Analizzeremo gli «effetti» fiscali che derivano dalla commissione di frodi carosello. L’argomento si intreccia sia con la deducibilità dei costi da reato e della detraibilità dell’IVA, anche alla luce della nuova normativa.
FRODI CAROSELLO: il meccansmo
Il fenomeno delle frodi carosello si sviluppa con maggiore insidiosità nell’ambito delle operazioni intracomunitarie in cui la normativa
prevede l’effettuazione di acquisti senza l’addebito dell’IVA in capo all’acquirente, abusando, così, della non imponibilità IVA nelle transazioni intracomunitarie.
La casistica del meccanismo illecito è alquanto eterogenea e non è riconducibile a un sistema univoco.
Per cui ci limiteremo a riepilogare i «soggetti» ed i loro «ruoli» fondamentali nell’ambito del citato schema fraudolento:
– una società (A), cosiddetta «conduit company», con sede in uno Stato membro, esegue una fornitura di merci intracomunitaria (non imponibile) ad una «società fittizia» (B) con sede in Italia;
– la società (B), cosiddetto «missing trader», acquista le merci senza pagare l’IVA e poi effettua una fornitura nazionale (imponibile) ad una terza società (C), cosiddetto «broker» o «interponente».
La «società fittizia» (B) incassa l’IVA sulle vendite fatte al «broker», non versa l’imposta e scompare;
– il «broker» (C) provvede a richiedere il rimborso dell’IVA sugli acquisti effettuati presso (B).
Lo schema fraudolento può anche assumere forme più complesse, attraverso l’inserimento di un ulteriore soggetto, il cosiddetto «buffer», soggetto (D).
Quest’ultima è una figura non indispensabile per la frode, la quale assume il ruolo di «filtro», di «stabilizzatore», per effetto dell’interposizione tra la cartiera (B) e il «broker» (C).
ll «buffer», infatti, acquista le merci dalla cartiera e le rivende immediatamente all’interponente (C) emettendo regolare fattura ed adempiendo agli obblighi IVA.
L’interposizione del «buffer» (o anche di più società «filtro») consente di ostacolare la connessione diretta tra la società cartiera e l’effettivo cessionario della merce.
In sintesi, il danno erariale derivante dalla condotta fraudolenta è pari – considerando, per esemplificare, l’assenza di soggetti «buffer» – all’IVA pagata da (C) a (B).
Pertanto il centro del meccanismo fraudolento, pur nella diversità dei singoli casi di specie difficilmente riconducibili ad un unico «fac-simile», consiste nella presenza – nell’ambito dei vari passaggi solo cartolari certificanti le ripetute transazioni che precedono l’effettiva cessione al consumatore finale del bene – di soggetti passivi di imposta il cui esclusivo ruolo è quello di appropriarsi fraudolentemente dell’imposta di spettanza dello Stato di destinazione.
LA NOVELLA NORMATIVA DEL 2012 IN TEMA DI INDEDUCIBILITÀ DEI COSTI DA REATO
Il comma 1 dell’art. 8 del D.L. 2 marzo 2012, n. 16 ha introdotto importanti disposizioni sul tema della indeducibilità dei costi e delle spese dei beni o delle prestazioni di servizi direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo. In particolare, il legislatore è intervenuto sulla norma contenuta nel comma 4-bis dell’art. 14 della L. 24 dicembre 1993, n. 537.
La novellata norma ha la finalità di determinare e circoscrivere l’ambito della indeducibilità ai costi e alle spese di beni e servizi direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività che configurano condotte delittuose non colpose. Dalle modifiche introdotte dal D.L. 16/2012 si evince che nella determinazione dei redditi sono ammessi in deduzione i costi e le spese dei beni o delle prestazioni di servizio, a patto che:
– tali costi siano stati direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo;
– il pubblico ministero, in relazione a tali illeciti penali, abbia esercitato l’azione penale, ovvero, il giudice abbia emesso il decreto che dispone il giudizio ai sensi dell’art. 424 c.p.p., nonché sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell’art. 425 dello stesso Codice fondata sulla sussistenza della causa di estinzione del reato prevista dall’art. 157 c.p. (prescrizione).
In ogni caso, qualora, successivamente, intervenga una sentenza definitiva di assoluzione, ovvero una sentenza definitiva di non luogo a procedere fondata sulla sussistenza di motivi diversi dalla prescrizione, ovvero ancora una sentenza definitiva di non doversi procedere ai sensi dell’art. 529 c.p.p., compete il rimborso delle maggiori imposte versate in relazione alla non ammissibilità in deduzione prevista dal periodo precedente e dei relativi interessi.
