AGENZIA DELLE ENTRATE – Risposta 20 maggio 2022, n. 285
Trattamento fiscale applicabile, ai fini Irpef e IVA, al reddito di lavoro autonomo prodotto da un soggetto residente nei Paesi Bassi per un’attività di consulenza resa ad un Ministero Italiano – Articolo 14 della Convenzione tra Italia e Paesi Bassi per evitare le doppie imposizioni sul reddito
Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, è stato esposto il seguente
Quesito
Il Ministero istante (di seguito, l’ Istante o il Ministero), nell’ambito della propria attività istituzionale, in data gg/mm/aaaa, ha stipulato un contratto di consulenza con un professionista esterno residente nei Paesi Bassi (di seguito, il Consulente).
L’articolo 2, comma 1, del contratto prevede che « L’incarico di cui all’articolo 1 decorre dalla data di sottoscrizione del presente contratto individuale di collaborazione, venendo a cessare in caso di anticipata conclusione dell’attuale mandato del Ministro, ferme restando le possibilità di revoca anticipata da parte del Ministro medesimo, per la cessazione del rapporto fiduciario o di dimissioni del collaboratore».
In base al contratto, il Consulente si impegna a svolgere l’attività presso gli Uffici di diretta collaborazione del Ministro, a fronte di un « importo annuo lordo di …, più IVA e cassa di previdenza se dovute, al lordo delle ritenute fiscali ed assicurative nelle misure previste dalla legge, con esclusione degli oneri a carico dell’Amministrazione, da corrispondersi in ratei mensili posticipati, ed erogato al collaboratore in misura proporzionale al periodo di collaborazione effettivamente prestata».
Nell’ambito del citato contratto, il Consulente ha eletto il proprio domicilio presso gli Uffici ministeriali ( cfr. articolo 2, comma 1, del contratto) e può avvalersi, in relazione all’incarico conferitogli, delle strutture logistiche presenti presso i predetti Uffici ( cfr. articolo 3, comma 2, del contratto).
Rappresentato quanto sopra, l’ Istante chiede:
– se debba applicare, all’atto del pagamento del corrispettivo, la ritenuta alla fonte prevista dall’articolo 25, comma 2, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, o se sia possibile disapplicarla sussistendone le condizioni;
– se la prestazione, ai fini dell’Iva, sia rilevante o meno nel nostro Paese ed i conseguenti adempimenti ai fini di tale tributo;
– se sussistano ulteriori obblighi ai fini tributari in relazione al predetto contratto.
Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente
Ai fini dell’applicazione dell’imposta sul reddito in Italia del corrispettivo spettante al Consulente e, dunque, dell’eventuale applicazione della ritenuta a titolo d’imposta nella misura del 30 per cento prevista dall’articolo 25, comma 2, del d.P.R. n. 600 del 1973 da parte dell’ Istante, risulta dirimente accertare se, nel caso di specie, si integri o meno il requisito della disponibilità di una base fissa in Italia, ai sensi dell’articolo 14 della Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra l’Italia ed i Paesi Bassi.
In assenza di una base fissa, infatti, ai sensi dell’ultimo periodo della citata disposizione tale ritenuta non si renderebbe applicabile in quanto i predetti compensi sarebbero inquadrabili tra quelli per prestazioni di lavoro autonomo effettuate all’estero.
Ai fini Iva, l’ Istante ritiene che la prestazione professionale sia rilevante in Olanda e che il Consulente estero sia tenuto ad emettere fattura con l’addebito dell’imposta sul valore aggiunto nella misura vigente nel predetto Paese.
Diversamente, qualora si ritenesse verificata la rilevanza territoriale in Italia della suddetta prestazione, il Consulente estero dovrebbe emettere una fattura senza l’addebito dell’imposta sul valore aggiunto olandese e il Ministero dovrebbe procedere alla integrazione della fattura stessa, ai sensi dell’articolo 17, comma 2, del d. P.R. n. 633 del 1972 e trasmissione allo SDI (tipo documento TD17).
Parere dell’Agenzia delle entrate
Ai sensi dell’articolo 14, comma 2, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 « Per l’esercizio delle funzioni di cui al comma 1 il Ministro si avvale di uffici di diretta collaborazione, aventi esclusive competenze di supporto e di raccordo con l’amministrazione, istituiti e disciplinati con regolamento adottato ai sensi dell’articolo 17, comma 4-bis, della legge 23 agosto 1988, n. 400. A tali uffici sono assegnati, nei limiti stabiliti dallo stesso regolamento: dipendenti pubblici anche in posizione di aspettativa, fuori ruolo o comando; collaboratori assunti con contratti a tempo determinato disciplinati dalle norme di diritto privato; esperti e consulenti per particolari professionalità e specializzazioni con incarichi di collaborazione coordinata e continuativa».
