse necessario provvedere all’emissione della fattura, questa dovrebbe essere emessa da tale Gruppo, nella cui soggettività IVA “collettiva” è confluita ALFA. È per tale motivo che l’istanza è stata presentata da GAMMA in qualità di rappresentante del Gruppo Iva GAMMA.
Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente
L’Istante ritiene che, nella descritta situazione di perdurante mancato pagamento, non debba (e non possa) procedersi all’emissione di una fattura per rettificare la Nota di credito precedentemente emessa alla data di pubblicazione nel registro delle imprese del piano attestato anzidetto.
A tale proposito l’istante fa rilevare che l’attuale formulazione dell’articolo 26 del d.P.R. n. 633 del 1972 prevede che, nell’ipotesi di variazione in diminuzione per mancato pagamento, conseguente alla pubblicazione nel registro delle imprese di un piano attestato ai sensi dell’articolo 67, terzo comma, lettera d), della legge fallimentare, la correzione della variazione in diminuzione operata debba avvenire esclusivamente nelle ipotesi in cui il corrispettivo venga alla fine pagato.
Stabilisce, infatti, il comma 5-bis dell’articolo 26 che “Nel caso in cui, successivamente agli eventi di cui al comma 3-bis, il corrispettivo sia pagato, in tutto o in parte, si applica la disposizione di cui al comma 1”, ovvero sorge l’obbligo di emissione della fattura in relazione all’importo pagato.
Parere dell’Agenzia delle Entrate
L’articolo 18 del decreto-legge 25 maggio 2021, n. 73 (Decreto Sostegni-bis) ha introdotto modifiche sostanziali alla disciplina delle variazioni in diminuzione dell’imponibile IVA o dell’imposta dovuta recata dall’articolo 26 del DPR 26 ottobre 1972, n. 633 (d’ora in avanti anche decreto IVA), disponendo che nel caso di mancato pagamento del corrispettivo connesso a procedure concorsuali non si debba più attendere la conclusione delle stesse; tale modifica incide, conseguentemente, sul diritto di portare in detrazione l’imposta corrispondente a dette variazioni.
Il testo previgente del citato articolo 26 prevedeva la facoltà, in capo al cedente/prestatore, di rettificare in diminuzione l’imposta applicata quando l’operazione veniva meno o se ne riduceva l’ammontare imponibile in conseguenza di mancato pagamento comprovato da procedure esecutive individuali o procedure concorsuali rimaste infruttuose (con la definitiva conclusione delle procedure stesse), da accordi di ristrutturazione dei debiti omologati ai sensi dell’articolo 182-bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (legge fallimentare) o piani attestati ai sensi dell’articolo 67, terzo comma, lettera d), della legge fallimentare.
Tale versione dell’articolo 26 era stata, tuttavia, censurata dalla Corte di Giustizia UE a causa dell’eccessiva durata delle procedure concorsuali, al cui esito infruttuoso era subordinato il diritto alla detrazione dell’imposta non incassata (cfr. sentenza 23 novembre 2017, causa C-246/16 – Sentenza Di Maura).
Come chiarito dalla stessa relazione illustrativa al Decreto Sostegni-bis, infatti, “le modifiche apportate all’articolo 26 risultano conformi ai principi dell’ordinamento europeo e in particolare alla previsione di cui all’articolo 90, secondo paragrafo, della direttiva 2006/112/CE (direttiva IVA) il quale rimette agli Stati la facoltà di stabilire se e a quali condizioni riconoscere il diritto alla riduzione della base imponibile e dell’imposta in caso di mancato pagamento in tutto o in parte del corrispettivo”.
Al riguardo, come si legge anche nella circolare dell’Agenzia delle entrate del 29 dicembre 2021, n. 20 la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha affermato con la sentenza Di Maura che “la finalità del citato articolo 90 della Direttiva IVA è quella di consentire agli Stati membri di individuare, in considerazione del sistema giuridico nazionale esistente, le situazioni concrete in cui il mancato pagamento può dirsi ragionevolmente verificato e in quale misura.
Il documento di prassi, richiamando anche la menzionata relazione illustrativa al Decreto Sostegni-bis, precisa, inoltre, che “Tale disposizione deve essere interpretata «nel senso che uno Stato membro non può subordinare la riduzione della base imponibile dell’imposta sul valore aggiunto all’infruttuosità di una procedura concorsuale qualora una tale procedura possa durare più di dieci anni.».