Dall’analisi della norma, dunque, emergono due presupposti fondamentali per l’applicazione della norma:
– da un lato, taluni specifici requisiti «sostanziali» dei costi da reato, dall’altro lato, dei requisiti di carattere «procedurale» legati allo sviluppo del procedimento penale.
REQUISITI SOSTANZIALI
Il legislatore ha stabilito che siano indeducibili i costi e le spese direttamente utilizzati per la commissione dei soli delitti (non colposi), così escludendo l’indeducibilità per i costi direttamente utilizzati per la commissione di reati contravvenzionali.
Riprendendo l’esempio riportato nella Circ. n. 32/E del 3 agosto 2012 è possibile, dunque, contestare l’indeducibilità del costo relativo all’acquisto di merce di illecita provenienza (delitto di ricettazione previsto dall’art.648 del Codice penale), mentre nessuna contestazione in tema di indeducibilità del relativo costo può essere formulata per il reato di cui all’art. 712 del Codice penale per il reato contravvenzionale di acquisto di cose di sospetta provenienza, peraltro punito soltanto a titolo di colpa.
Ulteriore requisito sostanziale ai fini dell’indeducibilità è il «diretto utilizzo» dei costi illeciti.
In sintesi:
– non è sufficiente, per disconoscere la deducibilità, che i costi di beni e servizi siano semplicemente e genericamente relativi alla fattispecie penalmente rilevante;
– potrà essere considerato indeducibile il costo direttamente collegato all’attività illecita (in quanto ab origine destinato a porre in essere il reato stesso, ovvero inizialmente sostenuto per l’acquisizione di fattori produttivi funzionali allo svolgimento di una attività lecita).
REQUISITI PROCEDURALI
L’eventuale contestazione di indeducibilità può aver luogo solo dopo (alternativamente):
– l’esercizio dell’azione penale da parte del pubblico ministero. Il pubblico ministero deve, dunque, valutare gli elementi raccolti durante le indagini preliminari idonei a sostenere l’accusa in giudizio, non ritenendo, per converso, sussistenti i presupposti per una richiesta di archiviazione. Lo scopo perseguito del legislatore è, chiaramente, quello di garantire che l’attività di controllo fiscale abbia luogo sulla base di presupposti qualificati dal vaglio preventivo degli organi giudiziari;
– che il giudice abbia emesso il decreto che dispone il giudizio ai sensi dell’art. 424 c.p.p.;
– la sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell’art. 425 dello stesso Codice fondata sulla sussistenza della causa di estinzione del reato per intervenuta prescrizione. Tale previsione normativa deriva dal fatto che la sentenza pronunciata dal giudice penale per intervenuta prescrizione del reato non dichiara, nel merito, l’assoluzione dell’imputato in relazione al reato costituente il presupposto del recupero a tassazione dei connessi componenti negativi direttamente utilizzati per il compimento dell’attività delittuosa. In ogni caso, resta la possibilità per il contribuente di rinunciare alla prescrizione, al fine di ottenere una pronuncia di assoluzione nel merito, con conseguente rimborso di quanto versato.
GLI «EFFETTI FISCALI» NEL CASO DI FATTURE SOGGETTIVAMENTE INESISTENTI SECONDO LA CIRCOLARE N. 32/E DEL 3 AGOSTO 2012
Con specifico riferimento al tema delle fatture soggettivamente inesistenti la più volte citata Circ. n. 32/E del 3 agosto 2012 richiama espressamente la relazione illustrativa al decreto legge, secondo cui «l’indeducibilità non trova applicazione per i costi e le spese esposti in fattura o altri documenti aventi analogo rilievo probatorio che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi». Tale considerazione deriva dal nuovo dettato normativo che limita l’indeducibilità ai soli costi e spese «direttamente» utilizzati per il compimento dei delitti.
