Corte di Cassazione, sezione tributaria, ordinanza n. 2746 depositata il 30 gennaio 2024
principio di diritto – onere della prova – accertamento sintetico di cui all’art. 38, quarto comma, d.P.R. 29/09/1973 n. 600
Rilevato che:
1. L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto di cui all’epigrafe,
che ha rigettato il suo appello principale, accogliendo quello incidentale dei contribuenti, contro la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Venezia, che aveva solo parzialmente accolto il ricorso di R.B. e B.P., comiugi, contro gli avvisi di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate aveva rettificato in via sintetica, avvalendosi delle risultanze del cd. redditometro, i redditi dai medesimi dichiarati per li 2007 ed il 2008.
I contribuenti si difendono con controricorso.
Considerato che:
1. Con il primo motivo l’Agenzia denunzia « Violazione e falsa applicazione dell’art. 38 commi 4, 5 e 6 DPR 600/1973 e dell’art. 2697 c.c. (art. 360, n. 3, c.p.с.)», censurando la sentenza impugnata per aver ritenuto che le risultanze del redditometro non possano assurgere al rango di presunzioni legali, ma soltanto di presunzioni semplici. Viceversa, secondo la ricorrente, si tratta di presunzioni legali, che il contribuente è onerato di superare attraverso la dimostrazione di avere posseduto altre disponibilità per far fronte alla capacità di spesa sinteticamente accertata e di avere impiegato allo scopo tali disponibilità , per cui legittimamente l’Ufficio può fondare un accertamento sintetico esclusivamente sulla base di dette risultanze, senza necessità di integrarle con alcun altro elemento probatorio o induttivo.
Il motivo è inammissibile, in quanto generico, limitandosi a contrastare astrattamente un’affermazione di principio, sostenuta nella sentenza impugnata, ed a sostenerne una contraria, senza tuttavia porre nessuna delle due tesi in relazione concreta con la fattispecie sub iudice e , ciò che più rileva, senza confrontarsi con la sentenza impugnata e la sua ratio decidendi, ovvero senza prospettare quali siano le ricadute effettive dell’una o dell’altra interpretazione sulla decisione censurata, tanto più che quest’ultima, per effetto degli appelli contrapposti delle parti, ha per oggetto una pluralità di elementi sintomatici, secondo l’Amministrazione, di un reddito presunto maggiore di quello dichiarato, rispetto ai quali si configurano diverse evenienze istruttorie e sono state adottate dalla CTR argomentazioni differenti.
Del resto, questa Corte ha già chiarito che « In tema di ricorso per cassazione, la deduzione del vizio di violazione di legge non determina, per ciò stesso, lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi il rivendicato inquadramento normativo, occorrendo che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente » (Cass., S.U., 12/11/2020, n. 25573).
In particolare, poi, dalla lettura della motivazione della sentenza impugnata, non emerge univocamente che l’affermata natura di “presunzioni semplici” in ordine agli indici legali presuntivi di maggior reddito abbia comportato, come afferma il motivo di ricorso, la negazione, da parte del giudice d’appello, della sufficienza degli stessi elementi a costituire, di per sé soli, fattispecie presuntive che trasferiscano al contribuente l’onere della prova contraria. Piuttosto, la ratio decidendi si incentra sull’ampiezza e sull’ oggetto di tale prova (oltre che sulla verifica fattuale dell’assolvimento dell’onere), sul presupposto, pertanto, che la presunzione legale relativa (pur se definita impropriamente ”semplice”) abbia comunque operato, invertendo l’onere probatorio a danno del contribuente, ma riconoscendo a quest’ultio la facoltà di prova contraria. Pertanto, il mezzo neppure attinge puntualmente la ratio decidendi fondante la decisione, risultando anche per tale motivo inammissibile (cfr. Cass. 10/08/2017, n. 19989).
2. Con il secondo motivo l’Agenzia denunzia « Violazione e falsa applicazione dell’art. 38 commi 4, 5 e 6 DPR 600/1973 e dell’art. 2697 c.c. (art. 360, п. 3, с.р.с.).», sostenendo che la CTR avrebbe errato nel ritenere che, ai fini del superamento della presunzione di cui all’art. 38, quarto comma 4, d.P.R. n. 600 del 1973 da parte del contribuente, sarebbe sufficiente dimostrare di avere avuto. per l’anno accertato, disponibilità sufficienti a giustificare il tenore di vita sinteticamente accertato. Viceversa, secondo l’Agenzia, non sarebbe sufficiente la dimostrazione dell’esistenza di disponibilità finanziarie, in quanto li contribuente dovrebbe fornire l’ulteriore dimostrazione che proprio quelle disponibilità finanziarie siano state utilizzate per sostenere le spese poste a fondamento dell’accertamento da parte del Fisco.
