AGENZIA delle ENTRATE – Risoluzione n. 75/E del 21 dicembre 2023
Enti filantropici di cui all’articolo 37 del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117 (Codice del Terzo settore) – Qualificazione dell’attività di erogazione di denaro, beni o servizi, anche di investimento – Applicazione dell’articolo 84, commi 2 e 2-bis, del Codice del Terzo settore
Con l’istanza specificata in oggetto, è stato esposto il seguente
Quesito
L’Associazione Istante rappresenta gli interessi degli Enti Filantropici, rientranti tra gli enti del Terzo settore (ETS) ai sensi dell’articolo 37 e seguenti del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117 (Codice del Terzo settore, di seguito ”CTS” o ”Codice”).
In base al citato articolo 37, l’Ente Filantropico è costituito «in forma di associazione riconosciuta o di fondazione al fine di erogare denaro, beni o servizi, anche di investimento, a sostegno di categorie di persone svantaggiate o di attività di interesse generale».
L’Associazione rappresenta che, in base a tale disposizione, l’Ente Filantropico non svolgerebbe in via specifica alcuna delle «attività di interesse generale» di cui all’articolo 5 del CTS ma esercita, «gratuitamente», «un’attività che le ricomprende tutte, sostenendo dette attività e anche enti che le perseguono».
Più precisamente, ad avviso dell’Associazione, l’Ente Filantropico può sostenere «persone svantaggiate», altri ETS, enti pubblici o altri enti, che svolgano «attività di interesse generale», senza scopi lucrativi.
Nella sostanza, pertanto, l’Ente Filantropico può sostenere tutte le attività previste dall’articolo 5 del CTS svolte da soggetti che non abbiano finalità di interesse privato, «ricomprendendosi anche le persone fisiche quando ad esempio siano destinatarie di assegni di ricerca o di altre forme di supporto per svolgere attività di carattere culturale, educativo, artistico, ecc.». In particolare, la predetta attività di sostegno può essere svolta attraverso:
«erogazione di denaro, che rappresenta la forma tradizionale e più diffusa di intervento;
erogazione di beni, di varia natura: dai beni alimentari ed emergenziali in contesti e situazioni critiche, ai beni mobili (ad esempio i presidi sanitari e tutti gli altri beni emergenziali distribuiti durante il lockdown) ed anche immobili;
erogazione di servizi, anche questi in varie forme, ma sempre in forma gratuita: da quelli di natura sociale, sanitaria, abitativa, educativa, erogati a sostegno di persone svantaggiate, a quelli di consulenza e supporto erogati a Ets o enti pubblici;
erogazione di denaro, beni e servizi di investimento» (c.d. ”filantropia strategica”).
Con riferimento a ciascuna tipologia di erogazione, l’Associazione ritiene che la previsione dell’articolo 37 del CTS attribuisca agli Enti Filantropici un ruolo di supporto ”generale” alle attività di interesse generale svolte dagli ETS e, al tempo stesso, ”proprio” rispetto a tutti gli altri ETS che, ai sensi dell’articolo 5, comma 1, lettera u) del Codice, possono svolgere l’attività di interesse generale di «beneficenza, sostegno a distanza, cessione gratuita di alimenti o prodotti di cui alla legge 19 agosto 2016, n. 166, e successive modificazioni, o erogazione di denaro, beni o servizi a sostegno di persone svantaggiate o di attività di interesse generale a norma del presente articolo».
In sostanza, l’Associazione argomenta che le disposizioni contenute nel CTS intendono promuovere la ”filantropia strategica” attraverso l”’investimento filantropico”, attribuendo agli Enti Filantropici un ruolo specifico, nell’ambito del Terzo settore, di investitori in grado di sostenere le «attività di interesse generale».