Ai fini IRPEF, le somme e i valori percepiti in relazione ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa costituiscono redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente ai sensi dell’articolo 50, comma 1, lettera c-bis), del Testo unico delle imposte sui redditi approvato con d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Tuir), sempreché le collaborazioni non rientrino nei compiti istituzionali compresi nell’attività di cui all’articolo 49, comma 1, concernente redditi di lavoro dipendente, o nell’oggetto dell’arte o professione di cui all’articolo 53, comma 1, concernente redditi di lavoro autonomo, esercitate dal contribuente.
Nel caso di specie, l’ Istante chiede di sapere se, sul compenso spettante al Consulente non residente per il contratto individuale di collaborazione, debba applicare la ritenuta alla fonte di cui all’articolo 25, comma 2, del d.P.R. n. 600 del 1973, ritenendo, quindi, che il compenso in esame rientra tra quelli di lavoro autonomo in ragione del collegamento tra l’attività di consulenza prestata dal professionista e l’oggetto della professione svolta dallo stesso.
L’articolo 25, commi 1 e 2, del d.P.R. n. 600 del 1973, prevede che i sostituti d’imposta « che corrispondono a soggetti residenti nel territorio dello Stato compensi comunque denominati ,…, per prestazioni di lavoro autonomo, ancorché non esercitate abitualmente ovvero siano rese a terzi o nell’interesse di terzi o per l’assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere devono operare all’atto del pagamento una ritenuta del 20 per cento a titolo di acconto dell’Irpef dovuta dai percipienti, con l’obbligo di rivalsa» e che « se i compensi e le altre somme di cui al comma precedente sono corrisposti a soggetti non residenti, deve essere operata una ritenuta a titolo d’imposta nella misura del 30 per cento, anche per le prestazioni effettuate nell’esercizio di imprese. Ne sono esclusi i compensi per prestazioni di lavoro autonomo effettuate all’estero e quelli corrisposti a stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti».
Ai fini dell’applicazione dell’imposta nei confronti dei soggetti non residenti, si fa presente che, ai sensi dell’articolo 23, comma 1, lettera d), del Tuir si considerano prodotti nel territorio dello Stato « i redditi di lavoro autonomo derivanti da attività esercitate nel territorio dello Stato».
In base all’ordinamento tributario domestico, pertanto, il criterio di collegamento ai fini dell’attrazione dei predetti compensi nella potestà impositiva dello Stato è costituito dal luogo ove è svolta la prestazione lavorativa, ovvero sono imponibili in Italia i soli compensi corrisposti ai lavoratori autonomi non residenti, per l’attività lavorativa svolta in Italia.
La normativa domestica deve, tuttavia, essere coordinata con le disposizioni internazionali contenute nella Convenzione per evitare le doppie imposizioni stipulata tra Italia e Paesi Bassi.
In particolare, nel caso in esame, occorre fare riferimento all’articolo 14, comma 1, della citata Convenzione in base al quale « I redditi che un residente di uno degli Stati ritrae dall’esercizio di una libera professione o da altre attività di carattere indipendente sono imponibili soltanto in questo Stato, a meno che detto residente non disponga abitualmente nell’altro Stato di una base fissa per l’esercizio delle sue attività. Se egli dispone di tale base, i redditi sono imponibili nell’altro Stato ma solamente nella misura in cui sono imputabili a detta base fissa» .
Il citato articolo, al successivo comma 2, chiarisce che « L’espressione «libera professione» comprende in particolare le attività indipendenti di carattere scientifico, letterario, artistico, educativo o pedagogico, nonché le attività indipendenti dei medici, avvocati, ingegneri, architetti, dentisti e contabili».
La norma convenzionale stabilisce, in sostanza, che i compensi derivanti dall’attività professionale sono imponibili solo nello Stato di residenza del professionista, a meno che detto professionista non disponga abitualmente di una base fissa per l’esercizio della sua attività nello Stato contraente da cui provengono i compensi. In tal caso, i redditi sono imponibili anche nello Stato contraente, ma solamente nella misura in cui sono imputabili a detta base fissa.