Il motivo è autosufficiente, non attinge il merito (ma l’interpretazione del contenuto dell’onere della prova posto dalla legge a carico del contribuente) e adeguatamente specifico, atteso che (come risulta dalla motivazione della sentenza impugnata) la questione della necessità, o meno, del nesso eziologico tra spese effettuate e disponibilità finanziarie esenti o già dichiarate dimostrate si pone, in egual misura, per tutte le fattispecie controverse.
Il motivo è fondato, nei seguenti termini.
Questa Corte, con orientamento ormai consolidato, ha chiarito che la prova contraria del possesso di redditi non imponibili che il contribuente deve fornire, per superare la ricostruzione presuntiva e sintetica del reddito operata dall’Amministrazione, non può limitarsi alla dimostrazione della mera disponibilità di ulteriori redditi o del semplice transito della disponibilità economica nella sfera patrimoniale dello stesso contribuente. Infatti, pur non essendo esplicitamente richiesta la prova che detti ulteriori redditi siano stati utilizzati per coprire le spese necessarie, il contribuente è comunque «onerato della prova in merito a circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere››, poiché è la norma stessa a chiedere qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenute alla fonte), in tal senso dovendosi leggere lo specifico riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) dell’entità di tali eventuali ulteriori redditi e della durata del relativo possesso, previsione che ha l’indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di tali redditi, per consentirne la riferibilità alla maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente.. Né, peraltro, la prova documentale richiesta dalla norma in esame risulta particolarmente onerosa, potendo essere fornita, ad esempio, con l’esibizione degli estratti dei conti correnti bancari facenti capo al contribuente, idonei a dimostrare la durata del possesso dei redditi in esame (Cass. 28/12/2022, n. 37985; Cass. 14/06/2022, n. 19082; Cass. 20/04/2022, n. 12600; Cass. 24/05/2018, n. 12889; Cass. 16/05/2017, n. 12207; Cass. 26/01/2016, n. 1332; Cass. 18/04/2014, n. 8995).
2.1. È peraltro il caso di sottolineare che non è destinato ad incidere sulla descritta distribuzione, nel caso di specie, dell’onere della prova, il nuovo comma 5-bis dell’art. 7 del d.lgs. n. 546 del 1992, introdotto dall’ art. 6 della legge n. 130 del 2022, secondo il quale « L’amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato. Il giudice fonda la decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio e annulla l’atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria o se è comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni. Spetta comunque al contribuente fornire le ragioni della richiesta di rimborso, quando non sia conseguente al pagamento di somme oggetto di accertamenti impugnati.».
Infatti, già la sola precisazione, nel secondo periodo del ridetto comma 5-bis, che la fondatezza della prova deve essere valutata “comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale”, salvaguarda le presunzioni legali, quale quella in materia di accertamento sintetico, previste dalla normativa sostanziale tributaria, la cui persistenza non può quindi ritenersi in contrasto con disposizioni sull’onere della prova contenute nel primo e nel terzo periodo dello stesso comma, quale che sia la portata di queste ultime rispetto alla disciplina già evincibile dall’ applicazione dell’ art. 2697 cod. civ.
Può quindi affermarsi che «In materia di giudizio tributario, il nuovo comma 5- bis dell’art. 7 del d.lgs. n. 546 del 1992, introdotto dall’ art. 6 della l. n. 130 del 2022, secondo cui il giudice deve valutare la prova “comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale”, non si pone in contrasto con la persistente applicabilità delle presunzioni legali che, nella normativa tributaria sostanziale, impongano al contribuente l’onere della prova contraria.».
3. Con il terzo motivo l’Agenzia denunzia « Violazione e falsa applicazione dell’art. 38 commi 4, 5 e 6 DPR 600/1973 e dell’art. 2697 c.c. (art. 360, n. 3, c.p.c.).», lamentando che la sentenza impugnata avrebbe erroneamente confermato la sentenza di primo grado, nella parte in cui la CTP aveva affermato che non potesse tenersi conto, nell’accertamento sintetico del reddito relativo agli anni 2007 e 2008, delle spese per incrementi patrimoniali realizzatisi successivamente al 2008.