In tal senso, gli Enti Filantropici sono «non solo erogatori di denaro a fondo perduto a favore dei soggetti e delle attività di cui sopra, ma anche apportatori di risorse sotto forma di investimento che consiste nell’erogazione di capitali, con diversi livelli di rischio (finanziamenti, equity, asset reali, strumenti ibridi) ed esente da attese di redditività in quanto filantropico, ma suscettibile di restituzione. Tale tesi è supportata dalla maggiore trasparenza richiesta agli Ef rispetto agli altri Ets, essendo previsto l’indicazione in bilancio dell’elenco e degli importi di tutti gli interventi effettuati, che ha caratterizzato la necessità di una disciplina specifica con obblighi di trasparenza più onerosi rispetto agli altri Ets, prevedendo ad esempio nell’articolo 39 del Cts l’obbligo di redazione del bilancio sociale che deve contenere gli importi delle erogazioni deliberate ed effettuate nel corso dell’esercizio, con indicazione dei beneficiari diversi dalle persone fisiche. A ulteriore conferma e precisazione del quadro suesposto, l’articolo 38 del Cts obbliga gli Ef a precisare nello statuto i principi ai quali debbono attenersi nello svolgimento di ciascuna di dette attività».
In relazione alle attività di «erogazione di denaro, beni e servizi di investimento», l’Associazione precisa che la stessa può consistere in «sottoscrizioni di capitale e prestiti, comunque senza nessuna remunerazione» e che possono rientrare in tale fattispecie anche i cosiddetti «capitali di capacitazione erogati con le medesime modalità a persone appartenenti a categorie svantaggiate».
Ciò posto con riferimento al descritto quadro giuridico ed operativo, della realtà degli Enti Filantropici, l’Associazione chiede:
1. se l’attività di filantropia realizzata attraverso l”’erogazione di denaro, beni e servizi di investimento” (cd. ”filantropia strategia”), in quanto attività istituzionale ai sensi del predetto articolo 37 del CTS, si qualifichi quale attività non commerciale ai fini fiscali;
2. se l’articolo 84, comma 2bis, del CTS, si applichi anche ai redditi derivanti dalla gestione del patrimonio immobiliare con strutture dedicate, attraverso la quale l’Ente Filantropico si sostiene e si procura i proventi conseguiti da reinvestire.
Soluzione interpretativa prospettata
L’Associazione ritiene che la commercialità dell’attività degli Enti Filantropici vada valutata in base all’articolo 55 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (Tuir) e che, pertanto, sussiste la condizione di non commercialità in quanto l’attività svolta deve essere, per la natura stessa degli Enti Filantropici, gratuita. Conseguentemente, in caso di assenza di qualsiasi remunerazione relativa all’investimento effettuato, «a fronte del quale non potranno essere riconosciuti interessi, commissioni o rivalutazioni, ma per il quale potrà essere previsto esclusivamente il rimborso al valore nominale dei mezzi finanziari apportati», detta attività non configura attività commerciale.
Con riguardo al secondo quesito, l’Associazione osserva che, in relazione alle fonti di finanziamento, l’articolo 38 del CTS prevede che l’Ente Filantropico possa trarre risorse economiche anche da rendite patrimoniali. In particolare, il comma 2bis dell’articolo 84 del CTS estende agli Enti Filantropici l’esenzione prevista al comma 2 (come modificato dall’articolo 26 del decreto-legge del 21 giugno 2022, n. 73, convertito con modificazioni dalla legge 4 agosto 2022, n. 122) secondo cui «I redditi degli immobili, destinati in via esclusiva allo svolgimento di attività non commerciale da parte delle organizzazioni di volontariato, sono esenti dall’imposta sul reddito delle società».
Al riguardo, la relazione illustrativa al decreto-legge n. 73 del 2022 precisa che il vincolo della destinazione allo svolgimento delle attività non commerciali va inteso come riferito non agli immobili, quanto piuttosto al reddito dei destinatari.
