La Corte di Cassazione con la sentenza n. 15050 del 21 febbraio 2013, depositata il 02 aprile 2013 intervenuto in tema confisca ha ritenuto legittimo il sequestro preventivo, operato sui beni di proprietà del legale rappresentante di una società che non aveva versato l’IVA, anche senza la preventiva escussione del patrimonio societario affermando la responsabilità penale di chi ha commesso il reato anche se il profitto derivante dall’evasione rimane nelle casse della società.
La vicenda relativa al caso in esame ha visto l’ex legale rappresentante di una società indagato per aver omesso il versamento dell’IVA per l’annualità 2007; il GIP del Tribunale aveva disposto il sequestro per equivalente di somme di denaro, sui conti correnti personali dell’indagato, sulla scorta del combinato disposto dell’art. 10 ter D.Lgs. 74/2000, art. 1, comma 143 L. finanziaria n. 244/07 e 322 ter c.p.
Il sequestro preventivo era stato disposto sulle somme di denaro giacenti sui conti corrente dell’indagato e, solo nel caso di incapienza dei fondi, sulle quote sociali di proprietà dello stesso legale rappresentante.
L’indagato ha proposto istanza di riesame avverso il decreto di sequestro preventivo, deducendo la necessità di una più approfondita verifica delle contestate condotte criminose nonché di un collegamento tra oggetto del sequestro e profitto del reato. Infatti secondo la difesa dell’amministratore, prima di “attingere” ai suoi conti correnti doveva essere “aggredito” il patrimonio della società che non poteva dirsi estranea a un reato dal quale aveva tratto un vantaggio. Senza contare che il ricorrente aveva dichiarato di aver agito agito per cause di forza maggiore, perché l’azienda non aveva la disponibilità per saldare il conto con l’Erario.
Per i giudici del Tribunale, che ha rigettato l’istanza, si è ritenuto la sussistenza del fumus commissi delicti dimostrata dal verbale di accertamento redatto dall’Amministrazione finanziaria e considerando inoltre legittimo il sequestro per equivalente delle somme di denaro dato che il profitto del reato contestato era pecuniario, essendo il denaro un bene fungibile.
L’indagato ha quindi proposto ricorso per Cassazione deducendo la mancanza del fumus commissi delicti in quanto non sarebbe stato sufficiente il mero richiamo del verbale di accertamento dell’Ufficio finanziario; inoltre non era stato provato che il legale rappresentante avesse prelevato somme dalle casse sociali.
Il ricorrente ha inoltre eccepito la carenza di prova in ordine alla possibilità di procedere a sequestro in forma specifica, ovvero al sequestro dei conti correnti della società. Secondo la difesa, la confisca del profitto non sarebbe possibile quando questo appartenga a persona estranea al reato: in caso di reato commesso da amministratori di una società il cui profitto rimane nelle casse della società medesima, questa non può considerarsi persona estranea al reato anche se non è prevista alcuna responsabilità amministrativa.
In sintesi, secondo il ricorrente si potrebbe porre in essere la confisca di beni diversi dal profitto del reato, per un valore equivalente, solo qualora sia impossibile sottoporre a confisca il profitto stesso.
Gli Ermellini hanno respinto la tesi difensiva dell’indagato, ribadendo inanzitutto il consolidato orientamento di legittimità secondo cui il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente del profitto del reato può incidere contemporaneamente od indifferentemente sui beni dell’ente che dal medesimo reato ha tratto vantaggio e su quelli della persona fisica che lo ha commesso, con l’unico limite per cui il vincolo cautelare non può eccedere il valore complessivo del suddetto profitto.
Inoltre i giudici di legittimità richiamano una recente pronuncia in materia di reati tributari (ovvero la sentenza n. 25774/2012 della sez. III della Cassazione) secondo cui il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente, previsto dall’art. 19, comma 2, D.Lgs. n. 231/2001, non può essere disposto sui beni immobili appartenenti alla persona giuridica ove si proceda per le violazioni finanziarie commesse dal legale rappresentante della società, dato che gli artt. 24 e ss. del predetto D.Lgs. n. 231/2001 non prevedono i reati fiscali tra le fattispecie in grado di giustificare l’adozione del provvedimento, con esclusione dell’ipotesi in cui la struttura aziendale costituisca un apparato fittizio utilizzato dal reo per commettere gli illeciti.
Secondo gli Ermellini permane quindi la responsabilità, in primis penale, del legale rappresentante o di chi ha agito per la persona giuridica, soggetto che può quindi essere colpito da sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente, per i reati tributari commessi dalla società.
Nel caso di specie il sequestro operato nei confronti del ricorrente è stato quindi ritenuto legittimo considerata anche la sentenza della Cassazione n. 7138/2011 secondo cui, in caso di reati commessi nell’interesse della persona giuridica, il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente sui beni della persona fisica non richiede, per la sua legittimità, la preventiva escussione del patrimonio dell’ente.
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