CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 27165 depositata il 4 luglio 2016
LAVORO – SICUREZZA SUL LAVORO – MISURE DI SICUREZZA – INFORTUNIO MORTALE – COORDINATORE PER L’ESECUZIONE DEI LAVORI – RESPONSABILITA’
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d’Appello di Firenze, con sentenza del 29.1.2015, in parziale riforma della sentenza del GUP del Tribunale di Firenze del 9.3.2010, appellata da B.B., concesse all’imputata le circostanze attenuanti generiche ritenute equivalenti all’aggravante ex art. 589 co. 2 cod. pen. contestatale, rideterminava la pena in anni uno e mesi due di reclusione, revocando le statuizioni civili e confermando la sentenza appellata nel resto.
Il G.U.P. fiorentino aveva dichiarato in primo grado, all’esito di giudizio abbreviato, B.B. colpevole del reato di omicidio colposo plurimo a lei ascritto in rubrica e l’aveva condannata, con la diminuente del rito, alla pena di due anni di reclusione, pena della quale aveva disposto la sospensione condizionale. Erano anche state disposte le statuizioni civili, come indicate in sentenza.
L’imputazione vedeva la B.B. rinviata a giudizio per rispondere del delitto di cui agli artt. 113, 41 e 589 I, II, III e IV comma in rel. all’art. 590 III comma C.P., perché, nel corso dei lavori per la realizzazione del lotto 13 della variante di valico della autostrada A1 Firenze-Bologna -Tratto toscano, appaltati dalla società autostrade alla s.p.a. T. Costruzioni generali ed in particolare durante l’esecuzione dei lavori di elevazione della pila n.6 del viadotto Lora nel Cantiere PC 13, più specificamente durante la fase di ancoraggio di una passerella al VI concio della pila con utilizzazione del sistema di ripresa CB240 “P.”, consistente nell’utilizzazione di otto passerelle esterne prive di passerella inferiore atte a sostenere il peso dei lavoratori e delle casseforme necessarie per l’innalzamento delle pareti esterne dei conci della pila e di casseforme non solidali (non collegate direttamente alla struttura delle passerelle), agganciate ciascuna al calcestruzzo della pila mediante due dispositivi di ancoraggio costituiti da una piastra filettata DW15 e da un cono M24/DW15 da fissare sul pannello di rivestimento della cassaforma prima del getto di calcestruzzo tra cassaforma esterna ed interna, da un tirante (o barra) “dyvidag” DW15, di misura predeterminata, da inserire, avvitandolo manualmente e mediante impiego di un tubo distanziale, nel cono – dotato al suo interno di una spina di battuta a contrasto, tale da limitare l’inserimento della barra – e da bloccare manualmente, per collegare, mediante la sua filettatura, piastra e cono, nonché da un rocchetto 15 e da una vite di sostegno M24 per 120 da installare successivamente e da avvitare sul cono per l’ancoraggio della passerella:
– B.B., coordinatrice per l’esecuzione del lavori, in violazione dell’art. 92 I comma lett. a) d.lgs. 81/08, non verificando, durante la realizzazione della pila dei viadotto Lora, con opportune azioni di coordinamento e controllo, l’applicazione, da parte dell’impresa appaltatrice e dei lavoratori autonomi, delle disposizioni loro pertinenti contenute nel piano di sicurezza e coordinamento di cui all’art. 100 e la corretta applicazione delle procedure di lavoro, in particolare non controllando l’effettiva realizzazione degli obblighi informativi e formativi da parte del datore di lavoro nei confronti dei lavoratori che componevano la squadra addetta alla costruzione della pila; per colpa, consistita in imprudenza, negligenza ed imperizia nonché nell’inosservanza delle disposizioni di legge per ciascuno richiamate, cagionavano la morte di R.C., G.M. e G.C. che decedevano per gravissimo trauma polifratturativo polidistrettuale dopo essere precipitati nel vuoto da un’altezza di circa 40 metri a seguito dello sganciamento della pedana sulla quale si trovavano, causato dall’errato montaggio del sistema di ancoraggio, effettuato utilizzando, per il serraggio nel cono, una vite di dimensioni inferiori, sia di lunghezza che di diametro, a quelle prescritte e ciò in quanto la barra dyvydag era penetrata per circa 3,5 cm. Oltre la spina di battuta di cui il cono avrebbe dovuto essere provvisto e di cui invece era privo, verosimilmente a causa di usura o di rottura determinata dall’errato impiego di chiavi o di attrezzi analoghi per il serraggio del sistema, tali da esercitare una forza di intensità suP.ore a quella consentita e necessaria e cagionavano altresì a G.LP., che rimaneva in bilico sulla pedana attigua a quella ceduta, lesioni personali consistite in disturbo da stress postraumatico dalle quali derivava una malattia giudicata guaribile in un periodo suP.ore a tre mesi. In Barberino di Mugello il 2 ottobre 2008.
