Corte di Cassazione ordinanza n. 31878 depositata il 27 ottobre 2022

onere della prova a carico dell’Agenzia – comma 5 bis dell’art.7 d.lgs. n.546/1992

RILEVATO CHE:

1. l’Agenzia delle entrate ricorre con tre motivi contro la C.I.V. Service s.r.l., che resiste con controricorso, avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Calabria n.3196/19, pronunciata il 9 luglio 2019, depositata il 18 settembre 2019 e non notificata, che ha rigettato l’appello dell’ufficio contro la decisione della Commissione tributaria provinciale di Crotone, che aveva accolto il ricorso della contribuente avverso l’avviso di accertamento emesso ai fini Ires, Iva e Irap per l’anno di imposta 2010.

2. Con la sentenza impugnata, la C.t.r. preliminarmente ricostruisce la vicenda fattuale quale emerge dai pp.vv.cc. indicati nell’avviso di accertamento e richiama la sentenza di primo grado, della quale afferma di condividere l’iter

Il giudice di appello, inoltre, rilevava che nel caso in esame era intervenuto decreto penale di archiviazione sul presupposto dell’assenza di qualsiasi coinvolgimento del legale rappresentante della società contribuente nella fattispecie contestata di evasione, connessa alla cessione di gasolio per uso agricolo.

Secondo la C.t.r., gli elementi evidenziati dall’ufficio non erano sufficienti a dimostrare la consapevolezza in capo alla contribuente dell’operazione fraudolenta, anzi gli adempimenti effettuati dalla società nei rapporti con la ditta R.G., non contestati dall’amministrazione finanziaria, erano inconciliabili con la volontà di porre in essere l’evasione fiscale.

3. Il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 25 ottobre 2022, ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380 bis 1, cod. proc. civ., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal d.l. 31.08.2016, n.168, conv. in legge 25 ottobre 2016, n.197.

Le parti  hanno depositato memoria ex art.380 – bis.1 cod. proc.civ.

CONSIDERATO CHE:

1. Preliminarmente, deve rilevarsi che <<l’intervenuta modifica dell’art. 43 l.fall. per effetto dell’art. 41 del d.lgs. n. 5 del 2006, nella parte in cui stabilisce che “l’apertura del fallimento determina l’interruzione del processo”, non comporta l’interruzione del giudizio di legittimità, posto che in quest’ultimo, in quanto dominato dall’impulso d’ufficio, non trovano applicazione le comuni cause di interruzione del processo previste in via generale dalla legge>> (Cass. n. 27143/2017).

1.1 Con il primo motivo, l’Agenzia ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art.132 cod. proc. civ., in relazione all’art.360, primo comma, n.4, cod. proc. civ.

Secondo la ricorrente la sentenza impugnata sarebbe nulla perché si limita a richiamare le conclusioni del giudice di primo grado, senza effettuare alcuna valutazione in merito alle censure prospettate nell’atto di appello, con il quale l’ufficio aveva ribadito le ragioni per le quali gli elementi addotti dalla contribuente non erano idonei a contrastare la pretesa impositiva.

La C.t.r. si era, invece, limitata a ripetere quanto già affermato dalla C.t.p. di Crotone circa gli adempimenti elencati dalla parte alle pagine 6, 7 e 8 del ricorso, rilevando che l’ufficio, anche in secondo grado, non aveva sollevato alcuna contestazione.

1.2 Con il secondo motivo, la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art.20 lgs. 10 marzo 2000 n.74 e dell’art. 654 cod. proc. pen., in relazione all’art.360, primo comma, n.3, cod. proc. civ.

La ricorrente sostiene che la C.t.r., pur avendo richiamato correttamente i principi in tema di rapporti tra processo penale e tributario, sottolineando l’autonomia del secondo dal primo, in concreto non ha effettuato alcun apprezzamento motivato delle risultanze probatorie del procedimento penale, né ha effettuato alcun raffronto con le risultanze del giudizio penale e gli elementi acquisiti nel giudizio tributario.

1.3 Con il terzo motivo, la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt.2697 e 2729 cod. civ., in relazione all’art.360, primo comma, n.3, cod. proc. civ.

Secondo la ricorrente la sentenza impugnata, nell’affermare che l’ufficio non aveva assolto al proprio onere probatorio in merito all’effettiva partecipazione della società alla frode fiscale, aveva violato i principi in tema di onere probatorio e prova presuntiva, valorizzando mere affermazioni della contribuente e, viceversa, trascurando l’intero quadro indiziario fornito dall’ufficio.

Rileva la ricorrente che, in materia di Iva, nelle ipotesi di operazioni soggettivamente inesistenti di tipo triangolare, assimilabili per certi aspetti alla fattispecie in esame, l’onere della prova dell’amministrazione può esaurirsi nella dimostrazione che il soggetto interposto è privo delle dotazioni necessarie all’esecuzione della prestazione, mentre il contribuente deve provare che non sapeva, o non avrebbe potuto sapere, con l’ordinaria diligenza, dell’evasione o della frode posta in essere dal cedente.

Nel caso in esame, secondo la ricorrente, la C.t.r. avrebbe completamente omesso tale tipo di verifica in ordine alla diligenza esigibile in capo alla contribuente, ritenendo sufficiente la dimostrazione di adempimenti del tutto inconferenti sul punto.

