Agenzia delle Entrate – Risposta n. 521 del 19 ottobre 2022
Procedure concorsuali – fatturazione delle prestazioni professionali – compensazione del credito erariale verso la massa con il debito tributario verso il fallito – Articolo 56, comma 1, del R.D. 16 marzo 1942, n. 267
Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, e’ stato esposto il seguente
QUESITO
[ALFA], in amministrazione straordinaria, nel prosieguo istante, fa presente quanto qui di seguito sinteticamente riportato.
L’istante – dichiarata insolvente con sentenza del […] 2015 e successivo avvio della procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi – riferisce di aver assolto tutti i debiti tributari ritualmente ammessi al passivo, come da piano di riparto reso esecutivo il […] 2022.
Il medesimo piano di riparto ha, altresì, disposto il pagamento dei crediti professionali ammessi al passivo:
- in via privilegiata, in base all’articolo 2751-bis, n. 2, del codice civile, per la totalità degli onorari;
- in via chirografaria per il 39% della relativa Iva e
A parere dell’istante, dunque, l’IVA recata dalle fatture emesse dai professionisti in occasione del riparto, al momento del pagamento dell’onorario, costituisce un credito utilizzabile in detrazione.
Ciò premesso, l’istante chiede chiarimenti in ordine all’«applicazione dell’istituto della compensazione tributaria tra debiti e crediti sorti dopo la dichiarazione di insolvenza, ma riferiti ad attività del fallito “trascinata” successivamente a tale evento, in ragione dell’esigenza di chiarire come l’attività del soggetto fallito “trascinata” dopo la sentenza di fallimento debba intendersi sia con riferimento alle operazioni attive che con riferimento alle operazioni passive ai fini IVA».
SOLUZIONE INTERPRETATIVA PROSPETTATA DAL CONTRIBUENTE
In sintesi, a parere dell’istante:
«- il diritto alla detrazione ex art. 19 Dpr 633 è sorto dopo la dichiarazione di insolvenza e quindi estraneo temporalmente alla disciplina della compensazione di cui all’art. 56 l.f.;
- l’obbligo del versamento dell’IVA da parte del percipiente è sorto dopo la dichiarazione di fallimento, ancorché riferito ad attività precedenti, ma il cui obbligo di fatturazione è sorto solo al momento del riparto (art. 6 Dpr 633/72);
- il debito per IVA maturata ante dichiarazione di insolvenza è estinto;
- in caso di insoddisfazione del pagamento dell’IVA (condizione non necessaria a mente dell’art.19 secondo il quale il diritto alla detrazione – e alla compensazione, atteso il contenuto della C.M. – sorge semplicemente nel momento in cui l’imposta diventa esigibile) il sistema fiscale impedisce al percettore di emettere nota di variazione ex art.26 Dpr 633/72 per l’IVA di rivalsa non ricevuta in pagamento, realizzandosi quindi una indesiderata locupetazione in favore dell’Erario».
Conseguentemente, ritiene di poter «compensare il credito IVA così generato con IVA stessa o altri tributi, (ad esempio le ritenute d’acconto sugli onorari di ripartizione) nel corso della procedura, ovvero chiederne il rimborso alla chiusura del fallimento, in quanto i debiti erariali di qualsiasi tipo e genere ammessi al passivo dell’amministrazione straordinaria sono stati estinti a seguito di riparto.
[…] Nella non creduta ipotesi siano emersi altri crediti dell’Erario iscritti a ruolo per IVA e/o imposte dirette e non insinuati, solo per tali crediti opererà la compensazione – ex art 56 l.f.- con la corrispondente parte del credito IVA generatosi dalla emissione delle parcelle dei professionisti, emesse a seguito della ripartizione ai creditori ex art 2751 bis, n. 2, cod civ. (prestatori di opera professionale)».
PARERE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE
La risoluzione 3 aprile 2008, n. 127/E, con riferimento alla fatturazione delle prestazioni professionali nell’ambito delle procedure concorsuali, ha chiarito che «dal punto di vista degli adempimenti fiscali, il professionista che si insinua al passivo nell’ambito di una procedura concorsuale, è portatore di un credito complessivo per prestazioni professionali, composto da imponibile ed imposta sul valore aggiunto, elementi strettamente collegati tra loro da un nesso inscindibile. Ne consegue che se il piano di riparto, approvato dal giudice fallimentare, dispone il pagamento parziale del credito riguardante le prestazioni professionali rese ante fallimento, ancorché lo stesso faccia riferimento alla sola voce imponibile iscritta tra i crediti privilegiati, sotto il profilo fiscale, i professionisti emetteranno fattura per un importo complessivo pari a quello ricevuto dal curatore, dal quale andrà scorporata l’Iva relativa».