Ne consegue che:
– ai fini imposte dirette, i costi afferenti all’acquisizione di beni o servizi che, ancorché documentati da fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, non sono stati utilizzati per il compimento di alcun reato, sono deducibili. Rimangono, in ogni caso, fermi «i requisiti generali di deducibilità dei costi previsti dal testo unico delle imposte sui redditi, di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917». In altre parole, benché i costi rappresentati da fatture soggettivamente inesistenti non ricadano, di regola, nell’ambito di applicazione della disposizione in commento, la loro deducibilità resta subordinata all’esistenza dei requisiti di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità previsti dal testo unico delle imposte sui redditi;
– ai fini IVA, restano applicabili le regole generali in materia di detrazione della relativa imposta sul valore aggiunto di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, come chiarito nella stessa relazione illustrativa al decreto legge. Pertanto, con riferimento alle fatture passive soggettivamente inesistenti, resta ferma l’indetraibilità dell’imposta sul valore aggiunto ove il contribuente non dimostri la sua buona fede e, quindi, l’estraneità alla frode. Sullo specifico punto, del resto, appare pacifica l’elaborazione giurisprudenziale, secondo cui nell’ipotesi di operazioni soggettivamente inesistenti, il diritto alla detrazione dell’imposta versata in rivalsa al soggetto diverso dall’effettivo cedente/prestatore, che ha, tuttavia, emesso la fattura, non sorge immancabilmente, per il solo fatto dell’avvenuta corresponsione dell’imposta ivi formalmente indicata, ma richiede altresì, che il committente/cessionario fornisca sul proprio stato soggettivo in ordine all’altruità della fatturazione, riscontri precisi. In altre parole, il contribuente che invoca la detrazione non deve limitarsi a sostenere l’avvenuta consegna della merce e il pagamento della stessa, trattandosi di circostanze non decisive in rapporto alle peculiarità del meccanismo dell’IVA e dei relativi, possibili, abusi (Cass. n. 1950/2007). Sotto il profilo probatorio, in presenza di elementi probatori forniti dall’Ufficio finanziario a sostegno della propria tesi, è onere del contribuente dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni, tenendo presente che, in caso di contestazione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, non rileva la presenza di documenti contabili formalmente regolari o l’effettività delle transazioni.
RECENTI ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI «POST MODIFICA»
Di seguito analizeremo sole le sentenze – di merito e di legittimità – successive all’entrata in vigore del nuovo comma 4-bis dell’art. 14 della L. 24 dicembre 1993, n. 537.
La sentenza n. 133/67/2012 del 18 giugno 2012 della Commissione Tributaria Regionale di Milano.
L’Agenzia delle Entrate emetteva nei confronti della società ALFA un avviso di accertamento ai fini imposte sui redditi e IVA a seguito della contabilizzazione di fatture ritenute per «operazioni soggettivamente inesistenti» emesse da società «cartiere» fittiziamente interposte nelle operazioni di compravendita di autoveicoli in ambito intracomunitario.
Da qui l’emergere del contenzioso, fino all’arrivo in Commissione Tributaria Regionale, la quale rileva che il novellato art. 14 comma 4-bis della legge n. 537 del 1993 ha ristretto l’area di indeducibilità dei «costi da reato» ai soli costi «direttamente utilizzati» per il compimento di atti qualificabili come delitto non colposo, ed alla condizione che per tale fattispecie il pubblico ministero abbia esercitato l’azione penale.
Più precisamente, i giudici della Commissione Tributaria Regionale evidenziano che «secondo la Relazione di accompagnamento al D.L., la disposizione in commento ha lo specifico l’effetto di escludere l’indeducibilità di costi esposti in fatture che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi, (…) salvo aggiungere, cripticamente, che «ove del caso» l’indeducibilità dei costi documentati da fatture soggettivamente false può comunque discendere dalla applicabilità di altre disposizioni normative “inerenti i requisiti generali di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinabilità” con evidente richiamo ai requisiti previsti per i componenti negativi o positivi del reddito di impresa dall’art. 109, comma 1, D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917».
Nel caso in esame, i giudici ritengono che la società ALFA abbia indubbiamente effettuato le vendite delle autovetture che sono state realmente acquistate da terzi venditori, anche se diversi dagli apparenti fornitori. Ne consegue che i costi «ancorché documentati con
fatture soggettivamente false, sono deducibili in applicazione retroattiva della normativa sopravvenuta».
Diverse le conclusioni, invece, con riferimento all’IVA:
«la mera dichiarazione di estraneità non costituisce assolvimento dell’onere del contribuente di dimostrare la propria buona fede. In tema di IVA relativa ad operazioni soggettivamente inesistenti, il cessionario, al quale sia contestata la detrazione dell’IVA, versata in rivalsa al soggetto, diverso dal cedente, che tuttavia ha emesso la fattura, ha il diritto di detrarre l’imposta soltanto se provi, non solo la mancanza di conoscenza, ma anche la mancanza di conoscibilità della operazione fraudolenta pur facendo uso della ordinaria diligenza esigile dall’imprenditore nello svolgimento della propria attività commerciali».