Entrambi i giudici di merito avrebbero infatti errato nel ritenere applicabile alla fattispecie (relativa al 2007 e al 2008) la nuova disciplina sull’ imputazione dei redditi patrimoniali stabilita dalla novella di cui al d.l. n. 78 del 2010, sebbene il legislatore l’abbia dichiaratamente resa applicabile soltanto dal 2009. L’errore avrebbe comportato quindi la negata imputazione di incrementi si verificatisi successivamente al 2008, ma, in ragione dell’applicabilità agli anni accertati della disciplina antecedente la novella, imputabili comunque a ritroso e pro quota anche ai quattro anni precedenti, quindi in proporzione anche al 2007 ed al 2008, periodi qui controversi.
Il motivo è ammissibile e fondato
È vero, infatti, che al caso di specie, relativo agli anni d’imposta 2007 e 2008, si applica, ratione temporis, l’art. 38 d.P.R. n. 600 del 1973 nella versione antecedente le modifiche introdotte dall’art. 22 d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010 n. 122, poiché tale novella si applica solo a far data dall’anno d’imposta 2009.
Infatti, il primo comma del predetto art. 22 d.l. n. 78 del 2010 espressamente prevede che le modifiche che esso reca al testo dell’ art. 38 d.P.R. n. 600 del 1973 abbiano «effetto per gli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del presente decreto», vale a dire per gli accertamenti del reddito relativi ai periodi d’imposta successivi al 2009, tra i quali non sono compresi quelli sub iudice.
A sua volta, l’art. 5 d.m. 24 dicembre 2012, conformemente alla citata disposizione di legge, statuisce che le « disposizioni contenute nel presente decreto si rendono applicabili alla determinazione dei redditi e dei maggiori redditi relativi agli anni d’imposta a decorrere dal 2009».
Al riguardo questa Corte (Cass., 06/10/2014, n. 21041; Cass., 6/11/2015, n. 22744; Cass., 29.01.2016, n. 1772; Cass. 21.11.2019, n. 30355), nell’escludere l’applicazione retroattiva della novella in questione, ha già avuto modo di chiarire che:
a) non sono in questione i principi sulla retroattività, atteso che la giurisprudenza che afferma l’applicabilità degli indici previsti dai decreti ministeriali del 10 settembre e del 19 novembre 1992 ai periodi d’imposta precedenti alla loro adozione (ex plurimis, Cass., 26/02/2019, n. 5566) si fonda piuttosto sulla natura procedimentale delle norme dei decreti, dalla quale soltanto (e non dalla retroattività) consegue la loro applicazione con riferimento al momento dell’accertamento;
b) neppure è in questione il principio del favor rei, la cui applicazione è predicabile unicamente rispetto a norme sanzionatorie, non invece in materia di poteri di accertamento o di formazione della prova, rilevanti in materia di redditometro;
c) comunque, l’ individuazione della norma applicabile è questione di diritto intertemporale ed a fronte alla esplicita previsione di diritto transitorio, già richiamata, che inequivocabilmente identifica la norma applicabile, è recessivo anche il principio tempus regit actum, altrimenti applicabile alle norme che dovessero qualificarsi come procedimentali.
Tanto premesso, poiché la citata norma intertemporale si riferisce ai redditi dei periodi d’imposta oggetto dell’accertamento, alle fattispecie concrete qui controverse (relative ad accertamenti per i redditi del 2007 e del 2008) continua pertanto ad applicarsi il comma quinto dell’ art. 38 d.P.R. n. 600 del 1973, il quale, nella predetta versione vigente ratione temporis, prevedeva che «Qualora l’ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali, la stessa si presume sostenuta, salvo prova contraria, con redditi conseguiti, in quote costanti, nell’anno in cui è stata effettuata e nei quattro precedenti.».
La circostanza che la spesa in relazione alla quale è stato determinato il reddito accertato sinteticamente – e ripartito pro quota anche nelle annualità antecedenti – sia stata effettuata nel corso di un periodo d’imposta successivo al 2008 non è quindi idonea a determinare l’applicazione della ridetta novella (ferma restando, in ipotesi, l’eventuale prova contraria da parte del contribuente, consentita dalla norma, circa una collocazione temporale delle risorse reddituali, utilizzate per sostenere la medesima spesa, diversa da quella presunta ex lege ). Tanto più che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, in fattispecie quali quelle sub iudice, non sussiste per l’Amministrazione l’obbligo di necessaria coincidenza tra il periodo d’imposta oggetto dell’ accertamento sintetico e quello in cui la spesa sia stata sostenuta.
