AGENZIA delle ENTRATE – Risposta n. 387 del 13 luglio 2023

Tassazione, ai sensi della Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Cina, del reddito da attività di consulenza prestata in Italia da un soggetto residente in Cina per società residente in altro Stato UE e apertura di partita IVA in Italia

Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, è stato esposto il seguente

Quesito

Il Contribuente (di seguito, anche ”l’Istante”) è un cittadino italiano iscritto all’AIRE dal dicembre dell’anno n e residente in Cina, dove svolge attività di lavoro dipendente presso una società cinese.

L’Istante, che ha ricevuto una proposta di lavoro, per l’anno n+3, quale consulente di una società con sede in uno Stato membro dell’Unione europea, rappresenta la volontà di aprire una partita IVA in Italia con sede nell’immobile di sua proprietà, sito nella città italiana di Alfa, per lo svolgimento di tale attività per non più di 60 giorni nell’anno non consecutivi.

L’Istante, quindi, sottopone alla scrivente i seguenti quesiti:

– se sia possibile aprire una partita IVA in Italia e operare come ditta con sede in Italia, pur mantenendo residenza e centro principale dei suoi affari ed interessi in Cina;

– se dovrà essere soggetto a tassazione in Italia solo il reddito prodotto in Italia con la partita IVA o anche il reddito da lavoro dipendente svolto in Cina.

Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente

L’Istante ritiene che, ai sensi degli articoli 2, 3 e 7 del D.P.R. n. 633/1972 (di seguito, ”decreto IVA”), sia possibile aprire partita IVA in Italia, eleggendo come sede della propria attività l’immobile sito in Alfa e che, in conformità a quanto disposto dall’articolo 3 del Testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (a seguire, ”TUIR”), i soggetti non residenti sono tassati in Italia solo in relazione ai redditi prodotti nel territorio dello Stato italiano, per cui solo il reddito ivi prodotto può essere tassato, mentre la Cina, quale Stato di residenza dell’Istante, potrà continuare a tassare il reddito da lavoro dipendente.

Parere dell’Agenzia delle Entrate

Preliminarmente, si specifica che esula dalla presente risposta la valutazione dei dati fattuali rappresentati dal Contribuente in sede di istanza: in particolare, l’accertamento dei presupposti per stabilire l’effettiva residenza fiscale e la sussistenza di una stabile organizzazione nel territorio dello Stato costituisce una questione di fatto che non può essere oggetto di istanza di interpello, ai sensi dell’articolo 11 della legge n. 212 del 2000 (cfr. circolare n. 9/E del 1° aprile 2016).

Ciò premesso, il quesito 1) concerne la possibilità di aprire partita IVA pur mantenendo la residenza fiscale in Cina.

Da quanto pare di capire dalle scarne informazioni rese in istanza, l’Istante intenderebbe operare tramite una stabile organizzazione che individuerebbe nel proprio immobile situato in Alfa.

Al riguardo, senza formulare, per i motivi suesposti, alcuna valutazione sulla configurabilità di una stabile organizzazione in Italia, si osserva che, ai sensi dell’articolo 35 del decreto IVA, i soggetti che istituiscono nel territorio dello Stato una stabile organizzazione devono farne dichiarazione entro trenta giorni ad uno degli uffici locali dell’Agenzia delle entrate, che attribuisce al contribuente un numero di partita IVA.

L’attribuzione del numero di partita IVA a un soggetto non residente non incide sulla sua residenza ai fini fiscali, per il cui radicamento in Italia, infatti, è necessario che venga integrato, per la maggior parte del periodo d’imposta, almeno uno dei presupposti di cui all’articolo 2 del TUIR (i.e. iscrizione all’anagrafe della popolazione residente, residenza o domicilio nel nostro Paese).

Resta inteso che, nonostante quanto dichiarato in istanza in merito alla permanenza non superiore a 60 giorni nel nostro Paese, qualora si riscontrasse una delle condizioni di cui al citato articolo 2, l’Istante potrà essere considerato come fiscalmente residente nel territorio dello Stato, a prescindere dall’attribuzione di partita IVA.

Per completezza, inoltre, si osserva che qualora il Contribuente intendesse aprire una partita IVA in assenza di stabile organizzazione, questi sarebbe tenuto a identificarsi in Italia attraverso un rappresentante fiscale ai sensi dell’articolo 17 del decreto IVA.

Anche in tal caso, l’apertura della partita IVA non inciderebbe sulla residenza ai fini fiscali dell’Istante.

Nel quesito 2) il Contribuente chiede chiarimenti in merito al trattamento fiscale riservato alla propria attività lavorativa, comprensiva del lavoro dipendente svolto in Cina per una società cinese e del rapporto di collaborazione che vuole instaurare con una società europea, prestando l’attività di consulenza dall’Italia presso l’immobile di sua proprietà. Non vengono forniti ulteriori dettagli circa l’attività svolta in Cina o il previsto rapporto di collaborazione con la società europea.

In linea generale, si ricorda che, ai sensi della normativa nazionale (articolo 23, comma 1, lettere a), c) e d), del TUIR), per i soggetti non residenti si considerano prodotti nel territorio dello Stato rispettivamente: i redditi fondiari, i redditi di lavoro dipendente prestato nel territorio dello Stato e i redditi di lavoro autonomo derivanti da attività esercitate nel territorio dello Stato italiano.