Tale condizione, secondo l’Associazione, risulta naturalmente avverata per l’Ente Filantropico, posto che, ai sensi dell’articolo 38 del CTS, qualsiasi forma di entrata, ivi compresi i proventi rivenienti dal patrimonio immobiliare, deve essere destinata in via esclusiva e diretta alla realizzazione delle finalità filantropiche dell’ente, in nessun caso riconducibili ad attività commerciali. Coerentemente con la ratio legis, l’Istante ritiene che la disposizione recata al citato articolo 84, comma 2, del CTS, come modificato dall’articolo 26 del decreto-legge n. 73 del 2022, in via di principio, possa applicarsi ai proventi derivanti dal patrimonio immobiliare (come nel caso di immobili ricevuti per lasciti e donazioni), anche in presenza di una gestione del patrimonio immobiliare con strutture dedicate, attraverso la quale l’ente si sostiene e si procura i proventi conseguiti da reinvestire, nei limiti del reinvestimento effettivo, per le finalità filantropiche.
Parere dell’Agenzia delle Entrate
Con il decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 2 agosto 2017, n. 179, S.O.) è stato approvato, in attuazione dell’articolo 1, comma 2, lettera b) della legge 6 giugno 2016, n. 106, il ”Codice del Terzo Settore” (di seguito anche ”CTS” o ”Codice”) che «al fine di sostenere l’autonoma iniziativa dei cittadini che concorrono, anche in forma associata, a perseguire il bene comune, ad elevare i livelli di cittadinanza attiva, di coesione e protezione sociale» provvede «al riordino e alla revisione organica della disciplina vigente in materia di enti del Terzo settore» (cfr. articolo 1 del CTS).
L’articolo 3 del Codice prevede che «Le disposizioni del presente Codice si applicano, ove non derogate ed in quanto compatibili, anche alle categorie di enti del Terzo settore che hanno una disciplina particolare» (cfr. comma 1) e che «Per quanto non previsto dal presente Codice, agli enti del Terzo settore si applicano, in quanto compatibili, le norme del Codice civile e le relative disposizioni di attuazione» (cfr. comma 2).
L’articolo 4 dispone che sono enti del Terzo settore (ETS) «le organizzazioni di volontariato, le associazioni di promozione sociale, gli enti filantropici, le imprese sociali, incluse le cooperative sociali, le reti associative, le società di mutuo soccorso, le associazioni, riconosciute o non riconosciute, le fondazioni e gli altri enti di carattere privato diversi dalle società costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento, in via esclusiva o principale, di una o più attività di interesse generale in forma di azione volontaria o di erogazione gratuita di denaro, beni o servizi, o di mutualità o di produzione o scambio di beni o servizi, ed iscritti nel registro unico nazionale del Terzo settore».
L’articolo 5 prevede che gli ETS «diversi dalle imprese sociali incluse le cooperative sociali, esercitano in via esclusiva o principale una o più attività di interesse generale per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale. Si considerano di interesse generale, se svolte in conformità alle norme particolari che ne disciplinano l’esercizio, le attività aventi ad oggetto» quelle indicate alle lettere da a) a z).
Ai sensi del citato articolo 4 del Codice, ai fini della qualifica di ETS, assume effetto costitutivo l’iscrizione al Registro Unico Nazionale del Terzo Settore (RUNTS), disciplinato all’articolo 45 del CTS e dal successivo articolo 46 che, in merito alla struttura del Registro, dispone che esso si articola nelle diverse sezioni dedicate alle diverse categorie di ETS:
«a) Organizzazioni di volontariato;
b) Associazioni di promozione sociale;
c) Enti filantropici;
d) Imprese sociali, incluse le cooperative sociali;
e) Reti associative;
f) Società di mutuo soccorso;
g) Altri enti del Terzo settore».
Con il decreto direttoriale 26 ottobre 2021, n. 561, il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali ha disposto l’avvio dell’operatività del RUNTS, a far data dal 23 novembre 2021.