Il dubbio interpretativo dell’ Istante riguarda proprio la verifica della disponibilità, da parte del professionista, di una base fissa in Italia per l’esercizio dell’attività professionale.
In linea generale, come già anticipato nella richiesta di documentazione integrativa, la verifica della sussistenza della disponibilità da parte del Consulente di una base fissa in Italia per l’esercizio dell’attività professionale quale presupposto impositivo ai fini dell’IRPEF, costituisce una questione di fatto che esula dall’attività interpretativa svolta in sede di interpello, di cui alla lettera a) del comma 1 dell’articolo 11 della legge 27 luglio 2000, n. 212.
Al riguardo, si ricorda che, sebbene le Convenzioni per evitare le doppie imposizioni stipulate dal nostro Paese facciano riferimento, per le professioni indipendenti, all’espressione “base fissa”, non ne delimitano precisamente i contorni.
Secondo la dottrina e la giurisprudenza, la nozione in parola è da ricavare facendo ricorso ai criteri ermeneutici propri dell’interpretazione dei trattati.
Sulla base di quanto emerge nel Commentario del Modello OCSE all’articolo 5, paragrafo 2, il concetto di “base fissa” deve essere assimilato al concetto di “stabile organizzazione”, ossia una sede fissa di affari in cui il professionista esercita in tutto o in parte la sua attività indipendente (cfr. Comm. Trib. Reg. Torino 10 gennaio 2017 n. 161; Cass. n. 32078/2018; Comm. Trib. Reg. Milano 7 luglio 2020 n. 1500).
Secondo la giurisprudenza, dunque, la base fissa può essere equiparata alla nozione di stabile organizzazione « i cui elementi costitutivi sono quello materiale ed oggettivo della “sede fissa di affari” e quello dinamico dell’esercizio in tutto o in parte della sua attività» (cfr. Cass. 32389/2019; Cass. 11429/2019, Cass. 28059/2017). Inoltre, si evidenzia che l’elemento costitutivo della “fissità” implica che la sede sia in un luogo determinato ed abbia un certo grado di permanenza nell’utilizzo. Può essere costituita anche da un locale o da una stanza di proprietà di altri soggetti che, tuttavia, deve essere a disposizione del lavoratore autonomo e nel quale questo esercita la sua attività o parte della stessa.
Un tipico esempio è quello di un pittore che, per due anni, trascorre tre giorni a settimana nel grande edificio del suo principale cliente. In tal caso, la presenza del pittore in quell’edificio dove svolge le funzioni più importanti della sua attività (cioè la pittura) costituisce una stabile organizzazione del pittore (cfr. Commentario Modello OCSE all’articolo 5, paragrafo 17).
Con riferimento al caso di specie, ai fini della configurazione di una base fissa, può essere utile fare riferimento anche ai chiarimenti interpretativi resi nel Commentario all’articolo 14 del Modello OCSE, nella versione vigente dal 1977 fino al 2000, ossia nell’arco temporale durante il quale è stata firmata (8 maggio 1990) e ratificata la Convenzione tra Italia e Paesi Bassi (legge 26 luglio 1993, n.305). A partire dal 2000, infatti, l’articolo 14 e il relativo Commentario sono stati eliminati e la tassazione degli ” Independent Personal Services” è stata ricondotta nell’ambito dell’articolo 7 del Modello OCSE.
In particolare, il paragrafo 4 del Commentario all’articolo 14 precisava che il termine “base fissa” non fosse definibile in astratto, ma andasse a coprire quelle fattispecie come, ad esempio, un ufficio di consulenza, o lo studio di un architetto o di un avvocato. Il medesimo Commentario chiariva, infatti, che una persona svolgente servizi indipendenti ha, in linea generale, la disponibilità di tali locali nel suo Stato di residenza. Pertanto, in presenza di un centro di attività di carattere fisso o permanente in un altro Stato (diverso da quello di residenza), quest’ultimo ha diritto ad assoggettare a tassazione i proventi di tale attività.
Ciò posto, stabilire se il professionista in esame abbia a disposizione un luogo che possa considerarsi una “base fissa” in Italia, quale ad esempio, la struttura logistica messa a disposizione dal Ministero, dipenderà dal potere effettivo del Consulente non residente di utilizzare tale ubicazione per svolgere la sua attività professionale, nonché dalla portata della presenza del professionista in quel luogo e delle concrete attività che vi svolgerà.