La normativa italiana, tuttavia, deve essere coordinata con le disposizioni internazionali contenute in accordi conclusi dall’Italia con gli Stati esteri.

Il principio della prevalenza del diritto convenzionale sul diritto interno è, difatti, pacificamente riconosciuto nell’ordinamento italiano e, in ambito tributario, è sancito dall’articolo 169 del TUIR e dall’articolo 75 del D.P.R. n. 600 del 1973, oltre ad essere stato affermato dalla giurisprudenza costituzionale.

Nel caso in esame, si fa specifico riferimento alle disposizioni contenute nella Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra Italia e Cina in data 31 ottobre 1986, ratificata in data 31 ottobre 1989 (a seguire, ”Convenzione” o ”Trattato”).

In merito all’attività di ”consulenza”, che, in assenza di ulteriori indicazioni, parrebbe riconducibile a un’attività di lavoro autonomo, l’articolo 14 del Trattato prevede che ”1. I redditi che un residente di uno Stato contraente ritrae dall’esercizio di un’attività professionale o da altre attività indipendenti di carattere analogo sono imponibili soltanto in detto Stato contraente; tuttavia, detti redditi sono imponibili anche nell’altro Stato contraente nelle seguenti circostanze:

a) se egli dispone abitualmente di una base fissa nell’altro Stato contraente per l’esercizio delle proprie attività; in tal caso i redditi sono imponibili in detto altro Stato contraente, ma unicamente nella misura in cui sono imputabili a detta base fissa; o

b) se egli soggiorna nell’altro Stato contraente per un periodo o periodi che oltrepassano in totale 183 giorni nel corso dell’anno solare considerato; in tal caso, i redditi sono imponibili in detto altro Stato contraente ma unicamente nella misura in cui derivino dalle proprie attività svolte in detto altro Stato”.

Il citato articolo, al successivo paragrafo 2, chiarisce che ”L’espressione ”libera professione” comprende in particolare le attività indipendenti di carattere scientifico, letterario, artistico, educativo o pedagogico, nonché le attività indipendenti dei medici, avvocati, ingegneri, architetti, dentisti e contabili”.

Secondo quanto disposto da tale norma, i compensi del professionista intellettuale possono essere tassati unicamente nello Stato di residenza, salvo i due casi di deroga di cui alle lettere a) e b).

Per quanto concerne l’operatività della deroga di cui alla lettera a) dell’articolo 14 della Convenzione, come già rilevato, la verifica dell’esistenza di una ”base fissa” presuppone un riscontro fattuale che esula dall’attività interpretativa svolta in sede di interpello.

In merito, ci si limita a ricordare che, sebbene le Convenzioni per evitare le doppie imposizioni stipulate dal nostro Paese facciano riferimento, per le professioni indipendenti, all’espressione ”base fissa”, non ne delimitano precisamente i contorni. Secondo la dottrina e la giurisprudenza, la nozione in parola è da ricavare facendo ricorso ai criteri ermeneutici propri dell’interpretazione dei trattati.

Sulla base di quanto emerge nel Commentario all’articolo 5 del Modello OCSE, il concetto di ”base fissa” deve essere assimilato al concetto di ”stabile organizzazione”, ossia una sede fissa di affari in cui il professionista esercita in tutto o in parte la sua attività indipendente (cfr. Comm. Trib. Reg. Torino 10 gennaio 2017 n. 161; Cass. n. 32078/2018; Comm. Trib. Reg. Milano 7 luglio 2020 n. 1500).

Anche la valutazione circa la ricorrenza della deroga sub b) dell’articolo 14 del Trattato, fermo restando che l’Istante dichiara che non utilizzerà l’immobile per oltre 60 giorni nel corso dell’anno, presuppone un esame fattuale, non operabile in questa sede.

Da quanto precede, quindi, si ritiene che l’attività di consulente del Contribuente sia assoggettabile a imposizione esclusiva in Cina, ai sensi dell’articolo 14 del Trattato, purché non sia configurabile una base fissa in Italia e purché l’Istante non soggiorni nel nostro Paese per oltre 183 giorni.

Per quanto concerne i redditi di lavoro dipendente svolto dall’Istante, l’articolo 15 della Convenzione ne prevede la tassazione esclusiva nello Stato di residenza (Cina), a meno che tale attività lavorativa non venga svolta nell’altro Stato contraente la Convenzione (Italia); in tale ultima ipotesi, i predetti redditi devono essere assoggettati ad imposizione concorrente in entrambi i Paesi.

Pertanto, nell’assunto (non verificabile in questa sede) che l’attività di lavoro dipendente sia prestata esclusivamente in Cina, dove l’Istante si presume risieda, i redditi da lavoro dipendente saranno assoggettati a imposizione esclusiva in tale ultimo Stato.

Per completezza, infine, sebbene non sia oggetto di specifico quesito, si osserva i redditi che l’Istante ritrae da immobili situati in Italia sono sottoposti a tassazione concorrente ai sensi dell’articolo 6 del Trattato. In altri termini, tali redditi sono tassabili sia in Italia che in Cina e l’eventuale doppia imposizione deve essere risolta da quest’ultimo Paese (dichiarato come di residenza) in base all’articolo 23 della Convenzione.