2. L’infortunio per cui è processo si era verificato nel corso dei lavori per la realizzazione del lotto 13 della variante di valico della autostrada A1 Firenze – Bologna, lavori appaltati dalla società Autostrade alla s.p.a. T. Costruzioni Generali. Come esattamente descritto nell’imputazione, nel corso dei lavori di elevazione di una pila del viadotto ’Lora’, si verificava un cedimento durante la fase di ancoraggio di una passerella al sesto concio della pila, ancoraggio effettuato mediante l’utilizzazione del sistema di ripresa CB240 “P.”.
Il ‘sistema di ripresa’ (fornito alla ‘T.’ dall’impresa ‘P.’), consisteva nell’utilizzazione di otto passerelle esterne agganciate ciascuna al calcestruzzo della pila mediante due dispositivi di ancoraggio costituiti da una piastra filettata DW15 e da un cono M24/DW15 da fissare sul pannello di rivestimento della cassaforma prima del getto di calcestruzzo tra cassaforma esterna ed interna, da un tirante (o barra) “dyvidag” DW15, di misura predeterminata, da inserire nel cono – dotato al suo interno di una spina di battuta a contrasto, tale da limitare l’inserimento della barra – e da bloccare manualmente, per collegare, mediante la sua filettatura, piastra e cono, nonché da un rocchetto 15 e da una vite di sostegno M24 per 120 da installare successivamente e da avvitare sul cono per l’ancoraggio della passerella.
Il cedimento di uno dei punti di ancoraggio della passerella sulla quale si trovavano gli operai causava la tragica caduta al suolo ed il decesso di G.M., R.C. e G.C..
I primi due erano dipendenti della T. Costruzioni Generali S.p.A., mentre G.C. era dipendente della M.S. Manutenzione Strade s.r.l. e distaccato presso la A. s.r.l.. Quest’ultima era titolare di un contratto di subappalto con la T. S.p.A..
3. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, B.B.,, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen..
a. Con un primo motivo si deduce nullità della sentenza impugnata e di quella di primo grado per violazione del principio di immutazione del fatto in sede di giudizio abbreviato e del principio di correlazione tra le imputazioni contestate la sentenza (articoli 423,4 141,5 121,522 cod. proc. pen.).
Ci si duole che, al pari del tribunale, anche la corte di appello non si sarebbe limitata ad una diversa qualificazione giuridica del fatto di reato contestato dal pubblico ministero, ma avrebbe operato una vera e propria mutatio libelli, risoltasi nella contestazione di fatti diversi, associati a profili di condotta (e di colpa) omissiva dell’imputata in relazione ai quali non solo la contestazione penale non è mai avvenuta, ma la difesa non ha potuto concretamente ed effettivamente esplicarsi. Non solo la fisionomia della condotta sarebbe il frutto di una alterazione rispetto al perimetro del capo di imputazione, ma gli ulteriori profili di colpa rivelerebbero l’evidente eterogeneità tra i fatti descritti nell’imputazione quelli ritenuti in decisione.