In altre parole, se l’importo liquidato dal giudice fallimentare risulta inferiore all’ammontare complessivo del credito professionale, comprensivo dell’IVA, il professionista al momento dell’emissione della fattura deve ridurre proporzionalmente la base imponibile e la relativa imposta.
Ciò premesso, nel caso di specie, l’istante ritiene che in capo alla procedura debba ammettersi la detraibilità dell’IVA esposta nelle fatture emesse dai professionisti in occasione del riparto.
Al riguardo, si evidenzia tuttavia come la detraibilità dell’imposta sia consentita soltanto a condizione e nella misura in cui la componente IVA delle fatture in esame sia stata correttamente ricalcolata in conformità alle indicazioni di prassi sopra illustrate, e cioè attraverso lo scorporo dell’imposta dall’importo complessivo che i professionisti hanno ricevuto dal commissario straordinario.
Diversamente, l’esercizio del diritto alla detrazione verrà ammesso solo previa “rettifica” da parte dei professionisti delle fatture emesse, con le modalità ed i termini previsti per l’emissione di note di variazione dall’articolo 26 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 (di seguito decreto IVA) o, in alternativa, a seguito di regolarizzazione da parte del commissario straordinario delle fatture irregolari ricevute, avvalendosi della procedura disciplinata dall’articolo 6, comma 8, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471.
Ciò premesso, con riferimento alla compensabilità dell’IVA detraibile, si evidenzia quanto segue.
L’articolo 56, comma 1, del Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267 (di seguito, Legge Fallimentare) – applicabile alla procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi in virtù del combinato disposto di cui agli articoli 169 della Legge Fallimentare e 18 del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270 – stabilisce che
«I creditori hanno diritto di compensare coi loro debiti verso il fallito i crediti che essi vantano verso lo stesso, ancorché non scaduti prima della dichiarazione di fallimento».
Ai fini di individuare l’esatto ambito applicativo della norma in parola, appare dirimente distinguere le posizioni debitorie e creditorie riconducibili alle operazioni svolte da e nei riguardi del fallito, rispetto a quelle sorte in occasione o in funzione della procedura concorsuale.
La compensazione contemplata dalla predetta norma opera, infatti, se eccepita, esclusivamente con riferimento alle posizioni debitorie e creditorie riconducibili al fallito e, dunque, “generate” in un momento antecedente alla data di apertura della procedura concorsuale.
Al riguardo, la Corte di cassazione, nel definire, invece, quale sia il credito sorto in occasione o in funzione delle procedure concorsuali (c.d. credito della massa o della procedura), ha stabilito che tale deve essere considerato «il credito […] sorto nei confronti della gestione fallimentare, come spesa o come credito di amministrazione, o ancora come credito inerente all’esercizio provvisorio dell’impresa. Ai fini dell’individuazione dei crediti di massa, infatti, il profilo determinante non è costituito dall’elemento temporale, ma da quello funzionale, e cioè dal loro riferimento a costi assunti nell’interesse dei creditori concorsuali per il conseguimento degli scopi dell’esecuzione collettiva, restando necessariamente esclusi da tale nozione i crediti, pur fatti valere nei confronti del fallimento, che non siano sorti in occasione e per le finalità della procedura, ma siano geneticamente riconducibili all’attività del fallito» (cfr. sentenza n. 8222 dell’11 aprile 2011).
Affinché possa operare la compensazione agli effetti di cui all’articolo 56, comma 1, della Legge Fallimentare, è dunque necessario che ricorra l’anteriorità, rispetto alla data di apertura della procedura concorsuale, del fatto genetico dei rispettivi debiti e crediti ed il rapporto di reciprocità tra le contrapposte obbligazioni. A tal fine, non rileva il momento in cui l’effetto compensativo si produce, né che il credito vantato dal fallito sia divenuto liquido ed esigibile successivamente all’apertura della procedura.
Ciò detto sul piano generale, si evidenzia come, nel caso di specie, i debiti comprovati dalle fatture emesse dai professionisti al momento del pagamento dell’onorario risultino connessi a prestazioni geneticamente riconducibili all’attività dell’istante antecedente l’apertura della procedura concorsuale.