Commissione Tributaria Regionale di Roma Sentenza n. 164 del 29 ottobre 2012 (ud. 11 luglio 2012)
Nel caso di specie relativa ad una società che – pur avendo commissionato, a parere dell’Ufficio, materiale pubblicitario alla società B – ha ricevuto fattura dalla società A. Pertanto l’Amministrazione finanziaria disconosceva la deduzione dei relativi costi dal reddito e la detrazione dell’IVA sulle fatture di acquisto. Secondo i giudici di merito, nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti, si è in presenza di operazioni realmente effettuate.
Conseguentemente, «il requisito indispensabile sufficiente per la deducibilità del costo è l’esistenza, sotto un profilo oggettivo, della operazione di cessione dei beni o prestazione di servizi documentati dalla fattura, essendo a tal fine del tutto irrilevante che la prestazione sia fornita da soggetto diverso da quello che ha messo la relativa fattura». E ancora: «alla luce di quanto sopra è evidente la legittimità del comportamento fiscale della società e la sussistenza del diritto alle deduzioni e alle detrazioni fiscali operate sulla base di fatture relative ad operazioni realmente effettuate».
Ai fini IVA il destinatario non ha il diritto di detrarre l’IVA solo nel caso in cui abbia partecipato alla frode, ovvero ne sia stato consapevole. Sul punto la sentenza in rassegna richiama la posizione della Corte di Giustizia (Sent. n. C-484/2003) secondo cui il diritto alla detrazione non è pregiudicato dal fatto che, nella catena delle cessioni in cui si iscrivano tali operazioni, senza che il medesimo soggetto passivo lo sappia o lo possa sapere, un’altra operazione, precedente o successiva a quella realizzata da quest’ultimo, sia viziata da frode all’IVA.
Sent. n. 10167 del 20 giugno 2012 (ud. 13 marzo 2012) della Cassazione Civile, Sez. V La Cassazione pone l’accento sull’art. 14, comma 4-bis della legge n. 537/1993 e, in particolare, sulla necessità di «tener conto della modifica apportata alla predetta disposizione con il D.L. 2 marzo 2012, n. 16, art. 8, comma 1».
Secondo i giudici di legittimità la relazione al disegno di legge di conversione del decreto all’esame del Parlamento spiega, chiaramente, lo scopo della norma, ossia «inibire in modo inequivoco la deducibilità dei componenti negativi di reddito direttamente connessi al compimento delle fattispecie di reato più gravi, evitando che tale indeducibilità possa essere letta come una sanzione impropria, venendo invece la stessa inquadrata come regola generale nell’ambito della determinazione del reddito imponibile».
Conseguentemente, ai soggetti terzi coinvolti nelle frodi carosello non è più contestabile, alla luce della nuova norma, la deducibilità dei costi, in quanto i beni acquistati non vengono utilizzati direttamente per commettere il reato ma, nella maggior parte dei casi,
per essere commercializzati, venduti.
Per cui, non è più sufficiente il coinvolgimento (anche consapevole) dell’acquirente in operazioni che siano fatturate da soggetto diverso dall’effettivo venditore perché non siano deducibili, ai fini delle imposte sui redditi, i costi relativi alle predette operazioni.
Corte di Cassazione Ordinanza n. 3258 dell’11 febbraio 2013
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 3258 dell’11 febbraio 2013 ha chiarito che, sebbene, ai fini IVA, il cessionario di un bene coinvolto in una frode carosello (qualora il Fisco dimostri la sua consapevole partecipazione alla frode, oppure il non aver adottato l’ordinaria diligenza nei rapporti con i fornitori) perda il diritto alla detrazione del tributo, con riferimento alle imposte dirette, è possibile portare in deduzione i costi effettivamente sostenuti per l’acquisto dei beni medesimi.
Tale tesi viene sostenuta dai giudici di legittimità proprio «alla luce delle disposizioni di cui all’art. 8, D.L. 2 marzo 2012, n. 16, convertito in legge n. 44/2012, in vigore dal 29 aprile 2012».
Più nel dettaglio, viene osservato che il comma 1 dell’art. 8 del citato decreto ha modificato l’art. 14, comma 4-bis della legge n. 537/1993 in tema di indeducibilità dei costi da reato; l’attuale formulazione normativa disconosce la deduzione dei soli costi «direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo per il quale il pubblico ministero
abbia esercitato l’azione penale».
