CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 dicembre 2019, n. 32587
IRPEG, IRPEF, IRAP – Accertambneto fiscale – Frode carosello
Rilevato che
1. La Commissione tributaria regionale della Campania rigettava l’appello proposto dalla T. s.r.l. avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Napoli, che aveva rigettato il ricorso proposto dalla contribuente, che aveva impugnato l’avviso di accertamento emesso dalla Agenzia delle entrate, per l’anno 2003, ai fini Irpeg ed Irap, determinando minori componenti negativi, a seguito della partecipazione della società ad una “frode carosello”, costituita dalla D.C. di C.S. s.a.s., la quale aveva svolto la funzione di cartiera, con vendita dei prodotti alla T. s.r.l. e con emissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti. Pertanto, non era stata riconosciuta la deducibilità di costi per € 177.340,53, ai fini Irpeg, e la non detraibilità della somma di € 35.468,11 ai fini Iva, con determinazione della maggiore imposta di € 229.675,56.
Per il giudice di appello era evidente che la D.C. di C.S. era una società cartiera, la quale, anche se dotata di partita Iva, era esistita solo per il profilo formale, essendo risultata priva di mezzi e di struttura amministrativa ed aziendale, con emissione nei confronti di terzi e della T. s.r.l. di documentazione attestante la fornitura di beni, con omissione sistematica del versamento dell’Iva all’Erario. Trattavasi di operazioni soggettivamente esistenti, sicchè non era controversa l’effettività dei pagamenti e della consegna delle merci. In particolare, la T. era stata complice della frode, come si desumeva dai maggiori costi di forniture meno frequenti, dai pagamenti in contanti di circa € 10.000,00, con prezzi inferiori a quelli di mercato. Tuttavia, non poteva essere applicato il disposto dell’art. 14 comma 4 bis, come modificato dal d.l. 16/2012, in quanto erano indeducibili i costi “direttamente utilizzati per il compimento di attività qualificabili come delitto non colposo”, per il quale il pubblico ministero aveva esercitato l’azione penale. Infatti, non poteva escludersi la possibilità di contestazione a tutti i soggetti partecipi della frode carosello del delitto di associazione a delinquere, finalizzata alla frode ai danni dell’Erario, in quanto in tal caso il delitto comune si aggiunge a quello tributario. Tra l’altro si trattava di costi relativi ad operazioni strumentali all’esercizio di attività delittuosa. Non era contestato che erta stata esercitata l’azione penale da parte del pubblico ministero. Quanto all’Iva, la T. s.r.l. era stata complice della frode.
2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la società.
3. Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.
Considerato che
1. Con il primo motivo di impugnazione la T. s.r.l. deduce “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 8 legge 44/2012”, in quanto con il d.l. 16/2012, convertito in legge 44/2012, è stato modificato il regime fiscale sulla deducibilità dei costi per fatture emesse per operazioni soggettivamente inesistenti. Poichè i beni acquistati non sono stati utilizzati “direttamente” per commettere il reato, ma per essere commercializzati, non è più sufficiente, per escludere la deducibilità dei costi il coinvolgimento, anche consapevole, dell’acquirente in operazioni fatturate da soggetto diverso dall’effettivo venditore. Il giudice di appello ha ammesso che si era in presenza di fatture emesse per operazioni soggettivamente inesistenti, “ragion per cui l’effettività dei pagamento e delle consegne non è un fatto controverso”.
1.1. Il motivo è fondato.
1.2. Invero, l’art. 14 comma 4 della legge 24-12-1993, n. 537 ha chiarito, dopo iniziali incertezze giurisprudenziali sul punto, che i proventi da attività illecita dovevano essere assoggettati a tassazione.
Infatti, per questa Corte, a Sezioni unite (Cass. Pen. sez.un., 7 marzo 1994, n. 2798), i proventi del reato non costituiscono “reddito”, sicché le norme che al “reddito” o ai “redditi” collegano il prelievo fiscale non sono ad essi applicabili. Tuttavia quando si tratti di cose ricomprese nell’ambito di operatività dell’istituto della confisca facoltativa, le stesse, qualora la confisca non sia disposta o perché il giudice si è avvalso del potere discrezionale spettantegli al riguardo ovvero per l’esistenza di un divieto posto dalla legge (come accade nell’ipotesi di patteggiamento), perdono il carattere di illiceità ed in quel momento diventano ricchezza lecita aggredibile dal fisco, con le conseguenti implicazioni, quali, ad esempio, la necessità di dichiararla e di rispettare le disposizioni sulla “trasparenza”, previste dal comma sesto dell’art. 1 del D.L. n. 429 del 1982, convertito in legge n. 516 del 1982.
Con l’art. 14 comma 4 della legge 24-12-1993, n. 537 si è previsto che “nelle categorie di reddito di cui all’articolo sei, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi,…. devono intendersi ricompresi, se in esse classificabili, i proventi derivanti da fatti, atti o attività qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo se non già sottoposti a sequestro o confisca penale”.