Il difensore ricorrente, ricordato l’insegnamento secondo cui nei procedimenti per reati colposi la sostituzione o l’aggiunta di un particolare profilo di colpa, sia pure specifica, al profilo di colpa originariamente contestato, non vale a realizzare diversità o imputazione del fatto ai fini della disabilità, in carenza di valida contestazione, nel difetto di correlazione tra imputazione in sentenza, lamenta che nel caso di specie la contestazione penale originaria non riguardasse plurimi profili di colpa, ma solo la violazione dell’articolo 92 comma 1 lettera A del d.lgs. 81/2008.
Si evidenzia -e si allega il provvedimento giudiziario conclusosi con non luogo a procedere per l’estinzione del reato per morte del reo- che una delle condotte diverse rispetto alla contestazione penale elevata all’odierna ricorrente, e precisamente quella di cui all’articolo 92 lett. b) del sopra citato decreto legislativo 81/2008 era stata contestata all’altro imputato (P.L.), quanto meno quella condotta non poteva, dopo il decesso del coimputato, rifluire in quella contestata al B.B..
Ancora, ci si duole che la Corte territoriale abbia ritenuto che l’odierna ricorrente, dal momento del subentro al precedente coordinatore per l’esecuzione P.L., sia con ciò subentrata nella posizione di garanzia di quello (il riferimento è a pag. 18 della sentenza di appello).
Con una serie di richiami alla motivazione del provvedimento impugnato il difensore ricorrente evidenzia come tutta una serie di comportamenti per i quali è intervenuta condanna sarebbero riconducibili alla norma contestata al P.L., poi deceduto, e mai contestata alla B.B..
Ragionando al contrario -ci si domanda in ricorso- se il P.L. non fosse deceduto, come sarebbe stato possibile, in regime di giudizio abbreviato incondizionato, condannare la B.B. per una condotta imputata ad altri, se non modificando l’imputazione originaria alla stessa riferibile, ovvero procedendo ad una contestazione suppletiva?
Il difensore ricorrente lamenta che si incorrerebbe in una fictio iuris se si volesse ritenere che in una materia specialistica come quella prevenzionistica, nella quale di regola il contenuto della colpa è normativamente esplicato dal legislatore secondo la logica della parcellizzazione precettiva delle condotte punibili, si possa far riferimento sempre e comunque al concetto di colpa “globalmente considerata”.
Al contrario, si evidenzia essere frequente l’ipotesi che il mutamento o l’aggiunta di un profilo di colpa influisca significativamente sull’impostazione della difesa, sia avuto riguardo, ad esempio, alla problematica relativa al cosiddetto obbligo di presenza del CSE in cantiere, spesso affrontata dalla giurisprudenza (si richiamano le pronunce di questa sez. 4, 19 gennaio 2005, n. 1238, Storino ed altri e 13 gennaio 2015 n. 1300 Martucci) sia avuto riguardo all’Incidenza della colpa sul decorso del nesso causale e al condizionamento argomentativo che essa implica ai fini dello svolgimento del giudizio controfattuale.
Stante la diversità, l’autonomia e l’alternatività logico concettuale delle condotte previste dall’articolo 92 del decreto legislativo 81/2008, ci si duole che l’imputazione riferibile all’odierna ricorrente avrebbe dovuto contenere l’indicazione della condotta omissiva specifica, intesa come specifica regola che l’imputata avrebbe dovuto seguire e che invece non ha rispettato. Ciò -si afferma- vale a maggior ragione in sede di giudizio abbreviato incondizionato (sul tema si segnala la recente sez. 3, 2 febbraio 2015 n. 4680, Licata). Ciò in quanto, se avesse previsto di doversi difendere anche ai sensi di quanto dispongono le lettere D, E ed F del citato articolo 92, l’imputata forse non avrebbe scelto la via del giudizio ?abbreviato incondizionato.
