La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con la sentenza n. 25474 depositata il 13 novembre 2013 intervenendo in tema di accertamenti basati su indagini bancarie ha statuito che le indagini presso gli istituti di credito possono riguardare anche i conti di soci, amministratori o procuratori generali, non solo quelli formalmente intestati all’azienda. Pertanto in caso di indagine finanziaria condotta nei confronti di una società, è legittimo utilizzare i dati desunti dai rapporti finanziari intestati a persone fisiche a essa collegate, quali soci, amministratori o procuratori speciali, a condizione che il Fisco provi, anche tramite presunzione, la natura fittizia dell’intestazione o la sostanziale riconducibilità alla società dei conti o di alcuni loro singoli dati. In tal ipotesi, incombe sul contribuente l’onere di provare l’estraneità delle operazioni contestate alla propria attività d’impresa.
La vicenda ha riguardato una società di capitale, sottoposta a controllo fiscale con indagine bancarie conclusasi con PVC, a cui veniva notificato un avviso di accertamento ai fini imposte dirette e Iva, basato sul PVC, emesso dall’Agenzia delle Entrate. Il predetto avviso di accertamento era basato sulle risultanze di riscontri effettuati sui conti correnti bancari intestati, oltre che alla società verificata, all’amministratore e al procuratore speciale della stessa. L’accertamento contestava un maggior reddito ai fini Irpeg e Irap derivante da redditi non contabilizzati e dal disconoscimento di elementi negativi di reddito ritenuti fiscalmente indeducibili. L’Avviso di accertamento conteneva anche rilievi ai fini Iva, derivanti dalla constatazione di versamenti non giustificati, da considerarsi come operazioni imponibili non fatturate, e dall’indebita detrazione dell’imposta relativamente a costi non deducibili in quanto non inerenti all’attività d’impresa.
Il contribuente avverso l’atto impositivo ricorreva alla Commissione Tributaria Provinciale i cui giudici respingevano le doglianze del ricorrente. Avverso la decisione dei giudici di prime cure, il contribuente, ricorreva alla Commissione Tributaria Regionale che accoglievano parzialmente il ricorso. Per i giudici d’appello i versamenti emersi dalle indagini bancarie sui conti intestati all’amministratore e al procuratore speciale non erano riconducibili alla società verificata, pertanto, non imputabile alla stessa il corrispondente maggior reddito. La CTR ha ritenuto detraibile l’Iva sulle spese che, invece, l’ufficio aveva ritenuto non inerenti.
L’Amministrazione Finanziaria impugnava la decisione della CTR inanzi alla Corte Suprema, basandolo su un unico articolato motivo, lamentando la violazione e falsa applicazione degli articoli 32 del Dpr 600/1973 e 51 del Dpr 633/1972.
Gli Ermellini hanno ritenuto fondate le doglianze dell’Amministrazione ed accolto il ricorso con la conseguente cassazione della sentenza nonché, decidendo nel merito, ha sancito il rigetto del ricorso introduttivo della società contribuente. I giudici di legittimità sono tornati ad affrontare la problematica relativa ai poteri degli uffici finanziari nell’attività di acquisizione dei dati utilizzabili ai fini dell’accertamento, sia in materia di imposte dirette che di Iva, con specifico riferimento al caso in cui tali dati siano attinti da conti intestati ai soci o agli amministratori, e non alla società sottoposta ad accertamento.
L’orientamento consolidato della giurisprudenza della Corte ritiene la legittimità delle indagine finanziaria condotta nei confronti delle persone fisiche, collegate alla società verificata quali soci, amministratori o procuratori speciali quando l’Amministrazione finanziaria provi, anche per presunzione, “la natura fittizia dell’intestazione o, comunque, la sostanziale riferibilità all’ente dei conti medesimi o di alcuni loro singoli dati“.
Ne deriva che l’Agenzia delle Entrate non è tenuta a provare la pertinenza all’attività aziendale di tutte le movimentazioni risultanti da tali rapporti bancari, tenuto conto che “la corretta interpretazione dell’art. 32 del DPR 600/73 impone alla società contribuente di dimostrare l’estraneità di ciascuna di quelle operazioni alla propria attività di impresa (cfr. Cass. 20199/10, 15217/12, 12625/12)“. Il medesimo principio vige in tema di Iva, laddove l’indagine finanziaria, condotta ai sensi dell’articolo 51, comma 2, numeri 2 e 7, del Dpr 633/1972,
Pertanto, se l’Amministrazione finanziaria ottemperi adeguatamente al proprio obbligo di motivare la sostanziale riferibilità a un soggetto indagato di un conto formalmente intestato a un terzo, l’onere di dimostrare il carattere extra-aziendale delle movimentazioni finanziarie contestate ricadrebbe sul contribuente.
Il contribuente, per contrastare la pretesa erariale, non può limitarsi a fornire documenti o fatti privi del necessario riscontro probatorio.
Il mero richiamo alla presenza di una contabilità formalmente regolare, ad esempio, potrebbe non costituire un motivo non sufficiente in tal senso quando, come nel caso di specie, l’ufficio ha fondato motivo di ritenere, sulla base degli elementi indiziari raccolti, che i conti e i rapporti finanziari intestati a terzi siano “utilizzati per occultare operazioni commerciali della società, ovvero per imbastire una vera e propria gestione extracontabile – per il che è evidente che la regolarità formale di quella ufficiale non è, all’uopo, sufficiente – allo scopo di porre in essere un’evasione fiscale (Cass. 374/09, 5849/12)“.
Con la pronuncia in commento, i giudici di legittimità colgono l’occasione per esprimersi anche in tema di diritto alla detrazione dell’Iva relativamente a costi o spese fiscalmente indeducibili per difetto del requisito d’inerenza.
A tal fine, la Suprema corte ha ribadito che l’articolo 19, comma 1, del Dpr 633/1972, richiede, al fine della detrazione, la qualità di imprenditore dell’acquirente e l’inerenza del bene o servizio acquistato nell’ambito dell’attività imprenditoriale, intesa come strumentalità del bene o servizio stesso, “lasciando la dimostrazione di detta inerenza o strumentalità a carico dell’interessato, senza che la sussistenza dei predetti requisiti possa neppure presumersi in ragione della sola qualità di società commerciale dell’acquirente (cfr., tra le tante, Cass. 3518/06, 16739/07, 2362/13, 16853/13)“.
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