Il regime fiscale degli ETS è disciplinato dal Titolo X del Codice. In particolare, l’articolo 79 dispone che «agli enti del Terzo settore, diversi dalle imprese sociali, si applicano le disposizioni di cui al presente titolo nonché le norme del titolo II del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, in quanto compatibili».
L’articolo 104, comma 2, del Codice prevede «Le disposizioni del titolo X, salvo quanto previsto dal comma 1, si applicano agli enti iscritti nel Registro unico nazionale del Terzo settore a decorrere dal periodo di imposta successivo all’autorizzazione della Commissione europea di cui all’articolo 101, comma 10, e, comunque, non prima del periodo di imposta successivo di operatività del predetto Registro», previsione che subordina l’applicabilità delle norme fiscali all’autorizzazione della Commissione europea, ad oggi non pervenuta. Tuttavia, ai sensi del comma 1 dell’articolo 104, talune disposizioni di carattere fiscale sono applicabili in via transitoria alla generalità degli ETS iscritti al RUNTS, a decorrere dalla data di avvio dell’operatività di detto Registro.
Tra gli ETS indicati dall’articolo 4 sopracitato rientrano espressamente gli Enti Filantropici in relazione ai quali il Codice prevede una disciplina specifica agli articoli da 37 a 39 del Titolo V, con riferimento a «particolari categorie di enti del Terzo settore».
Per detti Enti, come già rilevato, è prevista una specifica sezione all’interno del RUNTS, ai sensi dell’articolo 46, comma 1, lettera c), del Codice.
In particolare, l’articolo 37 (rubricato «Enti filantropici») dispone che «Gli enti filantropici sono enti del Terzo settore costituiti in forma di associazione riconosciuta o di fondazione al fine di erogare denaro, beni o servizi, anche di investimento, a sostegno di categorie di persone svantaggiate o di attività di interesse generale» (cfr. comma 1).
Il successivo articolo 38 prevede che:
«Gli enti filantropici traggono le risorse economiche necessarie allo svolgimento della propria attività principalmente da contributi pubblici e privati, donazioni e lasciti testamentari, rendite patrimoniali ed attività di raccolta fondi» (cfr. comma 1);
«Gli atti costitutivi degli enti filantropici indicano i principi ai quali essi devono attenersi in merito alla gestione del patrimonio, alla raccolta di fondi e risorse in genere, alla destinazione, alle modalità di erogazione di denaro, beni o servizi, anche di investimento a sostegno di categorie di persone svantaggiate o di attività di interesse generale» (cfr. comma 2).
In base all’articolo 39, infine, «Il bilancio sociale degli enti filantropici deve contenere l’elenco e gli importi delle erogazioni deliberate ed effettuate nel corso dell’esercizio, con l’indicazione dei beneficiari diversi dalle persone fisiche».
Al riguardo, sentito il competente Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, si rileva come la disposizione contenuta nel richiamato articolo 37, secondo cui gli Enti Filantropici svolgono un’attività erogativa di «denaro, beni o servizi, anche di investimento, a sostegno di categorie di persone svantaggiate o di attività di interesse generale», non introduce un’ulteriore tipologia di attività di interesse generale rispetto a quelle elencate nell’articolo 5, comma 1 del Codice, essendo l’oggetto sociale tipico dell’ente filantropico rinvenibile nella lettera u) del citato articolo 5, comma 1, per cui costituisce attività di interesse generale l’«erogazione di denaro, beni o servizi a sostegno di persone svantaggiate o di attività di interesse generale a norma del presente articolo».
Più precisamente, la previsione relativa all’erogazione di «servizi di investimento», contenuta all’articolo 37, rappresenta una specificazione di quella generale prevista alla lettera u) dell’articolo 5, comma 1.
