Consiglio di Stato sez. III sentenza n. 3145 del 27 giugno 2017
N. 03145/2017REG.PROV.COLL.
N. 01774/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1774 del 2017, proposto da:
G. M. M. S.p.A., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Fernando Russo, con domicilio eletto presso lo studio Avv. Amministrativisti Ass, Cuomo Amelia in Roma, piazza S. Bernardo, 101;
contro
Azienda Ospedaliera Regionale “San Carlo” di Potenza, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Domenico Carlomagno, con domicilio eletto presso lo studio Antonio Nicodemo in Roma, via Tibullo N. 10;
nei confronti di
G. S.r.l. non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. BASILICATA – POTENZA: SEZIONE I n. 00018/2017, resa tra le parti, concernente l’annullamento della Deliberazione del Direttore Generale n° 2016/00154 del 23/3/2016, comunicata alla ricorrente a mezzo PEC in data 30/3/2016, con la quale è stata disposta l’aggiudicazione definitiva della gara per la fornitura “chiavi in mano” di n° 2 Sistemi Multifunzionali per Radiologia Digitale all’A.O.R. San Carlo di Potenza ed all’A.S.M. di Matera in favore della ditta G. S.r.l. al prezzo di € 389.400,00 + IVA e al prezzo annuale della manutenzione full risk di € 14.000,00 + IVA.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Azienda Ospedaliera Regionale “San Carlo” di Potenza;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visti gli artt. 74 e 120, co. 10, cod. proc. amm.;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 15 giugno 2017 il Cons. Umberto Realfonzo e uditi per le parti gli avvocati Stefania Terracciano su delega di Fernando Russo e Giovanni Agostini su delega di Domenico Carlomagno;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il presente appello la Società G. M. M. S.p.A. impugna la sentenza con cui è stato respinto il suo ricorso diretto all’annullamento dell’aggiudicazione definitiva della gara per la fornitura chiavi in mano di un sistema multifunzionali per la radiologia digitale presso A.O.R. di Potenza ed all’A.S.M. di Matera al prezzo di euro 389.400+ Iva oltre la manutenzione annuale full risk di euro 14.000 + Iva.
Il ricorso è affidato alla denuncia di tre rubriche di gravame relative rispettivamente alla violazione dell’art. 13 del D.lgs. 24 febbraio 1997 n. 46; dell’art. 8 del D.M. Salute 31 dicembre 2009; dell’art. 24, lettera A.9 della lex specialis della gara; e dell’articolo 79, comma cinque-ter del D.lgs. n. 163/2006.
L’Azienda ospedaliera regionale, formalmente costituitasi in giudizio in data 12 aprile 2017, con successiva memoria per la discussione, ha confutato analiticamente le tesi dell’appellante, concludendo per il rigetto.
All’udienza pubblica di discussione, uditi i difensori delle parti, l’appello è stato ritenuto in decisione dal Collegio.
DIRITTO
L’appello è infondato.
1.§.) Con il primo motivo la G. M. M. S.p.A. lamenta che il Tar non avrebbe assolutamente compreso il tenore delle diverse censure con le quali lamentava, in sostanza, l’assenza, in capo all’aggiudicataria, del requisito della “marcatura CE” alla data del 13 gennaio 2015. Per l’appellante il possesso della certificazione avrebbe dovuto esser posseduto entro il termine perentorio per la presentazione delle offerte a pena di esclusione dalla gara.
Il Tar, ignorando le normative di settore e la stessa lex specialis, avrebbe erroneamente affermato che l’obbligo di comunicazione avrebbe dovuto essere assolto comunque “prima dell’acquisto del dispositivi medici e non anche entro il termine di presentazione delle offerte”.
Per l’appellante invece, il termine perentorio di scadenza della gara coinciderebbe con quello dell’ “acquisto dei dispositivi medici” oggetto dell’aggiudicazione per cui il fabbricante — prima di mettere in commercio i dispositivi medici – cioè predisporre l’offerta — deve farne certificare la conformità dagli organismi accreditati presso il Ministero della Salute.