La Corte di Giustizia, inoltre, ammette la variazione in diminuzione anche in presenza di una “ragionevole probabilità che il debito non sia saldato”, rinviando alle autorità nazionali il compito di stabilire, «nel rispetto del principio di proporzionalità e sotto il controllo del giudice, quali siano le prove di una probabile durata prolungata del non pagamento che il soggetto passivo deve fornire in funzione delle specificità del diritto nazionale applicabile» (cfr. sentenza 11 giugno 2020, causa C-146/19).”.
In tale contesto va letta la nuova formulazione dell’articolo 26, con particolare riguardo, per quanto qui di interesse, ai commi 3-bis e 5-bis.
Con specifico riferimento alle ipotesi contemplate nell’articolo 26, comma 3-bis, del decreto IVA e, dunque, «in caso di mancato pagamento del corrispettivo, in tutto o in parte, da parte del cessionario o committente» quando questi è assoggettato a una delle procedure indicate nelle successive lettere a) e b) del medesimo comma, emerge:
la possibilità per il cedente/prestatore di effettuare la variazione in diminuzione «dalla data di pubblicazione nel registro delle imprese di un piano attestato ai sensi dell’articolo 67, terzo comma, lettera d), del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267» [si veda il citato comma 3-bis, lettera a)];
che “l’obbligo di registrazione della variazione, in rettifica della detrazione originariamente operata, permanga, in capo al cessionario/committente” considerato che tali istituti [ossia, gli accordi di ristrutturazione dei debiti di cui all’articolo 182-bis ed i piani attestati ex articolo 67, terzo comma, lettera d), L.F. (ora anche articolo 56 del decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14)], “non sono qualificabili come procedure concorsuali in senso stretto, in quanto mancano sia del carattere della “concorsualità”, sia di quello dell'”ufficialità”. Il cedente/prestatore, pertanto, può portare in detrazione l’IVA, nella misura esposta nella nota di variazione, mentre la controparte è tenuta a ridurre in pari misura la detrazione che aveva effettuato, riversando l’imposta all’Erario.” (cfr. circolare n. 12/E del 2016, paragrafo 13.2, e circolare n. 20/E del 2021, paragrafo 4).
Il nuovo comma 5-bis dell’articolo 26 del decreto IVA, inoltre, prevede che “nel caso in cui, successivamente agli eventi di cui al comma 3-bis”, e quindi successivamente all’emissione della nota di variazione in diminuzione, “il corrispettivo sia pagato, in tutto o in parte, si applica la disposizione di cui al comma 1”, ossia l’obbligo di emettere una nota di variazione in aumento. “In tal caso, il cessionario o committente che abbia assolto all’obbligo di cui al comma 5 ha diritto di portare in detrazione ai sensi dell’articolo 19 l’imposta corrispondente alla variazione in aumento” (si veda sempre la circolare n. 20/E del 2021).
Alla luce di quanto sopra, nelle ipotesi di piani attestati pubblicati nel registro delle imprese, emerge la volontà del legislatore di non costringere i cedenti/prestatori, che si siano avvalsi della facoltà di emettere una nota di variazione in diminuzione, ad effettuare una variazione in aumento per la medesima operazione, se non a fronte del successivo pagamento, in tutto o in parte, del relativo corrispettivo (che nel caso di specie non è avvenuto).
D’altronde, anche in ragione di un principio di economicità, a fronte dell’acclarato omesso pagamento da parte del cessionario/committente, che questi tramite il piano riconosce ed il professionista indirettamente attesta con successiva pubblicazione nel registro delle imprese, l’obbligazione iniziale rimane inadempiuta e l’eventuale risoluzione dell’accordo raggiunto in base al piano non muta tale aspetto.
Alla luce delle considerazioni esposte si ritiene di accogliere la soluzione prospettata dall’Istante.
La presente risposta viene resa sulla base dei fatti, dei dati e degli elementi forniti dal contribuente assunti acriticamente nel presupposto della loro veridicità e correttezza e non si estende a questioni diverse da quelle che hanno costituito esplicita richiesta di parere.
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