b. Con un secondo motivo di ricorso si deduce nullità della sentenza impugnata e di quella di primo grado per violazione del diritto dell’imputata, nell’ambito di un processo equo (fair trial) ad essere informata in ordine alla qualificazione giuridica dell’imputazione e a disporre del tempo necessario delle condizioni per l’esercizio del diritto di difesa. Le norme che si assumono violate sono gli articoli 521 e 522 del codice di procedura penale, nonché gli articoli 24, 111 e 117 della Costituzione e l’art. 6 paragrafi 1 e 3 lett. a) e b) CEDU.
Tale motivo è strettamente connesso a quello precedente, in quanto il difensore ricorrente assume che, anche qualora volesse ritenersi che non vi sia stata violazione del principio di correlazione tra imputazione e sentenza nei termini di cui al precedente motivo, nondimeno la diversa qualificazione giuridica del fatto di reato operata dal tribunale e confermata dalla corte di appello apparirebbe contraria ai principi espressi dall’art. 6 paragrafi 1 e 3 lett. a) e b) CEDU (viene richiamato il contenuto di tale norma transnazionale, nonché la pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomo nella causa Drassich contro Italia del 2007).
Applicando i principi di tale norma al caso che ci occupa, secondo il ricorrente, pur essendo possibile anche nell’ambito del giudizio abbreviato la possibilità per il giudice di dare una diversa definizione giuridica al fatto di reato originariamente contestato, di ciò doveva essere data informazione in tempo utile all’imputata affinché la stessa potesse disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie alla preparazione della propria difesa.
c. Con un terzo motivo si deduce erronea applicazione di norme di legge in ordine ai contenuto della posizione di garanzia del coordinatore per l’esecuzione posseduta dall’imputata B.B..
Anche in questo caso si deduce che la Corte territoriale avrebbe offerto motivazione non coerenti con il vincolo, gravante su tutti giudici nazionali dei Paesi membri dell’Unione Europea, di interpretare le norme di diritto interno, che siano trasposizione e recepimento del diritto comunitario, secondo il principio dell’interpretazione conforme.
Viene ricordato in proposito come la Corte Costituzionale nel 2010 abbia in più di una occasione ricordato come l’obbligo di procedere un’interpretazione delle norme nazionali conforme al diritto dell’unione europea sussista anche per le norme penali. Si riportano ampi stralci della direttiva 92/57/CE evidenziando quelle che ad avviso del ricorrente sono i punti in cui la sentenza impugnata avrebbe travalicato l’interpretazione che deriva dalla norma europea per quanto riguarda la posizione di garanzia del coordinatore per l’esecuzione.
In particolare, si lamenta che, estendendosi concettualmente la funzione di coordinamento e gli obblighi ad essa correlati ad una fase in cui la stessa Corte di appello ha riconosciuto che era in corso una lavorazione singola, costituirebbe una manifesta violazione del principio di interpretazione delle norme interne in senso conforme al dettato della direttiva comunitaria.
Viene evidenziata la particolarità della posizione del lavoratore G.C., che operava effettivamente alle dirette dipendenze di T. costruzioni S.p.A. sicché, nel contesto operativo in essere al momento dell’infortunio, neppure poteva dirsi sussistente una situazione di pluralità di imprese prevenzionisticamente rilevante. Viene ricordata in proposito la disciplina prevenzionistica del distacco codificata dall’art. 3 co. 6 del decreto legislativo 81/2008.
Ciò consentirebbe di affermare che la squadra di lavoro coinvolta nell’incidente, sebbene fosse formalmente in composizione mista stesse, sul piano prevenzionistico, facesse capo, con riguardo alla specifica lavorazione in atto al momento dell’infortunio, ad un’unica organizzazione di lavoro e ad un solo datore di lavoro prevenzionistico.