Nel caso di specie, la certificazione per i dispositivi medici “Pensil DR” e “Moviplan HHDR” era stata ottenuta solamente il 24 giugno 2015 per cui, alla data dell’offerta, erano privi della conformità CE.
Per questo è inesatta l’affermazione del Tar per cui, in base alla lex specialis, la conformità CE del prodotto alle direttive europee alla data di scadenza del bando, non poteva essere interpretato “a pena di esclusione dalla gara in quanto comunque i dispositivi risultavano comunque conformi alla normativa europea anche se non muniti del marchio CE”.
Se illegittimamente la stazione appaltante aveva deciso di non escludere la G. s.r.l., sarebbe spettato al TAR, dunque, disporre l’esclusione dell’aggiudicataria. La sentenza ha erroneamente fondato la propria decisione sull’erronea comunicazione della competente Direzione Generale del Ministero della Salute la quale, oltre ad affermare che non erano stati ancora uniformemente definiti in ambito comunitario le modalità di redazione di contenuti delle certificazioni CE, aveva confermato che il dispositivo “Sirivex PF2” era stato registrato il 27 luglio 2014.
L’assunto va respinto.
In linea di principio il d.lgs. 24 febbraio 1997, n. 46 di attuazione della DIR. 93/42/CEE concernente i dispositivi medici, dispone testualmente:
— all’art.1, comma 2, che:
__ a) per “dispositivo medico” si intende qualunque “strumento, apparecchio, impianto, software, sostanza o altro prodotto, utilizzato da solo o in combinazione, compreso il software destinato dal fabbricante ad essere impiegato specificamente con finalità diagnostiche o terapeutiche e necessario al corretto funzionamento del dispositivo, destinato dal fabbricante ad essere impiegato sull’uomo a fini di diagnosi, prevenzione, controllo, terapia …”
__ b) per “accessorio” si definisce “ilprodotto che, pur non essendo un dispositivo, sia destinato in modo specifico dal fabbricante ad essere utilizzato con un dispositivo per consentirne l’utilizzazione prevista…”;
— all’art. 3 che:” I dispositivi possono essere immessi in commercio o messi in servizio unicamente se rispondono ai requisiti prescritti…” all’allegato I e segg. del medesimo d.lgs.;
— all’art. 8 che i dispositivi sono suddivisi in varie classi (I, IIa, IIb e III), con una certificazione che viene rilasciato dall’organismo notificato a seguito dell’esame — — differenziato a seconda del loro uso e funzione — della domanda, della progettazione, delle prove o degli esami complementari necessari per valutare la conformità del prodotto;
— all’art. 16 che: “I dispositivi, ad esclusione di quelli su misura e di quelli destinati ad indagini cliniche, che soddisfano i requisiti essenziali previsti all’articolo 3 devono recare al momento dell’immissione in commercio una marcatura di conformità CE…”.
In ogni caso il sistema è però comunque imperniato sul principio di responsabilità diretta del fabbricante che è il “responsabile della progettazione, della fabbricazione, dell’imballaggio e dell’etichettatura di un dispositivo in vista dell’immissione in commercio a proprio nome…” (art. 1, comma 2, lett. f) ed in quanto tale “garantisce e dichiara che i prodotti in questione si attengono alle disposizioni applicabili (All. II, par. 2) a tutela della salute e dell’incolumità degli utilizzatori.
Ciò è dimostrato dal fatto che, successivamente, l’organismo notificato non è tenuto ad effettuare ispezioni impreviste, a controllare i dispositivi medici e/o ad esaminare la documentazione commerciale del fabbricante alla luce degli art. 11.1 e 10 e 16.6 dell’allegato II della ricordata Direttiva 93/42/CEE, come modificata dal regolamento (CE) n. 1882/2003 (cfr. Corte giustizia UE, sez. I, 16/02/2017, n. 219).