Successivamente, sempre con riguardo ai proventi da attività illecita, si è chiarito che gli stessi sono, comunque, considerati “redditi diversi”. Sul punto l’art. 36 comma 34 bis del d.l. 223/2006, ha stabilito che “in deroga all’articolo tre della legge 27 luglio 2000, n. 212, la disposizione di cui al comma 4 dell’articolo 14 della legge 24 dicembre 1993, n. 537, si interpreta nel senso che i proventi illeciti ivi indicati, qualora non siano classificabili nelle categorie di reddito di cui all’articolo 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi… sono comunque considerati come redditi diversi”.
1.3. In relazione, poi, alla deducibilità dei costi da attività illecita, l’art. 2 comma 8 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 ha inserito il comma 4 bis dopo il comma 4 della legge 537/1993, in base al quale “nella determinazione dei redditi di cui all’articolo 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi,…. non sono ammessi in deduzione i costi o le spese riconducibili a fatti, atti o attività qualificabili come reato, fatto salvo l’esercizio di diritti costituzionalmente riconosciuti”. Pertanto, con la legge 289/2002 si è prevista la non deducibilità di costi o spese riconducibili a “reati”.
1.4. L’art. 8 del d.l. 16 del 2012, sostituendo il comma 4 bis della legge 537/1993, ha, invece reso possibile, a determinate condizioni, la deducibilità di costi collegati a reati, con esclusione però dei costi e delle spese “direttamente utilizzati” per il compimento di attività qualificabili come delitto non colposo per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l’azione penale. In particolare, il nuovo art. 14 comma 4 bis legge 537/1993, dopo il d.l. 16/2012, prevede che “nella determinazione dei redditi di cui all’articolo 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi…. non sono ammessi in deduzione i costi e le spese dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l’azione penale o, comunque, qualora il giudice abbia emesso il decreto che dispone il giudizio ai sensi dell’articolo 424 del codice di procedura penale ovvero sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell’articolo 425 dello stesso codice fondata sulla sussistenza della causa di estinzione del reato prevista dall’articolo 157 del codice penale. Qualora intervenga una sentenza definitiva di assoluzione ai sensi dell’articolo 530 del codice di procedura penale ovvero una sentenza definitiva di non luogo a procedere ai sensi dell’articolo 425 dello stesso codice fondata sulla sussistenza i di motivi diversi dalla causa di estinzione indicata nel periodo precedente, ovvero una sentenza definitiva di non doversi procedere ai sensi dell’articolo 529 del codice di procedura penale, compete il rimborso delle maggiori imposte versate in relazione alla non ammissibilità in deduzione prevista dal periodo precedente e dei relativi interessi”.
Al comma 2 dell’art. 8 del d.l. 16/2012 si prevede che “ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica i componenti positivi direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati, entro i limiti dell’ammontare non ammesso in deduzione delle predette spese e/o altri componenti negativi”.
Sul punto, per questa Corte, in tema di imposte sui redditi, e con riguardo ad operazioni oggettivamente inesistenti, grava sul contribuente l’onere di provare la fittizietà di componenti positivi che, ai sensi dell’art. 8, secondo comma, del d.l. 2 marzo 2012, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44,, ove direttamente afferenti a spese o ad altri componenti negativi relativi a beni e servizi non effettivamente scambiati o prestati, non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica, entro i limiti dell’ammontare non ammesso in deduzione delle predette spese o altri componenti negativi (Cass., 20 novembre 2013, n. 25967).
Il comma 3 dell’art. 8 del d.l. 16/2012, poi, detta la disciplina transitoria, con effetto retroattivo delle norme se più favorevoli al contribuente (” le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 si applicano, in luogo di quanto disposto dal comma 4 bis dell’articolo 14 della legge 24 dicembre 1993, n. 537, previgente, anche per fatti, atti o attività posti in essere prima dell’entrata in vigore degli stessi commi 1 e 2, ove più favorevoli, tenuto conto anche degli effetti in termini di imposte o maggiori imposte dovute, salvo che provvedimenti emessi in base al citato comma 4 bis previgente non si siano resi definitivi”), con rilievo anche d’ufficio da parte del giudice (Cass., 661/2014; Cass., 26461/2014; Cass., 19617/2018).
1.5. Pertanto, l’indeducibilità sostanziale dei costi opera solo per i costi inerenti l’acquisto di beni e servizi direttamente utilizzati per la commissione di delitti non colposi; sicchè non è sufficiente per escludere la deducibilità dei costi che gli stessi afferiscano genericamente alla commissione del reato doloso, ma è necessario che siano stati sopportati per acquisire beni direttamente utilizzati per la commissione di reati dolosi.
L’art. 8, comma 1, del d.l. 16/2012 non concerne i costi relativi ad operazioni in tutto o in parte inesistenti, mentre trova applicazione per i costi relativi a fatture soggettivamente inesistenti, in quanto in tale seconda ipotesi il costo riportato in fattura è effettivo e , di regola, non è utilizzato per la commissione di alcun reato.
