La Corte di Cassazione con la sentenza n. 30364 depositata il 21 novembre 2019 intervenendo in tema di accertamento con si rideterminano i prezzi di vendita degli immobili, alla stregua delle fatture di vendita, dei contratti notarili, dei dati catastali, muovendo dai dati dell’Osservatorio del Mercato Mobiliare (OMI) ha riaffermato che “in seguito alla sostituzione dell’art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973 ad opera dell’art. 24, comma 5, della l. n. 88 del 2009, che, con effetto retroattivo, stante la sua finalità di adeguamento al diritto dell’Unione europea, ha eliminato la presunzione legale relativa di corrispondenza del corrispettivo della cessione di beni immobili al valore normale degli stessi l’accertamento di un maggior reddito derivante dalla predetta cessione di beni immobili non può essere fondato soltanto sulla sussistenza di uno scostamento tra il corrispettivo dichiarato nell’atto di compravendita ed il valore normale del bene quale risulta dalle quotazioni OMI, ma richiede la sussistenza di ulteriori elementi indiziari gravi, precisi e concordanti”
La vicenda ha riguardato una società nei cui confronti veniva emesso un avviso di accertamento con cui venivano rideterminato i ricavi derivanti dalla vendita degli immobili sulla base dei contratti notarili, dei dati catastali. Avverso tale atto impositivo la società proponeva ricorso inanzi alla Commissione Tributaria Provinciale. I giudici di prime cure accolgono le doglianze della contribuente ed annullano l’avviso di accertamento. L’Agenzia delle Entrate avverso la decisione della CTP proponeva ricorso inanzi alla Commissione Tributaria Regionale. I giudici di appello accoglievano l’appello proposto dalla Agenzia delle entrate, poiché l’avviso non era fondato solo sui valori OMI.
La contribuente impugnava la decisione della CTR con ricorso in cassazione fondato su sei motivi.
Gli Ermellini accolgono quattro delle sei doglianze della società ricorrente. In particolare “in tema di imposte sui redditi d’impresa, per la determinazione della plusvalenza realizzata con la vendita di un immobile, ai sensi dell’art. 54 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, occorre avere riguardo alla differenza fra il prezzo di cessione e quello di acquisto, e non, come per l’imposta di registro, al valore di mercato del bene, essendo i principi relativi alla determinazione del valore di un bene, che viene trasferito, diversi a seconda dell’imposta da applicare. Ne consegue che, in presenza di contabilità formalmente regolare, per procedere all’accertamento previsto dall’art. 39, primo comma, lettera d), del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, le valutazioni effettuate dall’UTE non sono sufficienti per giustificare una rettifica in contrasto con le risultanze contabili, ma possono essere vagliate nel contesto della situazione contabile ed economica dell’impresa, e, ove concorrano con altre indicazioni documentali o presuntive gravi, precise e concordanti (quali l’assoluta sproporzione tra corrispettivo dichiarato e il valore di mercato dell’immobile), costituire elementi validi per la determinazione dei redditi da accertare”
Per la Corte Suprema, inoltre, la semplice indicazione generica “fatture di vendita” e “atti notarili” se l’indicazione del contenuto degli atti dai quali dedurre i maggiori ricavi, non costituisce la sussistenza di presunzioni gravi.
Inoltre per i giudici di legittimità le consulenze tecniche di parte non costituiscono mezzi di prova ma allegazioni difensive di contenuto tecnico che, se non confutate esplicitamente, devono ritenersi implicitamente disattese. Tuttavia, quando i rilievi contenuti nella consulenza di parte siano precisi e circostanziati, tali da portare a conclusioni diverse da quelle contenute nella consulenza tecnica d’ufficio ed adottate in sentenza, ove il giudice trascuri di esaminarli analiticamente, ricorre il vizio di insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia.
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