La Corte di Cassazione con la sentenza n. 8794 depositata il 12 maggio 2020 intervenendo in tema di contributi previdenziali ed assistenziali nel settore edile ha ribadito che “l’importo della retribuzione da assumere come base di calcolo dei contributi previdenziali non può essere inferiore all’importo del c.d. “minimale contributivo”, ossia all’importo di quella retribuzione che ai lavoratori di un determinato settore dovrebbe essere corrisposta in applicazione dei contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali più rappresentative su base nazionale. La regola è espressione del principio di autonomia del rapporto contributivo rispetto all’obbligazione retributiva, in virtù del quale l’obbligo contributivo ben può essere parametrato ad un importo superiore rispetto a quanto effettivamente corrisposto dal datore di lavoro”
La vicenda ha riguardato il titolare di una impresa edile a cui in seguito di un verbale ispettivo gli veniva notificato un verbale di accertamento contenente tra l’altro l’addebito concernente la conclusione di numerosi contratti di lavoro a tempo parziale, superiore al limite percentuale previsto dal CCNL del settore edilizia, per i quali gli Enti avevano ritenuto che i contratti part time stipulati in eccedenza rispetto al limite del 3% sui contratti a tempo pieno previsto dall’art. 97 cit. ccnl, fossero soggetti alla regola della retribuzione virtuale. Il titolare dell’impresa edile impugnò i verbali con ricorso al Tribunale, in veste di giudice del lavoro. Il giudice di prime cure accolse parzialmente la la domanda di accertamento negativo. Gli Enti impugnarono la decisione di primo grado innanzi alla Corte di Appello. I giudici di secondo grado respinsero i ricorsi dell’INPS e dell’INAIL. Avverso tale decisione l’INAIL propose ricorso in cassazione fondato su un unico motivo.
Gli Ermellini accolsero le doglianze ribadendo che per i datori di lavoro esercenti attività edile «sono tenuti ad assolvere la contribuzione previdenziale ed assistenziale su di una retribuzione commisurata ad un numero di ore settimanali non inferiore all’orario normale di lavoro stabilito dai contratti collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale e dai contratti integrativi territoriali di attuazione, con esclusione delle assenze per malattia, infortuni, scioperi, sospensione o riduzione dell’attività lavorativa con intervento della cassa integrazione guadagni, di altri eventi indennizzati e degli eventi per i quali il trattamento economico è assolto mediante accantonamento presso le casse edili», nonché di altri «individuati con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro del tesoro, sentite le organizzazioni sindacali predette».
In particolare, i giudici di legittimità precisano che “la retribuzione che il lavoratore riceve o comunque ha diritto di ricevere in dipendenza del rapporto di lavoro costituisce pur sempre il presupposto indefettibile per conformarne, se necessario, la misura ai minimali, e l’effetto della disposizione legislativa consiste precisamente nell’elevarla, se inferiore, fino al raggiungimento del minimale contributivo, sia pure ai soli fini previdenziali. Prova ne sia che il minimale contributivo di cui all’art. 29, d.l. n. 244/1995, cit., non trova applicazione soltanto nelle ipotesi in cui non sia dovuta, in dipendenza del rapporto di lavoro, né alcuna prestazione lavorativa, né alcuna retribuzione corrispettivo, ossia nei casi di sospensione del sinallagma funzionale del contratto di lavoro”.
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