In altri termini, secondo il citato Ministero «muovendo dal criterio di specialità enunciato all’articolo 3, comma 1 del Codice, secondo il quale la disciplina particolare di una categoria di ETS prevale sulla disciplina generale dell’ETS, che tuttavia si applica anche agli ETS tipici ove non derogata dalla loro disciplina particolare ed in quanto compatibile con quest’ultima, si deve concludere che solo gli Enti Filantropici, tra gli ETS, possono erogare servizi di investimento».
Con riguardo all’oggetto dell’attività, in base alle disposizioni del Codice emerge che essa può avere sia natura ”erogativa” (con riguardo ai beni e ai servizi) sia natura ”operativa” (con riguardo ai servizi).
L’attività erogativa di sostegno medesima, inoltre, presenta una dimensione ”soggettiva”, in quanto deve essere diretta a sostenere determinati soggetti appartenenti a categorie di persone svantaggiate, ovvero ”oggettiva”, in quanto diretta a sostenere le attività di interesse generale.
Al riguardo, si ritiene che l’individuazione dei destinatari dell’attività rispondente alla finalità di sostegno (soggettiva) può essere compiuta applicando il criterio direttivo di cui all’articolo 4, comma 1, lettera b), della legge delega 6 giugno 2016, n. 106, in modo far coincidere la platea dei destinatari con la categoria presente nell’articolo 10, comma 2, lettera a), del decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460, ovvero «persone svantaggiate in ragione di condizioni fisiche, psichiche, economiche, sociali o familiari».
Conformemente alla previsione contenuta nell’articolo 38, comma 2, gli atti costitutivi o gli statuti degli enti filantropici dovranno richiamare espressamente, nell’ambito della sopra citata lettera u) dell’articolo 5 del Codice, il riferimento al sostegno, individuando quindi le categorie di persone svantaggiate o le attività di interesse generale che l’ente si propone di sostenere.
Sotto il profilo oggettivo, l’attività di sostegno potrà riguardare una o più attività di interesse generale tra quelle indicate all’articolo 5 del Codice, poste in essere da enti non lucrativi: in tale prospettiva, essa potrà essere rivolta agli ETS, agli altri enti senza scopo di lucro e agli enti pubblici.
Resta fermo che l’attività posta in essere dall’Ente Filantropico deve caratterizzarsi per l’assenza di corrispettività, anche sotto forma di ”incremento patrimoniale” per il medesimo Ente Filantropico, secondo quanto precisato del predetto Ministero.
Con riferimento all’attività svolta degli Enti Filantropici, l’Associazione prospetta che essi, in coerenza con la finalità di sostegno delle attività di interesse generale perseguite dal legislatore, possono effettuare non solo erogazioni di denaro a fondo perduto a favore delle persone svantaggiate o delle attività di interesse generale, ma altresì effettuare investimenti attraverso la sottoscrizione di capitali e prestiti, senza alcuna forma di remunerazione, per i quali potrà essere prevista esclusivamente la restituzione dei mezzi finanziari apportati, nel rispetto, pertanto, della gratuità (intesa come assenza di qualsiasi margine di surplus finanziario). Tale aspetto, infatti, caratterizza proprio l’attività degli Enti Filantropici.
Al riguardo, si deve ritenere che le attività sopra descritte siano compatibili con il dettato normativo allorquando si configurino come prestiti infruttiferi, per loro natura gratuiti, che prevedono esclusivamente la restituzione della sorte capitale. In tale categoria possono rientrare i cd. ”capitali di capacitazione”, erogati a persone appartenenti a categorie svantaggiate.
Resta comunque esclusa la possibilità per l’Ente Filantropico di svolgere attività di microcredito, ai sensi del decreto ministeriale 17 ottobre 2014, n. 176, in quanto essa non è ricompresa nell’elenco di cui all’articolo 5 del Codice, potendo essere viceversa esercitata dalle imprese sociali, ai sensi dell’articolo 2, comma 1, lettera s), del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 112.
Con riguardo al regime fiscale degli ETS in generale e di quelli rientranti in specifiche categorie, come precisato, lo stesso è disciplinato dal Titolo X del CTS.