Ampio spazio è dedicato poi, nell’atto di impugnazione, alla valutazione di come contrasterebbe con la direttiva 92/57/CEE anche la parte della sentenza impugnata (pag. 16) che si fa riferimento agli obblighi di vigilanza del coordinatore per l’esecuzione dei lavori.
Sul punto, qualora questa Corte fosse di contrario avviso in merito all’interpretazione della normativa interna in rapporto a quella comunitaria, in ricorso viene formulata istanza di rinvio pregiudiziale di tutte le questioni interpretative alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea ai sensi dell’articolo 267 del trattato sul funzionamento dell’unione europea (TFUE).
d. Con un quarto motivo di ricorso si deduce omessa motivazione, o comunque erronea applicazione di norme, in ordine alla natura cogente del paragrafo 3.1.4.1. del piano di sicurezza e di coordinamento (PSC).
Si contesta, alla luce della documentazione allegata, che le indicazioni del citato paragrafo avessero natura operativa. Si lamenta che, in proposito, la Corte di appello non avrebbe fornito risposta allo specifico motivo, omettendo di interloquire sul come e sul perché si fosse verificata l’insorgenza della posizione di garanzia.
e. Con un quinto motivo si deduce contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione e travisamento della prova, con particolare riferimento a pag. 11 della motivazione del provvedimento impugnato, evidenziandosi che, dall’esame del compendio probatorio, non emergerebbe in alcun modo che il montaggio dei cosiddetti coni fosse fatto servendosi di utensili.
Si richiamano le dichiarazioni testimoniali assunte, da cui si evincerebbe che ?tale tipo di montaggio avveniva a mano.
Ci si lamenta, perciò, che la motivazione della corte d’appello sul punto si tradurrebbe in un evidente travisamento della prova, decisivo ai fini della formazione del convincimento del giudicante.
f. Ci si duole altresì, con un sesto motivo, della contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in punto di ricostruzione del nesso causale.
Il profilo di doglianza attiene soprattutto alla pag. 12 della sentenza impugnata, laddove la Corte territoriale ha individuato, quale causa iniziale dell’evento, le gravissime carenze organizzative di prevenzione infortuni imputabili all’impresa appaltatrice, attinenti sia alla valutazione del rischio ed all’analisi delle procedure di montaggio, sia alla formazione e informazione professionale dei lavoratori. Si deduce che ciò sarebbe in contraddizione con il fatto che in quel cantiere, nel momento in cui è avvenuto l’infortunio, erano stati montati senza problemi complessivamente oltre 4000 dispositivi di ancoraggio, producendosi quindi un coefficiente statistico cosiddetto di concretizzazione del rischio infortunistico nella misura dello 0,25 x 1000 (un infortunio su un totale di oltre 4000 coni di ancoraggio assemblati).
Non sarebbe, perciò, aderente ad un criterio di congruenza logica non l’affermazione del giudice di appello che “le passerelle a sbalzo del sistema di ripresa avrebbero dovuto essere ancorate alla pila con estrema precisione” bensì quella successiva secondo cui “l’attenzione alle procedure di assemblaggio indicate dal costruttore era, al contrario, macroscopicamente assente”.
Si contestano, poi, gli specifici punti della sentenza in cui è stata attribuita all’odierna ricorrente colpa per la mancata formazione del personale addetto a quella specifica lavorazione ribadendosi la tesi in base al paragrafo 3.24 della Direttiva comunitaria il contenuto dell’obbligo facente capo al CSE sia di natura meramente formale, dovendo egli verificare non che i lavoratori delle imprese siano stati effettivamente informati e formati professionalmente, bensì, più limitatamente che sussista, in allegato a ciascun POS, la documentazione relativa all’assolvimento di quest’obbligo.