La valutazione di tali elementi costituisce, tuttavia, una questione di fatto che esula dall’attività interpretativa svolta in sede di interpello, di cui alla lettera a) del comma 1 dell’articolo 11 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (cfr. anche circolare n. 9/E/2016).
Nella circolare 1° aprile 2016, n. 9/E, infatti, è prevista la facoltà di presentazione di un’istanza di interpello esclusivamente in relazione alla ” valutazione della sussistenza di una stabile organizzazione all’estero ai fini dell’esenzione degli utili e delle perdite delle stabili organizzazioni di imprese residenti di cui al nuovo articolo 168-ter del TUIR”, mentre viene, invece, esclusa in relazioni a ” fattispecie diverse da quella di cui al richiamato articolo 168-ter del TUIR”.Parimenti, la circostanza che il soggetto sia effettivamente da considerarsi fiscalmente residente all’estero (cfr. articolo 2 del Tuir e articolo 4 della Convenzione) costituisce questione di fatto non valutabile in sede di interpello ed è qui pertanto assunta acriticamente.
Pertanto, in linea con quanto sopra illustrato, nella ipotesi in cui il Consulente utilizzi le “strutture logistiche presenti presso gli Uffici di diretta collaborazione del Ministro” integrando nei termini sopra descritti i requisiti della sussistenza di una “sede fissa” di affari in Italia, l’ Istante applicherà sui compensi erogati la richiamata ritenuta a titolo d’imposta nella misura del 30 per cento.
Ai fini dell’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto, occorre valutare la sussistenza dei presupposti soggettivo, oggettivo e territoriale recati dall’articolo 1 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, ai sensi del quale ” L’imposta sul valore aggiunto si applica sulle cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato nell’esercizio di imprese o nell’esercizio di arti e professioni”.
Assunti come sussistenti i presupposti soggettivo ed oggettivo alla luce di quanto rappresentato nell’istanza (e, quindi, la titolarità di una partita Iva in capo al professionista), al fine di verificare se l’operazione rilevi ai fini Iva in Italia occorre esaminare la sussistenza del presupposto territoriale, ossia se la prestazione di servizi resa dal medesimo professionista si consideri ” effettuata nel territorio dello Stato”.
A tal fine, occorre fare riferimento alle disposizioni contenute negli articoli 7 e seguenti del citato d.P.R. n. 633 del 1972.
In particolare, ai sensi del primo comma dell’articolo 7- ter del d.P.R. n. 633 del 1972 , le prestazioni di servizi c.d. “generiche” – cui appare doversi ricondurre quella in esame alla luce dell’oggetto del contratto di collaborazione stipulato con il Ministero e prodotto in allegato – si considerano effettuate nel territorio dello Stato:
” a) quando sono rese a soggetti passivi stabiliti nel territorio dello Stato;
b) quando sono rese a committenti non soggetti passivi da soggetti passivi stabiliti nel territorio dello Stato”.
Il secondo comma del medesimo articolo 7- ter dispone, inoltre, che ” Ai fini dell’applicazione delle disposizioni relative al luogo di effettuazione delle prestazioni di servizi, si considerano soggetti passivi per le prestazioni di servizi ad essi rese: …
b) gli enti, le associazioni e le altre organizzazioni di cui all’articolo 4, quarto comma, anche quando agiscono al di fuori delle attività commerciali o agricole; c) gli enti, le associazioni e le altre organizzazioni, non soggetti passivi, identificati ai fini dell’imposta sul valore aggiunto”.
Il richiamato articolo 4, quarto comma, del d.P.R. n. 633 del 1972 prevede, tra l’altro, che, per gli enti pubblici e privati “(…) che non abbiano per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali o agricole, si considerano effettuate nell’esercizio di imprese soltanto le cessioni di beni e le prestazioni di servizi fatte nell’esercizio di attività commerciali o agricole. (…)”.
Nel caso di specie, in cui il Ministero istante non risulta, da verifiche effettuate in questa sede, titolare di partita Iva, si ritiene che non risultano integrate le sopra descritte condizioni per considerare la prestazione di servizi territorialmente rilevante in Italia.
Il prestatore di servizi estero dovrà quindi emettere fattura con l’addebito dell’Iva secondo le regole vigenti nello Stato estero.
Il presente parere viene reso sulla base degli elementi e dei documenti presentati, assunti acriticamente così come illustrati nell’istanza di interpello, nel presupposto della loro veridicità e concreta attuazione del contenuto.
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