1.6. Pertanto, per questa Corte, a norma dell’art. 14, comma 4-bis, della l. n. 537 del 1993, nella formulazione introdotta dall’art. 8, comma 1, del d.l. n. 16 del 2012 (conv. in l. n. 44 del 2012), poiché nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti i beni acquistati non sono stati utilizzati direttamente “al fine di commettere il reato”, bensì per essere commercializzati, non è sufficiente il coinvolgimento, anche consapevole, dell’acquirente in operazioni fatturate da un soggetto diverso dall’effettivo venditore per escludere la deducibilità, ai fini delle imposte dirette, dei costi relativi a siffatte operazioni anche ove ricorrano i presupposti di cui all’art. 109 del d.P.R. n. 917 del 1986 (Cass., 30 ottobre 2018, n. 27566; Cass., 24426/2013; Cass. 13803/2014; Cass. 10167/2012; Cass. 12503/2013; Cass. 25249/2016; Cass. 16528/2018).
Ne consegue, dunque, che ai soggetti coinvolti nelle frodi carosello non è più contestabile, in relazione alla novella, la deducibilità dei costi, in quanto i beni acquistati non sono stati utilizzati direttamente “al fine di commettere il reato”, ma, salvo prova contraria, per essere commercializzati e venduti (Cass., 27566/2018).
Pertanto, nel caso in esame, poiché è pacifico che le operazioni sono state effettivamente compiute, sicchè non ricorre l’ipotesi delle operazioni oggettivamente inesistenti, risulta del tutto irrilevante, limitatamente ai fini delle imposte dirette, l’accertamento della consapevolezza o meno della frode da parte della T. s.r.l..
1.7. Nella specie, invero, il giudice di appello dopo aver ritenuto applicabile alla fattispecie l’art. 8 del d.l. 16/2012, indicando le specifiche novità, rappresentate dal riferimento, ai fini della indeducibilità, al delitto non colposo (e non più al reato), dal collegamento causale tra i costi sostenuti e la finalizzazione al compimento di reati, dalla necessità, sotto il profilo processuale, dell’esercizio dell’azione penale da parte del pubblico ministero, ha aggiunto che “non può certo escludersi la possibilità in siffatte fattispecie della contestazione a tutti i soggetti, ad esempio, del delitto di associazione per delinquere (art. 416 c.p.), finalizzata alla frode ai danni dell’erario, e questo perchè tale delitto comune si aggiunge a quello tributario.. .pertanto se un contribuente …si inserisce in una filiera di acquisti-vendite, a conclusione della quale avviene la sottrazione dell’Iva all’Erario, la disposizione dell’art. 4 bis cit. ben può continuare ad applicarsi”. Inoltre, il giudice di appello ha anche aggiunto che “è sufficiente osservare che non risulta controverso che sia già intervenuto l’esercizio dell’azione penale (evidentemente in conseguenza proprio del PVC di cui è causa)”.
1.8. Il motivo di ricorso, che si profila al limite della autosufficienza, con una scarna esposizione dei fatti di causa, incentra le sue critiche proprio sulla mancata applicazione dell’art. 14 comma 4 bis, come modificato dal d.l. 16/2012, in quanto il giudice di appello ha escluso che si trattasse di operazioni oggettivamente inesistenti, sicchè, in presenza di operazioni solo soggettivamente inesistenti, in cui i pagamenti sono stati effettivi come le consegne, trova applicazione il principio della deducibilità dei costi limitatamente ai fini delle imposte dirette.
Il costo esposto in fatture, dunque, secondo la ricorrente, “non rappresenta l’onere sostenuto per porre in essere la frode”, né tali costi sono in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinabilità, in quanto non v’è stata contestazione sul punto da parte della Agenzia delle entrate.
La Commissione regionale non ha indicato in alcun modo la sussistenza effettiva di una indagine per il reato di associazione a delinquere, con il conseguente esercizio dell’azione penale da parte del pubblico ministero con riferimento specifico a tale imputazione.
2. La sentenza impugnata, che attiene alle imposte dirette del 2003, deve, quindi, essere cassata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, che si dovrà attenere al seguente principio di diritto : “In tema di imposte sui redditi e di Irap ai sensi dell’art. 14 comma 4 bis della legge 24 dicembre 1993, n. 537, come modificato dall’art. 8 del d.l. 16/2012, convertito in legge 44/2012, con efficacia retroattiva in bonam partem, sono deducibili i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti – inseriti o meno in una frode carosello – per il solo fatto che siano stati sostenuti, anche nell’ipotesi in cui l’acquirente sia consapevole del carattere fraudolento delle operazioni, salvo che si tratti di costi in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza e determinabilità oppure di costi relativi a beni o servizi direttamente utilizzati per il compimento di un delitto non colposo”, e che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.