Lo stesso dicasi per il credito IVA, sorto per effetto delle predette prestazioni, benché esigibile – in base al combinato disposto di cui agli articoli 6, terzo e quarto comma, e 19, comma 1, del decreto IVA – solo al momento del pagamento del corrispettivo del servizio reso dal professionista o, se antecedente, della fatturazione e, dunque, nel caso di specie, dopo l’avvio della procedura, in occasione del riparto.
Detto credito, trovando la sua causa genetica nella precedente attività dell’istante, è quindi compensabile, in rapporto di reciprocità – in base all’articolo 56, comma 1, della Legge Fallimentare – con le posizioni debitorie del pari geneticamente antecedenti l’apertura della procedura e, dunque, con i debiti tributari pregressi eventualmente non assolti.
Nell’ipotesi rappresentata con il presente interpello, tuttavia, l’istante afferma che il carico tributario pregresso è già stato estinto, sicché – non potendo di fatto operare la compensazione contemplata dal più volte citato articolo 56 – occorre chiarire se detta circostanza obblighi l’istante a chiedere il rimborso del credito IVA o se, invece, sia possibile compensare l’imposta con eventuali crediti vantati dall’erario nei confronti della procedura.
Al riguardo, si ritiene che, nel caso di specie, il credito IVA recato dalle fatture emesse dai professionisti in occasione del riparto – una volta correttamente rideterminato nella sua misura – possa essere compensato con i debiti tributari della procedura ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, fatto salvo il procedimento civilistico a tutela della “par condicio creditorum”. In alternativa, resta salva la facoltà di chiedere il rimborso del credito IVA al verificarsi dei presupposti di cui all’articolo 30 del decreto IVA.
Per completezza, si rappresenta che detta soluzione non contrasta con le indicazioni fornite dalla prassi di questa Agenzia, laddove con la risoluzione 12 agosto 2002, n. 279/E (ripresa dalla successiva circolare 11 marzo 2011, n. 13/E), veniva precisato che non può «operare la compensazione fra il credito verso il fallito ed il debito verso la massa, poiché lo stesso art. 74-bis, commi 1 e 2, del D.P.R. n. 633/72 distingue nettamente fra le operazioni effettuate anteriormente alla dichiarazione di fallimento e quelle successive all’apertura della procedura; in tale situazione infatti le posizioni del rapporto debitorio e del rapporto creditorio sono relative a soggetti diversi (fallito – massa fallimentare) e a momenti diversi rispetto alla dichiarazione di fallimento (anteriore il credito, posteriore il debito) con conseguente illegittimità della eventuale compensazione, fatta eccezione per l’ipotesi in cui il credito vantato dalla procedura derivi, per effetto del trascinamento, dall’attività del fallito precedente all’apertura della procedura concorsuale. In tale ultima ipotesi, peraltro, la compensazione potrà essere operata in misura comunque non superiore alla quota del credito vantato dalla procedura che effettivamente tragga origine dall’esercizio dell’impresa commerciale ante dichiarazione di fallimento».
Invero, il documento di prassi in parola contemplava l’ipotesi opposta rispetto a quella rappresentata nel presente interpello, ovvero la possibilità di compensare il credito erariale verso il fallito con il debito tributario verso la massa, facoltà che è stata ragionevolmente esclusa nel rispetto della “par condicio creditorum”, posto che, salva l’applicazione del più volte citato articolo 56 della Legga Fallimentare, «La procedura fallimentare […] si svolge nell’interesse di tutti i creditori del fallito che per vedere soddisfatte le proprie pretese devono presentare apposita domanda di insinuazione allo stato passivo del fallimento; […]
La procedura è predisposta al fine principale di assicurare la parità di tutti coloro che concorrono al fallimento, prevedendo che tutti i creditori insinuatisi nello stato passivo della procedura vengano soddisfatti secondo un ordine normativamente stabilito (art. 111 del r.d. 267 del 1942).
L’Amministrazione Finanziaria, in quanto creditrice nei confronti del soggetto fallito per carichi pendenti antecedenti il fallimento, ha diritto (alla stregua degli altri creditori) ad insinuarsi al passivo, nella speranza di poter essere soddisfatta nel rispetto degli eventuali privilegi concessi alla categoria dei “crediti tributari”».
[…]