Tra le disposizioni del Titolo X, l’articolo 79 detta disposizioni in materia di imposte sui redditi degli ETS, stabilendo le condizioni che consentono di qualificare come non commerciali le attività di interesse generale svolte dagli ETS.
Come detto, tale disposizione figura tra le norme la cui efficacia è subordinata, ai sensi del citato articolo 104, comma 2, all’autorizzazione della Commissione europea.
Non essendo detta autorizzazione ad oggi pervenuta, come detto, le disposizioni di cui al Titolo X del Codice devono ritenersi in generale non applicabili, con esclusione di norme specifiche dello stesso Titolo X per le quali è stato previsto fin dall’entrata in vigore del Codice, un regime di applicabilità transitorio, ai sensi del citato articolo 104, comma 1.
Tra dette norme specifiche figura l’articolo 84, comma 2, di cui si dirà più avanti.
Tenuto conto che l’articolo 79 non è ancora applicabile, ai fini della qualificazione della natura ”non commerciale” degli Enti Filantropici occorre, dunque, fare riferimento alle norme del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (Tuir) relative al regime fiscale degli enti non commerciali.
Al riguardo, si osserva che i soggetti passivi dell’imposta sul reddito delle società sono indicati dall’articolo 73, comma 1, del Tuir, che individua, tra gli altri, alla lettera b) «gli enti pubblici e privati diversi dalle società, (…) residenti nel territorio dello Stato, che hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali» e alla lettera c) «gli enti pubblici e privati diversi dalle società, (…) residenti nel territorio dello Stato, che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali».
Per gli enti commerciali residenti di cui al citato articolo 73, comma 1, lettera b), del Tuir, il reddito complessivo è considerato, ai sensi dell’articolo 81 del citato testo unico, reddito di impresa da qualsiasi fonte provenga. Infatti, a quest’ultima categoria reddituale, definita dall’articolo 55 del Tuir, vengono attratti i redditi, da qualsiasi fonte provengano, posseduti dagli enti commerciali.
Per gli enti non commerciali di cui all’articolo 73, comma 1, lettera c), del Tuir il reddito complessivo è, invece, costituito, ai sensi del successivo articolo 143, comma 1, dalla somma dei redditi fondiari, di capitale, di impresa e diversi, ovunque prodotti e quale ne sia la destinazione. Pertanto, per gli enti non commerciali, i redditi di impresa si configurano come una delle categorie reddituali che concorrono a formare il reddito complessivo da assoggettare ad imposta.
Ai sensi del comma 4 dell’articolo 73 sopra richiamato, l’«oggetto esclusivo o principale dell’ente residente è determinato in base alla legge, all’atto costitutivo o allo statuto, se esistenti in forma di atto pubblico o di scrittura privata autenticata o registrata. Per oggetto principale si intende l’attività essenziale per realizzare direttamente gli scopi primari indicati dalla legge, dall’atto costitutivo o dallo statuto».
Ai fini della qualificazione tributaria di un ente come commerciale o non commerciale, rilevano, quindi, i criteri dettati dall’articolo 73 del Tuir, in base ai quali un ente si considera come non commerciale quando non ha come oggetto esclusivo o principale lo svolgimento di un’attività commerciale, intendendo per oggetto esclusivo o principale, l’attività essenziale svolta per realizzare direttamente gli scopi primari dell’ente così come indicati dalla legge, dall’atto costitutivo o dallo statuto.
Ai fini dell’individuazione della natura tributaria dell’ente, pertanto, rileva il carattere commerciale o non commerciale dell’attività essenziale per la realizzazione degli scopi statutari.
La commercialità o meno di un’attività è determinata in base a parametri oggettivi che prescindono dalle motivazioni del soggetto che la pone in essere. Tali parametri sono enunciati dalle disposizioni recate, agli effetti delle imposte sui redditi, dall’articolo 55 del Tuir che disciplina i redditi che derivano dall’esercizio di imprese commerciali.