In ogni caso, se si considera che le apparecchiature ed i sistemi in questione, sono soggetti ad una costante, progressiva e, spesso, minuta innovazione delle relative componenti di prodotto e dunque evidente che il ricordato assetto della normativa comunitaria, è direttamente finalizzato ad assicurare, all’attualità, il progresso tecnologico dei dispositivi medici ma anche la piena concorrenza tra i produttori.
Pr questo voler anticipare l’obbligo del possesso della certificazione al momento dell’offerta apparirebbe, in assoluto, irragionevole in quanto si finirebbe per penalizzare gli interessi delle stazioni appaltanti ad una continua innovazione ed aggiornamento dei dispositivi medici.
L’offerta in una gara pubblica infatti è un atto unilaterale di natura pre-negoziale, che anticipa il momento della commercializzazione vera e propria che coincide con la distribuzione del prodotto vale a dire con la possibilità degli acquirenti di procedere in concreto all’acquisto.
Per questo, nel caso di appalti pubblici, l’ “immissione in commercio” o in servizio, deve essere ordinariamente identificata con il momento della stipula del contratto; ovvero con il momento dell’ordinazione dei dispositivi contemplati in contratto qualora intervengano successivi ulteriori aggiornamenti dei dispositivi medici dedotti nell’obbligazione contrattuale originaria.
Sul punto, ha dunque ragione il TAR che, sotto il profilo giuridico e logico, il momento rilevante ai fini della “immissione in commercio o in servizio”, in caso di appalto pubblico non può affatto coincidere logicamente con quello della scadenza del termine previsto dal bando.
Infine, sotto altro profilo la Società appellante — appuntando i suoi strali solo sull’affermata necessità che l’aggiornamento dei tavoli telecomandati avrebbe dovuto essere effettuato in un momento antecedente alla presentazione dell’offerta — pone la censura sul piano esclusivamente formalistico ma non tiene conto del fatto che, la certificazione CE della nuova versione degli accessori offerti era stata poi ottenuta il 24 giugno 2015 e quindi in un momento antecedente all’ “immissione in commercio” nei sensi di cui sopra.
2.§.) Per ragioni di economia espositiva devono essere esaminati congiuntamente il secondo capo di doglianza della seconda rubrica e la terza rubrica che costituiscono ulteriori profili della precedente censura.
2.§.1.) Con il secondo profilo (rubricato sub B) della seconda rubrica si lamenta la violazione del principio di tassatività delle clausole di esclusione in quanto il Tar:
— arbitrariamente avrebbe ritenuto – senza che vi fosse alcuna documentazione dell’organismo notificato della avvenuta certificazione del prodotto offerto — la conformità alle direttive europee dell’offerta dell’aggiudicataria;
— erroneamente avrebbe affermato che i dispositivi medici dell’aggiudicataria potessero essere ammessi alla gara “quand’anche non muniti del marchio CE” mentre tale fattispecie non sarebbe assolutamente prevista nelle norme e negli atti del procedimento.
Il tenore letterale delle norme concernenti la modalità di immissione in commercio dei dispositivi medici e dei loro accessori non avrebbe consentito alcuna altra condizione per partecipare alla gara.
2.§.2.) Con la terza rubrica l’appellante ripete, per l’ennesima volta, che la certificazione CE sarebbe stata necessaria prima della scadenza dell’offerta, e sottolinea altresì che, nella sua offerta, l’aggiudicataria avrebbe documentato la certificazione CE codice 805001 per il sistema SIRIVEX in configurazione PF2, mentre avrebbe invece offerto il sistema SIRIVEX in configurazione PF2 con il codice 805003, dotato dei sistemi “Pensil2 ed il “Moviplan” che lo stesso Tar definisce accessori — dimostrando così di avere la piena consapevolezza della necessità dell’ esclusione dell’offerta — ma che dovevano essere assoggettati alla stessa disciplina dei dispositivi medici.