Peraltro, sarebbe pacifico che la verifica del POS delle imprese esecutrici presenti sul cantiere non rientrasse tra i compiti dell’imputata B.B., tant’è che la condotta correlata a tali obblighi era stata correttamente contestata al precedente coordinatore e coimputato poi deceduto P.L. il quale aveva ricoperto il ruolo di coordinatore per l’esecuzione dal 28/12/2007 al 21/7/2008.
Ci si duole che la corte di appello non abbia correttamente motivato in punto di causalità della colpa, mancando di enunciare, in termini di inferenza logicodeduttiva, in quali termini l’omessa vigilanza e l’omesso controllo del CSE avessero contribuito alla produzione dell’evento, rifugiandosi comodamente ed impropriamente in una causalità di principio, riproducendo in maniera apodittica il contenuto delle proposizioni assertive già enunciate nella sentenza del tribunale.
Secondo il ricorrente, in altri termini, in secondo grado non sarebbe stato svolto alcun giudizio controfattuale, se non in termini assertivi ma non esplicativi.
L’avere il giudice individuato quale concausa dell’evento “vistose riconoscibili carenze di formazione dei lavoratori e di organizzazione delle procedure di lavoro” non apparirebbe, secondo la tesi sostenuta in ricorso, in sintonia logico argomentativo con il dato statistico.
Viene riprodotta per estratto la testimonianza del lavoratore G.LP., che faceva parte della squadra di lavoro impegnata in quota nel montaggio della passerella che ebbe a cedere.
In altri termini, il profilo di doglianza si fonda sull’affermazione che non sarebbe dato di comprendere in quali termini l’omessa vigilanza e controllo del coordinatore per la sicurezza abbiano potuto concorrere causalmente alla produzione dell’evento.
Si contesta che vi fosse, tra i contenuti dei doveri del coordinatore per la sicurezza, anche il compito di controllare che venissero accantonati i coni privi di spina di battuta, come quello utilizzato e che poi ha dato luogo all’incidente, senza peraltro che il processo sia stato in grado di determinare perché tale utilizzo sia avvenuto.
Oltre che in punto di motivazione sul giudizio controfattuale, in ricorso si contesta, poi, che vi sia una congrua motivazione per quanto attiene alla prevenibilità dell’evento.
Il ricorrente articola una lunga digressione, con corposi richiami alla giurisprudenza di questa Corte di legittimità, deducendo quello che è a suo avviso l’erroneità dell’operato giudizio contro fattuale. In particolare, si sottolinea come l’errore del R. nulla avrebbe vedere con un deficit di formazione professionale. Peraltro, si evidenzia che i lavoratori della squadra percepirono il rischio e interruppero il lavoro, rivolgendosi al preposto F. che quel giorno era presente sul luogo di lavoro; e F., in rappresentanza del datore di lavoro in sostituzione del caposquadra, assente quel giorno, ebbe a consegnare due bulloni sostitutivi di serraggio (rivelatisi non idonei), contestualmente richiedendo la prosecuzione del lavoro in quota.
Se ciò è vero non vi sarebbe allora alcuna efficacia condizionante, in termini di rilievo causale, nella concreta eziologia dell’infortunio, nella condotta colposa omissiva contestata all’odierna ricorrente. In altri termini, il corretto svolgimento del giudizio controfattuale, non potrebbe in ogni caso involgere, neppure quale concausa, la condotta omissiva contestata a B.B., i loro deficit informative e di formazione professionale, i lavoratori neutralizzarono la loro esposizione al rischio di caduta dall’alto, in ragione della sua percezione, scendendo a terra e comunque interrompendo il lavoro, e rivolgendosi alla catena gerarchica funzionale di riferimento. Ed allora, secondo il ricorrente, alla domanda su quale sia la condotta o le condotte causalmente produttive dell’evento infortunistico che se eliminate mentalmente lo avrebbero impedito, non vi sarebbe dubbio che l’unica risposta sia che la vera causa vada individuata nella condotta del F., che consegnò dei bulloni inadeguati.