Ai sensi di tale norma, si intende per esercizio di imprese commerciali l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, delle attività commerciali di cui all’articolo 2195 del codice civile, anche se non organizzate in forma di impresa, nonché l’esercizio di attività, organizzate in forma di impresa, dirette alla prestazione di servizi che non rientrano nell’articolo 2195 del codice civile.
In sostanza, la qualificazione commerciale ai fini fiscali dell’attività svolta deve essere operata verificando se l’attività possa ricondursi fra quelle previste dall’articolo 2195 del codice civile ovvero, qualora consista nella prestazione di servizi non riconducibili al citato articolo 2195, se la stessa venga svolta con organizzazione in forma di impresa.
Nessun rilievo assume, invece, ai fini della qualificazione dell’ente non commerciale, la natura, pubblica o privata, del soggetto, la rilevanza sociale delle finalità perseguite, l’assenza del fine di lucro o la destinazione dei risultati (cfr. circolare n. 124/E del 12 maggio 1998).
Nell’ambito delle norme relative alla determinazione del reddito degli enti non commerciali, l’articolo 143, comma 1, secondo periodo, del Tuir stabilisce che per gli enti non commerciali «non si considerano attività commerciali le prestazioni di servizi non rientranti nell’articolo 2195 del codice civile rese in conformità alle finalità istituzionali dell’ente senza specifica organizzazione e verso pagamento di corrispettivi che non eccedono i costi di diretta imputazione».
La norma dell’articolo 149 contiene una presunzione legale di perdita della qualifica di ente non commerciale, qualora, indipendentemente dalle previsioni statutarie, l’ente eserciti quale attività principale un’attività commerciale, ai sensi dell’articolo 55 del Tuir.
La qualifica di ente non commerciale, impressa dalla legge, dall’atto costitutivo o dallo statuto, che consente all’ente di fruire della disciplina degli enti non commerciali su base dichiarativa, va verificata, pertanto, prendendo comunque in esame l’attività effettivamente svolta.
Ai fini della qualificazione come ”non commerciale” dell’attività svolta dagli Enti Filantropici, si osserva primariamente che, ferma la competenza del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, essa, come chiarito sopra, appare sostanziarsi nell’attività di interesse generale di cui, all’articolo 5, comma 1, lettera u) del CTS, più specificamente individuata, ai sensi dell’articolo 37, nell’erogazione di «denaro, beni o servizi, anche di investimento» a sostegno di «categorie di persone svantaggiate» o di «di attività di interesse generale».
L’effettuazione di tale attività a titolo gratuito, ovvero in assenza di controprestazioni o corrispettivi a carico dei beneficiari, rappresenta un indice di non commercialità ai fini della qualificazione dell’attività ”non commerciale”.
Ad analoghe conclusioni si perviene in relazione all’attività erogativa costituita dalla concessione, a vario titolo, di prestiti di denaro nei riguardi di beneficiari tenuti alla restituzione del solo capitale, qualora detta attività venga effettuata senza addebito di interessi, o di altri importi a titolo di commissioni comunque denominate, a carico dei beneficiari.
Resta fermo che, ai fini della qualificazione ai fini fiscali dell’attività degli Enti Filantropici, le concrete modalità organizzative relative all’attività nel concreto posta in opera devono essere osservate attraverso accertamenti di fatto e non possono essere verificate in questa sede.
In relazione a specifiche norme fiscali del CTS applicabili solo a determinate categorie di ETS, l’articolo 84, nella versione in vigore a seguito delle modifiche operate dall’articolo 26, comma 1, lettera d), del decreto-legge del 21 giugno 2022, n. 73 (decreto Semplificazioni), convertito con modificazioni dalla legge 4 agosto 2022, n. 122, prevede:
al comma 2, che «I redditi degli immobili, destinati in via esclusiva allo svolgimento di attività non commerciale da parte delle organizzazioni di volontariato, sono esenti dall’imposta sul reddito delle società»;
al comma 2bis, che «La disposizione di cui al comma 2 si applica anche agli enti filantropici».
