Con la riforma del processo tributario, disposta con la legge n. 130/2022, tra le novità più rilevanti sicuramente è quella introdotta dall’art. 6 con cui è stato inserito il comma 5 bis all’art. 7 del D.Lgs. n. 546/1992. Il comma in commento prevede espressamente che << L’amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato. Il giudice fonda la decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio e annulla l’atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o e’ contraddittoria o se e’ comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni. Spetta comunque al contribuente fornire le ragioni della richiesta di rimborso, quando non sia conseguente al pagamento di somme oggetto di accertamenti impugnati.>>
Il comma 5 bis dell’articolo 7 del D.Lgs. n. 546/1992 trova applicazione a partire dal 16 settembre 2022 (data di entrata in vigore della legge di riforma n. 130 del 31 agosto), per cui si applica non soltanto ai giudizi instaurati successivamente, ma anche a quelli già in essere a quella data.
Le prime sentenze di merito (Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado n. 293/2022 di Reggio Emilia e n. 90/2023 dell’Emilia Romagna hanno statuito che la previsione normativa, riguardante l’onere probatorio nel processo tributario trova applicazione anche ai procedimenti in corso. Inoltre la nuova norma disciplina che determina l’annullamento dell’atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria, o se è comunque insufficiente a dimostrare la pretesa.
Anche la Corte Suprema si è pronunciata sulla norma in commento. anche se marginalmente, con le ordinanza n. 31878/2022, 31880/2022 e 37985/2022. Con le decisioni sopra indicate i giudici del palazzaccio hanno affermato che nel contesto delle vicende esaminate la nuova norma non avesse concreta rilevanza
I giudici di legittimità hanno attribuito all’amministrazione finanziaria il ruolo di “attore in senso sostanziale” della pretesa. Per cui , salvo le ipotesi in cui le norme dispongano diversamente, è onere del fisco a provare la fondatezza, fin dall’emissione, delle pretese dell’avviso di accertamento.
Da ciò risulta che il contenuto del comma 5 bis non si pone in contrasto con la natura di “attore in senso sostanziale” dell’Amministrazione della pretesa. Ciò in linea con quanto puntualizzato dall’Ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte di Cassazione all’indomani dell’entrata in vigore della novella, “la norma mira, con ogni evidenza, a cristallizzare e rendere indiscussa una regola che poteva ritenersi già assodata nella materia, posto che attore di fatto è sempre l’ente impositore”
Pertanto continua a rimanere a carico del contribuente l’onere di formulare uno specifico motivo di impugnazione concernente la violazione, da parte dell’ufficio, dell’onere della prova.
Nella norma in commento la puntualizzazione “in giudizio” evidenzia la natura processuale della norma, anche in considerazione del contesto all’interno del quale nasce e si attua l’onere probatorio è proprio il processo.
L’Amministrazione risulta gravata dell’onere probatorio, tale onere sorge già all’atto dell’emissione dell’atto impositivo, prima che il giudizio venga formalmente introdotto dal contribuente mediante ricorso; da ciò deriva la natura di “attore in senso sostanziale” del fisco, più e più volte ricordata dalla Cassazione
Un altro, interessante aspetto, è costituito sicuramente dalle cosiddette “presunzioni di natura giurisprudenziale” che non si fondano su alcuna norma “positiva”, ma che si sono consolidate nella giurisprudenza della Corte di Cassazione e che rappresentano oramai una costante a favore del fisco.
Il legislatore, fermo restando le norme che prevedano l’inversione dell’onere della prova (quali ad esempio l’articolo 38 del d.P.R. n. 600/1973 in materia di accertamento sintetico; articolo 10-bis e 32 della legge 27 luglio 2000 n. 212), ha valuto salvaguardare la normativa esistente in tema di riparto dell’onere probatorio.
Inoltre il riferimento alla natura “sostanziale” della normativa chiarisce che le norme, con cui va coordinato il comma 5-bis, sono quelle positive non processuali.
Per cui alla luce di quanto sopra riportato va rilevato che le cosiddette “presunzioni di natura giurisprudenziale” ( in particolare quella della cosiddetta “ristretta base societaria” e la relativa presunzione di distribuzione degli utili) non dovrebbero prevalere rispetto al nuovo precetto, in base al quale l’ unica “deroga” alla regola dell’imputazione dell’onere probatorio che grava sull’Amministrazione finanziaria.
Pertanto, al di fuori e già prima del processo, solo nelle ipotesi di inversione legale dell’onere probatorio, il fisco può esimersi dal fornire la prova in giudizio, a pena di annullamento dell’atto da parte del giudice. Infine si evidenzia che anche nelle ipotesi di presunzione legale il fisco è tenuto provare in giudizio il fatto noto da cui dipende quella presunzione.
Alla luce del comma 5 bis la “probatio diabolica” non potrà che incombere sugli uffici.
In tema di irrogazione delle sanzioni, la nuova norma impone a carico dell’Amministrazione finanziaria l’onere di provare non solo il presupposto della pretesa impositiva, ma anche il presupposto dell’irrogazione delle sanzioni.
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La Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado di Reggio Emilia, con la sentenza n. 293/2022, si è pronunciata in merito alla rettifica di costi indeducibili mei confronti di una società che avrebbe utilizzato fatture per operazioni inesistenti. La CGT, affermando l’applicabilità ai giudizi in corso del comma 5-bis dell’articolo 7 del Dlgs 546/1992, ha statuito, annullando l’atto impositivo, che il fisco non ha dedotto elementi idonei a dimostrare in modo circostanziato e puntuale le ragioni oggettive su cui si fondono la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni.
Con altra sentenza, n. 90/2023, la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado dell’Emilia Romagna si è pronunciata su un atto impositivo, impugnato dal contribuente, in merito al disconoscimento di costi ritenuti non inerenti in quanto le fatture avevano una descrizione generica.
La vicenda, invece, esaminata dalla Cgt di secondo grado dell’Emilia Romagna nella sentenza 90/2023, riguardava, tra l’altro, una contestazione di costi ritenuti non inerenti verosimilmente (per quanto desumibile dalla lettura della pronuncia) perché documentati da fatture aventi un contenuto generico.
I giudici di secondo grado, affermando l’applicazione dell’art. 7 comma 5 bis al ricorso esaminato, ha ritenuto che la sentenza di primo grado avesse ingiustamente sollevato l’Ufficio dall’onere della prova in merito all’asserito difetto di inerenza, in violazione al nuovo precetto normativo.
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