Ci si duole che su questo specifico aspetto, insito nella peculiarità della concreta vicenda infortunistica, la corte di appello avrebbe dovuto confrontarsi controfattualmente, essendo evidente, che, a valle dell’errore di assemblaggio del R. (conseguente all’assenza della spina di battuta nel cono) e dell’insufficiente valutazione del rischio relativo alla procedura di montaggio dell’attrezzatura di lavoro nel POS di T. Costruzioni S.p.A., vi sarebbe la condotta materiale del F. a riacutizzarsi il pericolo di caduta dall’alto.
La Corte territoriale, invece, avrebbe omesso di considerare che la causa prossima dell’infortunio di cui all’imputazione non era stata la condotta di omessa verifica da parte dell’imputata dell’effettiva formazione delle maestranze impiegate nel cantiere, in quanto tale condotta omissiva, era al più idonea a produrre una mera situazione di pericolo, situazione di pericolo che in ogni caso i lavoratori ebbero a neutralizzare pervenendo immediatamente al risultato del processo informativo di loro formazione professionale: la percezione del rischio, con conseguente discesa a terra immediata e report con interazione dell’accaduto al loro suP.ore diretto, il preposto F..
Peraltro, viene ribadito che, fine al giorno dell’infortunio, all’interno del cantiere non erano emerse condizioni di macroscopica deficienza professionale dei lavoratori impiegati nella costruzione delle pile, percepibili dal CSE, la quale situazione, come rilevato e rilevabile, avrebbe imposto la sospensione immediata della lavorazione.
Fino a quel momento era, invece, risultato l’esatto contrario, e cioè di tutti gli ancoraggi del cantiere solo quello per cui è processo fu posto in opera con la scelta di posizionamento di materiali incompatibili ad assicurare la funzionalità dell’attrezzatura di lavoro.
Ribadite pertanto le proprie doglianze in ordine all’immutazione del capo di imputazione, tenuto conto del decorso causale emergente dalle risultanze processuali, si deve, secondo il ricorrente, in ultima analisi ritenere che, quand’anche B.B. avesse tenuto la condotta omessa, enunciata e contestata al capo di imputazione (“controllare l’effettiva realizzazione degli obblighi informativi e formativi da parte del datore di lavoro nei confronti dei lavoratori che componevano la squadra addetta alla costruzione della pila”), essa non avrebbe avuto alcun rilievo causale della concreta eziologia dell’infortunio.
Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata con ogni consequenziale provvedimento.
DIRITTO
1. Il denunciato vizio motivazionale della sentenza impugnata è fondato, nei limiti che si andranno a specificare, e, pertanto, la stessa va annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Firenze per un nuovo esame.
2. La peculiarità della vicenda impone alla Corte di dare conto di come i giudici di merito abbiano ri
caso concreto, dovrà fornire con motivazione congrua e logica, il che nel provvedimento oggi impugnato non è avvenuto, una risposta a vari quesiti.
Doveva e poteva essere B.B., nella qualità ricoperta, competendole una mera “alta vigilanza” sul rischio interferenziale, controllare lo stato di ancoraggio delle passerelle? Era il pericolo costituito dal loro inidoneo montaggio immediatamente percettibile ed in quanto tale riconducibile alla previsione di cui all’art. 92 lett f) d.lgs. 81/08? Aveva la B.B. il dovere e anche la possibilità di accertare un’evenienza come quella dell’avvenuta fornitura di supporti inidonei? E, soprattutto, a fronte di un rischio percepito dai lavoratori (cfr. art. 36 del d.lgs. 81/2008) faceva parte il F. di quella catena organizzativa dirigenziale cui ex art. 37 d.lgs 81/08 competeva la valutazione del rischio? E, se la risposta a tale ultimo quesito fosse positiva, c’è stata nel caso che ci occupa un’effettiva rivalutazione del rischio? Ed era stato il facente funzioni del preposto al cantiere a rimandare gli operai in quota?
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Firenze per nuovo esame.
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