Nella sentenza si sottolinea, espressamente, che «ai soggetti terzi coinvolti nelle frodi carosello non è più contestabile, alla luce della nuova norma, la deducibilità dei costi, in quanto i beni acquistati non sono stati utilizzati direttamente per commettere il reato
ma, nella maggior parte dei casi, per essere commercializzati, venduti. Sicché non è più sufficiente il coinvolgimelo (anche consapevole) dell’acquirente in operazioni che siano fatturate da soggetto diverso dall’effettivo venditore perché non siano deducibili, ai fini delle imposte sui redditi, i costi relative alle predette operazioni».
L’attuale formulazione normativa, dunque, ha sensibilmente ridotto l’area di indeducibilità dei costi ai fini delle II.DD. (e dell’IRAP), a patto che, ovviamente, trattasi di costi comunque sostenuti e inerenti all’attività svolta; sullo specifico punto, la Corte, infatti, opportunamente rileva che «resta comunque aperto il problema della concreta deducibilità dei costi in relazione ai principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità».
Corte di Cassazione sentenza n. 12503 del 22 maggio 2013
Nella sentenza in esame gli Ermellini hanno affrontato un tipico esempio di «frode carosello». In particolare la società ALFA costituiva il tradizionale soggetto interposto, quale parte «fittizia» nelle fatture riguardanti il disegno criminoso, non essendo l’effettivo cedente
o cessionario (a seconda dei casi) delle operazioni oggetto di fatturazione.
L’Amministrazione finanziaria ha disconosciuto la deducibilità dei costi afferenti alle fatture per operazioni inesistenti, contestando, altresì, l’indetraibilità dell’IVA. I giudici di legittimità, proprio ricordando la nuova disciplina dei costi da reato (art. 14, comma 4-
bis della legge n. 537/1993), hanno evidenziato che tale novella normativa prevede l’indeducibilità dei costi relativi a beni o servizi «direttamente utilizzati» per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l’azione penale.
Pertanto, in perfetta linea di continuità con la giurisprudenza sopra richiamata, la Suprema Corte osserva che l’indeducibilità non opera per i costi esposti in fatture riferibili ad operazioni compiute da soggetti diversi rispetto a quelli indicati nel documento.
In ogni caso, la deducibilità di tali costi rimane pur sempre condizionata alla sussistenza dei requisiti generali previsti dal T.U.I.R. di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità dei componenti negativi di reddito.
Sul fronte delle imposte dirette, spetta, dunque, all’Ufficio che contesta la deduzione dei costi fornire gli elementi presuntivi idonei a suffragare l’ipotesi di operazioni soggettivamente inesistenti.
D’altra parte è onere del contribuente dimostrare di non aver avuto consapevolezza della frode in cui è incorso, trattandosi di condizione necessaria ai fini della deduzione del costo, secondo il principio generale per cui l’onere probatorio afferente ai componenti negativi di reddito grava sul contribuente.
In conclusione, nel caso di costi relativi a fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, da un lato il Fisco non può più contestarne la deducibilità in virtù della nuova disciplina dei costi da reato, dall’altro lato è possibile, comunque, disconoscerne la deduzione qualora non risultino integrati, nei termini sopra esposti, i requisiti generali previsti a tal fine dal T.U.I.R.
SINTESI
Le sentenze emesse successivamente alla modifica della normativa in materia di costi da reato, confermano un quadro giurisprudenziale armonico e coerente.
Risulta ormai ben delineata la tesi secondo cui – avendo il novellato art. 14 comma 4-bis della legge n. 537/1993 ristretto l’area di indeducibilità dei «costi da reato» ai soli costi «direttamente utilizzati» per il compimento di atti qualificabili come delitto non colposo
– i costi sostenuti per il compimento di frodi carosello possono essere riconosciuti in deduzione ai fini delle imposte sui redditi.
Restano, in ogni caso, necessari i requisiti generali di deducibilità previsti dal testo unico delle imposte sui redditi; benché i costi rappresentati da fatture soggettivamente inesistenti non ricadano, di regola, nell’ambito di applicazione della disposizione in commento, la loro deducibilità, infatti, è subordinata all’esistenza dei requisiti di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità.
D’altra parte, invece, ai fini IVA occorre applicare le regole generali in materia di detrazione della relativa imposta sul valore aggiunto.
Conseguentemente, con riferimento alle fatture passive soggettivamente inesistenti, resta ferma l’indetraibilità dell’imposta sul valore aggiunto ove il contribuente non dimostri la sua buona fede e quindi l’estraneità alla frode.
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