La labilità dell’impianto motivazionale della sentenza appellata sarebbe anche dimostrata dalla confusione tra i vari dispositivi medici offerti ed aggiudicati: il TAR non avrebbe avuto chiara la distinzione tra dispositivi medici ed i loro accessori che secondo l’appellante sarebbero anch’essi dispositivi medici con obbligo della certificazione CE alla data di scadenza del termine perentorio dell’offerta. Il Tar, non solo avrebbe dato rilievo fuorviante alle precisazioni ministeriali, ma avrebbe altresì fatto confusione tra il dispositivo SIRIVEX PF con codice 8050001, sarebbe stato già dotato del Dispositivo Medico “Pencil DR”, e l’altro dispositivo medico “Moviplan HH DR” che non avrebbe avuto la certificazione CE.
Se il TAR avesse invece esaminato il Doc. n. 9 allegato all’originario ricorso dell’appellante, avrebbe rilevato che, alla data di scadenza del bando, il SIREVIX PF con codice 805003 con il secondo tubo RX smontato pensile (cioè il dispositivo medico “Pensil2” ) offerto non sarebbe stato certificato.
2.§.3.) Entrambi gli assunti, sulla medesima scia delle considerazioni che precedono, devono essere respinti.
Quanto alla doglianza sub 2.§.1., esattamente il TAR ha interpretato la lex specialis, in coerenza ed in conformità proprio al contenuto letterale delle disposizioni comunitarie, ricordate al punto che precede.
Anche la terza rubrica che, nella sostanza, ripropone sotto una differente angolazione la medesima censura di cui sopra, va disattesa.
Al riguardo si deve anche ricordare che, nella fattispecie in esame, non è del tutto irrilevante notare che i due elementi qui contestati concernevano comunque degli accessori alle macchine principali, i quali peraltro, anche nella configurazione precedente, erano comunque in possesso della certificazione CE e che era stata poi rinnovata in un momento successivo alla scadenza del termine per l’offerta ma comunque prima del contratto e della fornitura.
In sostanza, nella specie non è in discussione un elemento essenziale della fornitura, ma un mero aggiornamento di un accessorio già in passato certificato.
Anche in questa sede processuale, la circostanza che, comunque, le specifiche certificazioni relative ai due accessori sono state poi acquisite fa venir comunque meno ogni preclusione di principio circa la legittimità dell’ammissibilità dell’offerta dell’aggiudicataria.
Il che conferma ulteriormente la correttezza dell’interpretazione del TAR.
3.§.) Si deve infine disattendere il primo profilo (sub A) della seconda censura con cui si lamenta l’omessa pronunzia da parte del TAR sul motivo di ricorso in cui si lamenta la mancata applicazione dell’art.8 del disciplinare di gara che prevedeva l’esclusione dalla partecipazione per difetto gli elementi essenziali costituiti dalla marcatura CE di quell’articolo 24 lett. A.9.
La ricorrente infatti ha fatto luogo alla reiterazione della medesima doglianza con differenti espressioni ma con identici profili per cui, la cumulativa confutazione dei vari profili della medesima censura operata del TAR, appare complessivamente del tutto sufficiente ed esaustiva anche sotto late profilo.
4.§.) In definitiva il ricorso deve essere respinto e la sentenza deve essere integralmente confermata.
In relazione alla novità ed alla natura controversa delle questioni trattate le spese possono essere integralmente compensate tra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto:
1. Respinge il ricorso di cui in epigrafe
2. Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 giugno 2017 con l’intervento dei magistrati:
Lanfranco Balucani, Presidente
Manfredo Atzeni, Consigliere
Umberto Realfonzo, Consigliere, Estensore
Massimiliano Noccelli, Consigliere
Pierfrancesco Ungari, Consigliere
L’ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
Umberto Realfonzo | Lanfranco Balucani | |
IL SEGRETARIO
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