2.1 I motivi, da esaminare congiuntamente perché connessi, sono fondati e vanno accolti.

L’avviso di accertamento impugnato trae origine dal p.v.c. redatto  dalla  G.d.F.  -Nucleo  di  Polizia  Tributaria  di  Crotone  a conclusione di una verifica fiscale per gli anni 2010, 2011, 2012, 2013, nonché del p.v.c., redatto dalla G.d.F. – Nucleo di Polizia Tributaria di Catanzaro a seguito di un controllo fiscale per gli anni 2010 e 2011, a carico della C.I.V. Service s.r.l.

I militari operanti constatavano che la società C.I.V. Service s.r.l., per il tramite della ditta individuale R.G., prestanome del gestore di fatto, Albanese Vincenzo, aveva ceduto gasolio agricolo verso soggetti non aventi titolo a riceverne.

Dalle indagini era emerso che la C.I.V. Service s.r.l., quale fornitrice della ditta R.G., aveva emesso DAS e fatture a fronte di forniture di prodotto agevolato formalmente destinate a un deposito commerciale di proprietà della ditta acquirente. La ditta individuale R.G., infatti, nel periodo interessato dalle indagini (06.11.2010 – 16.09.2011), disponeva di due depositi commerciali di gasolio agricolo, tra cui quello di Spezzano della Sila (CS), Località Forgitelle – fraz. Camigliatello, che era, di fatto, gestito da Albanese Vincenzo. In capo alla ditta R.G., a seguito delle indagini operate dai militari della G.d.F., era risultata un’elevata sproporzione tra le capacità di stoccaggio del deposito e le quantità di gasolio agricolo acquistato, attestate dai documenti fiscali emessi da diverse aziende calabresi. Inoltre, dai controlli incrociati effettuati nelle banche dati, era risultato che le risorse finanziarie e patrimoniali di R.G. erano palesemente insufficienti rispetto all’onerosità delle transazioni commerciali documentate per gli acquisti di gasolio agricolo. Da ultimo, era stata accertata l’impossibilità della ditta individuale R.G. di poter procedere alla vendita di grosse quantità di gasolio agricolo, poiché la stessa non risultava intestataria di alcun mezzo per il trasporto di prodotti petroliferi, né risultava averli nella propria disponibilità. Tutto ciò portava i militari a desumere che Albanese Vincenzo era il gestore di fatto della ditta individuale, mentre si palesava il ruolo di mero prestanome rivestito da R.G..

Sul punto, l’ufficio evidenziava che i pagamenti delle forniture erano stati effettuati per contanti o mediante altri mezzi di pagamento, tutti riconducibili direttamente ad Albanese Vincenzo, non avendo la ditta R.G. la disponibilità di un proprio conto corrente; inoltre, gli stessi legali rappresentanti delle imprese fornitrici del gasolio avevano individuato in Albanese Vincenzo il soggetto con cui avevano avuto rapporti commerciali e che aveva provveduto al pagamento delle forniture.

La C.t.r., senza esaminare il complesso quadro indiziario posto a base dell’accertamento, ha affermato che il comportamento della contribuente fosse assolutamente inconciliabile con la volontà di porre in essere operazioni fraudolente, ma non ha spiegato come facesse a giungere a tale conclusione.

Invero, la contribuente aveva sostenuto di aver effettuato il controllo sulla licenza della ditta R.G. e sui libretti di circolazione dei veicoli, effettuando comunicazione scritta con l’indicazione dei trasportatori ed autisti, nonché quotidiane comunicazioni all’Agenzia delle dogane e tempestive risposte ai questionari.

La C.t.r., semplicemente richiamando tali adempimenti, ha affermato che la società fornitrice avesse dimostrato la propria buona fede e la propria scusabile ignoranza sulla effettiva destinazione del gasolio, senza chiarire come le verifiche effettuate dalla società, all’evidenza di carattere formale, consentissero di superare la prova presuntiva dell’amministrazione.

Anche la circostanza che nel giudizio penale non fossero emersi collegamenti tra il legale rappresentante della contribuente ed i soggetti coinvolti nella gestione della ditta R.G. non sembra essere dirimente per escludere il coinvolgimento della contribuente nella frode fiscale.

Invero, a fronte del complesso quadro indiziario fornito dall’ufficio, la società contribuente aveva l’onere di dimostrare la propria buona fede, cioè che, nella specifica situazione accertata nella fase delle indagini, i comportamenti posti in essere integrassero l’ordinaria diligenza richiesta ad un operatore commerciale accorto.

E’ appena il caso di sottolineare che il comma 5 bis dell’art.7 d.lgs. n.546/1992, introdotto con l’articolo 6 della legge n. 130/2022, ha ribadito, in maniera circostanziata, l’onere probatorio gravante in giudizio sull’amministrazione finanziaria in ordine alle violazioni contestate al contribuente, per le quali, come nel caso di specie, non vi siano presunzioni legali che comportino l’inversione dell’onere probatorio.

Pertanto, la nuova formulazione legislativa, nel prevedere che <<L’amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato. Il giudice fonda la decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio e annulla l’atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria o se è comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni>> non stabilisce un onere probatorio diverso o più gravoso rispetto ai principi già vigenti in materia, ma è coerente con le ulteriori modifiche legislative in tema di prova, che assegnano all’istruttoria dibattimentale un ruolo centrale.

In conclusione, il ricorso va accolto; la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Calabria, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Calabria, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.