Infatti, è stato già ritenuto da questa Corte (Cass. 08/10/2021, n. 27433, in motivazione) che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, gli elementi e le circostanze di fatto utilizzate per l’accertamento sintetico di cui all’art. 38, quarto comma, d.P.R. 29/09/1973 n. 600, nella formulazione vigente ratione temporis per l’avviso di accertamento relativo all’anno 2008, non debbono necessariamente riferirsi all’anno in contestazione, ma possono essere accaduti in anni diversi, allorché si riflettano sul periodo fiscale interessato, traducendosi in ulteriori ed autonomi indici contributivi. Ciò anche in quanto, in base alla formulazione previgente dell’art. 38, quattro comma, del d.P.R. cit., è consentito all’Ufficio di determinare sinteticamente un imponibile maggiore rispetto a quello ricavabile dalla valutazione analitica in presenza di fatti che, provando un certo ammontare di spesa, presuppongono la disponibilità di un corrispondente reddito, e che possono anche essere accaduti in anni diversi da quello in contestazione, allorché si riflettano sul periodo fiscale interessato, traducendosi in ulteriori ed autonomi indici contributivi. La norma in parola non esclude la possibilità di superare dette presunzioni, ma sempre che il contribuente soddisfi l’onere, a suo carico, di provare che la disponibilità di quel reddito presunto non rientra nella base imponibile da prendere in considerazione ai fini della determinazione delle imposte (cfr., ex plurimis, Cass. 02/06/1992, n. 6714; Cass. 22/12/1995, n. 13089; Cass. 21/06/2002, n. 9099; Cass. 01/07/2003, n. 10371; Cass. 07/06/2006, n. 13316; Cass. 20/04/2012, n. 6222; Cass. 26/03/2014, n. 7163).
Pertanto, gli elementi circostanziali utilizzati per l’accertamento sintetico possono essere accaduti in anni diversi da quello in contestazione, sempre che si riflettano sul periodo fiscale interessato, traducendosi, così, in ulteriori ed autonomi indici contributivi. Ne deriva che – per superare le presunzioni derivanti dall’applicazione dei parametri contenuti nel decreto ministeriale cui al comma quarto dell’art. 38 d.P.R. cit., con la conseguente imputazione della spesa ai redditi conseguiti, in quote costanti, nell’anno in cui essa è stata effettuata e nei quattro precedenti, ai sensi del successivo quinto comma- il contribuente dovrà provare che il reddito presunto non rientrava nella base imponibile presa in considerazione dall’Ufficio, perché la spesa per gli incrementi patrimoniali in questione, verificatisi dopo l’anno 2008, non deriva in realtà da redditi già disponibili negli anni dell’accertamento.
Nello stesso senso, da ultimo, con riferimento a fattispecie assimilabile, sotto il profilo cronologico, a quella sub iudice, si è detto che « In tema di accertamento con metodo cd. sintetico, è legittima l’applicazione dell’art. 38, comma 5, del d.P.R. n. 600 del 1973 (nel testo antecedente alla modifica apportata dall’art. 22 del d.l. n. 78 del 2010, conv. dalla l. n. 122 del 2010) il quale reca una presunzione “iuris tantum” di favore per il contribuente, secondo cui la spesa per incrementi patrimoniali rilevata dall’Ufficio si presume sostenuta con redditi conseguiti non solo nell’anno in cui è effettuata, ma già a partire dai cinque anni precedenti, in misura costante, ferma restando, peraltro, la facoltà per il contribuente stesso di provare che il maggior reddito è costituito, in tutto o in parte, da redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che aveva ritenuto corretto far gravare sui redditi del 2007 e 2008, accertati in via induttiva, anche gli incrementi patrimoniali del 2009 – conseguenti all’acquisto di due autoveicoli ed alla vendita di un terzo – per effetto del criterio di ripartizione dell’esborso nei cinque anni precedenti)» La sentenza impugnata non ha fatto buon governo di tali principi.
4. L’accoglimento del secondo e del terzo motivo di ricorso rende necessario il rinvio al giudice di merito per i necessari accertamenti.
P.Q.M.
Accoglie il secondo ed il terzo motivo di ricorso e, dichiarato inammissibile il primo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Veneto, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.