Per cui secondo quanto statuito dai giudici di legittimità non è sufficiente di per sé a determinare quella “stabile organizzazione” che determina la sottoposizione ad IRAP la presenza di praticanti in uno studio professionale, posto che l’apprendista non partecipa alla formazione del reddito in modo autonomo, ma sta compiendo il suo iter formativo.
Sarà quindi onere del giudice di merito provvedere ad una puntuale motivazione sulla natura e sulla quantità delle funzioni svolte dai praticanti, mentre non è rilevante a tal fine la disponibilità di locali adeguati per l’esercizio della professione, né il richiamo alle spese affrontate dal professionista per la gestione dello studio ed i compensi corrisposti ai praticanti. (Cfr. Cass. Civ., sez. tributaria, sentenza 14 aprile 2009, n. 8834)
La vicenda ha visto come protagonista un professionista che aveva chiesto il rimborso IRAP per gli anni dal 2002 al 2006 per mancanza del presupposto soggettivo. Il contribuente contro il rifiuto dell’Amministrazione finanziaria ricorreva alla Commissione Tributaria Provinciale che non accoglieva le doglianze del ricorrente. Avverso tale decisione il contribuente proponeva appello alla Commissione Tributaria Regionale i cui giudici confermavano la decisione dei giudici di prime cure.
Il professionista ricorreva alla Suprema Corte per la cassazione della sentenza dei giudici di Appello. Gli Ermellini accoglievano la tesi sostenuta da un avvocato toscano. Per cui la sussistenza delle spese di gestione di uno studio legale e dei compensi elargiti ai praticanti non rappresentano indicatori di “autonoma organizzazione” tale da sottoporre il reddito del professionista all’IRAP, imposta di cui il ricorrente aveva chiesto il rimborso per gli anni 2002 – 2006.
Gli Ermellini hanno rilevato che i giudici dei due gradi merito, ai fini dell’applicazione dell’imposta regionale, hanno ritenuto sufficiente la presenza delle spese destinate al funzionamento dello studio, assieme ai corrispettivi corrisposti ai praticanti, senza tuttavia approfondire la fattispecie, in modo da verificare se i praticanti svolgessero effettivamente “le funzioni di personale dipendente, in misura tale da determinare un’autonoma organizzazione”. Condividendo il proprio precedente indirizzo, nonchè l’impostazione prospettata dal relatore, la VI Sezione ha accolto il ricorso, rinviando la causa ad una diversa sezione della Commissione Tributaria Regionale Toscana.
La Corte di Cassazione si era già pronunciata sul punto con la sentenza n. 8834 del 14 aprile 2009, precisando che rappresenta un principio consolidato, che consente il rigetto del ricorso dell’Amministrazione, quello in base al quale un collaboratore, che non sia già abilitato all’esercizio della professione forense, non può rappresentare un elemento di quell’autonomia organizzativa rilevante sotto il profilo fiscale, poiché l’apprendista non partecipa alla formazione del reddito in modo autonomo, ma sta compiendo il suo iter formativo. Sul giudice di merito, di conseguenza, grava l’onere di approfondire l’esame, e motivare, in merito alla natura e alla quantità delle funzioni svolte dai praticanti, non rilevando la disponibilità di locali adeguati per l’esercizio della professione e la presenza delle spese di studio.
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