La disposizione di cui al comma 2 dell’articolo 84 (seppur inserita nel Titolo X del CTS) rientra, come illustrato, tra quelle per le quali non opera la inapplicabilità generale, essendo previsto un regime di applicabilità transitorio.
Tale disposizione, pertanto, è applicabile in via transitoria fin dal 1° gennaio 2018 per le Organizzazioni di Volontariato (ODV) iscritte nei registri di cui alla legge 11 agosto 1991, n. 266, migrate a partire dal 23 novembre 2021 nel RUNTS, nella sezione a loro dedicata, ai sensi dell’articolo 54 del CTS e dell’articolo 30 del decreto ministeriale del 15 settembre 2020, n. 106.
Tale agevolazione è stata estesa, con il comma 2bis, anche agli Enti Filantropici, ad opera del citato articolo 26 del decreto Semplificazioni.
Con l’articolo 26, comma 1, lettera i), del decreto Semplificazioni, inoltre, è stato introdotto un secondo periodo all’articolo 104, comma 1, del CTS, prevedendo che «Le disposizioni richiamate al primo periodo si applicano, a decorrere dall’operatività del Registro unico nazionale del Terzo settore, agli enti del Terzo settore iscritti nel medesimo Registro», di fatto ampliando la platea dei soggetti interessati dal regime transitorio.
Con tale disposizione è stata prevista in sostanza l’applicabilità in via transitoria delle norme del CTS di cui all’articolo 104, comma 1, oltre che alle ONLUS, anche agli ETS iscritti al RUNTS.
Ciò comporta che per gli ETS iscritti al RUNTS con la qualifica di ODV trovi piena applicazione, nel periodo transitorio, l’articolo 84, comma 2, del CTS.
Considerato che il comma 2bis non introduce una nuova agevolazione, ma estende agli Enti Filantropici quella disposta dal precedente comma 2, si ritiene che anche per gli ETS iscritti al RUNTS con la qualifica di Enti Filantropici possa trovare applicazione, nel periodo transitorio, l’esenzione disposta dall’articolo 84, comma 2.
Con riguardo alla specifica disposizione di cui all’articolo 84, comma 2, del CTS, applicabile, come chiarito, a tutti gli Enti Filantropici che si iscrivono al RUNTS, si osserva che la modifica introdotta alla norma agevolativa citata dal decreto Semplificazioni ha riguardato, in particolare, la riformulazione del testo originario.
Tale riformulazione ha inteso rendere esplicito nel testo della previsione agevolativa che devono essere considerati esenti da Ires i redditi che le ODV, e quindi anche gli Enti Filantropici, in forza come chiarito del rinvio operato dal comma 2bis dell’articolo 84, traggono dagli immobili, a condizione che detti redditi vengano destinati allo svolgimento di attività non commerciali.
Al riguardo, si ritiene che rientrino nell’esenzione i redditi derivanti dalla gestione degli immobili, inclusa la locazione, a condizione che non siano inseriti in un ”contesto produttivo” ma siano posseduti al mero scopo di trarne redditi di natura fondiaria, destinati al sostegno delle finalità istituzionali proprie dell’Ente Filantropico e, non sia configurabile, nell’attività di gestione, un’attività organizzata in forma d’impresa.
Si ritiene, infatti, che non possano rientrare nel campo di applicazione della disposizione agevolativa in esame i redditi derivanti da una gestione del patrimonio immobiliare effettuata in forma di impresa.
Il presente parere è reso previa condivisione con il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, cui si rinvia per gli aspetti di competenza.
Le Direzioni regionali vigileranno affinché i principi enunciati e le istruzioni fornite con la presente risoluzione vengano puntualmente osservati dalle Direzioni provinciali e dagli Uffici dipendenti.