CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 27 settembre 2013, n. 22132
Tributi – Bilancio – Valutazione di congruità tra costi e ricavi – Potere dell’Ufficio – Costo sproporzionato ai ricavi – Deducibilità – Esclusione
Svolgimento del processo
1. L’Agenzia delle Entrate di Firenze emetteva nei confronti della società G. spa un avviso di accertamento per la ripresa a tassazione di IVA, IRPEG e IRAP per il periodo di imposta 2002 e di IRAP e IRPEG per il periodo compreso fra il primo aprile ed il 31 dicembre 2002, oltre accessori e sanzioni, in dipendenza di costi relativi ad operazioni poste in essere dalla società con la propria controllata T. s.r.l. ritenute prive dei requisiti di economicità e come tali considerate indetraibili.
2. La società contribuente impugnava l’atto innanzi alla CTP di Firenze, ove si costituiva l’Agenzia delle Entrata, la quale riconosceva la fondatezza delle contestazioni della ricorrente in ordine alle riprese riguardanti IRPEG e IRAP e dichiarava di averle perciò annullate, confermando invece le richieste in ordine all’IVA.
3. L’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate veniva accolto dalla CTR della Toscana con sentenza depositata il 10 aprile 2008.
3.1 Riteneva il giudice di appello che nel rapporto instaurato dalla società appellata con la T. emergevano evidenti profili di antieconomicità tralasciati dal giudice di primo grado.
3.2 Ed infatti, sul piano economico la scelta di acquisire onerosamente, affidandoli alla società T., i servizi amministrativi e gestionali, svolti con attrezzature della committente, configgeva con i criteri di ragionevolezza e non poteva essere giustificata in termini di riduzione di costi o di miglioramento delle prestazioni.
3.3 Nemmeno erano ipotizzabili vantaggi economici dall’affidamento, operato dalla T., ove pure operava personale incardinato anche presso la G., di mansioni specifiche a professionisti esterni o lavoratori interinali.
3.4 Peraltro, la T. intratteneva attività commerciale unicamente con la società contribuente.
3.5 Ciò che legittimava l’Ufficio a sindacare l’antieconomicità della condotta del contribuente ed a desumere, sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, maggiori ricavi o minori costi, con inversione dell’onere della prova sul contribuente. Per invalidare le deduzioni dell’ufficio non era dunque sufficiente documentare l’inerenza e l’effettività dei costi, dovendosi parimenti giustificare il comportamento antieconomico tale da condurre ad un risultato economico inferiore a quello ottenibile in conformità ad elementari regole di prudenza e ponderatezza.
3.6 Le operazioni contestate, in conclusione, non avevano costituito fonte di vantaggi ottenibili dalle tecniche di esternalizzazione, semmai determinando in favore della società contribuente una riduzione della base imponibile in assenza di ragioni di ordine economiche.
4. La società contribuente ha proposto ricorso per Cassazione, affidato a sei motivi, al quale ha resistito l’Agenzia delle Entrate senza spiegare difese scritte.
Motivi della decisione
5. Con il primo motivo la società contribuente chiede che questa Corte promuova il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia al fine di chiarire se ai fini della sussistenza del diritto alla detrazione dell’lVA sia rilevante la congruità economica del costo del servizio corrisposto o fatturato.
6. Con i restanti motivi la società contribuente prospetta, sotto diversi profili l’omessa, insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia e violazione dell’art.19 dpr n.633/72, in relazione all’art.360 comma 1 nn.3 e 5 c.p.c. La CTR avrebbe giustificato la soluzione raggiunta facendo esclusivamente riferimento al sistema delle imposte dirette, ritenendolo erroneamente applicabile a quello dell’lVA. Una volta acclarata l’inerenza ed effettività delle prestazioni, non era possibile escludere la detraibilità dell’lVA, disciplinata a livello comunitario mancando, all’interno del regime previsto dalla sesta direttiva art. 17 dir.77/388/CEE-, un meccanismo idoneo a valorizzare l’economicità dei costi che, ove ritenuto esistente avrebbe inciso, elidendolo, sul principio generale della neutralità più volte ritenuto dalla Corte di Giustizia.
6.1 Peraltro, la CTR aveva fatto riferimento ad un principio di economicità in maniera assai lata, non potendosi giustificare un sindacato sulle scelte imprenditoriali del tipo di quello svolto dal giudice di appello, non essendo mai stato posto in discussione che nel caso di specie non si verteva in ipotesi di frode o simulazione o fatti abnormi che non erano invece presenti nella vicenda concreta.
6.2 L’errore in cui erano incorsi i giudici di appello era dunque quello di avere identificato il comportamento economico giustificativo dei costi con la mera riduzione degli stessi e con l’aumento dell’utile dì esercizio.
6.3 Lamenta, infine, che la CTR aveva violato l’art.2697 c.c. Incombeva, infatti, sull’Ufficio non soltanto l’onere di dedurre l’antieconomicità dei costi, ma anche fornire adeguati riscontri rispetto a quanto dedotto con specifiche prove che, nel caso di specie, non erano state fornite dall’amministrazione, la quale si era limitata ad elencare concetti ed asserzioni inidonei a dimostrare che il corrispettivo addebitato potesse considerarsi antieconomico.
7. Le censure, che meritano un esame congiunto, sono fondate.
7.1 Viene all’attenzione di questa Corte la questione concernente la legittimità dell’operato dell’amministrazione finanziaria che provvede alla rettifica delle dichiarazioni dei contribuenti considerando antieconomiche determinate scelte imprenditoriali, in base al principio secondo cui chiunque svolga un’attività economica dovrebbe, secondo l’id quod plerumque accidit, indirizzare le proprie condotte verso una riduzione dei costi ed una massimizzazione dei profitti, in tal modo valutando negativamente, ai fini fiscali, le condotte improntate all’eccessività di componenti negativi o all’immotivata compressione di componenti positivi di reddito.
7.2 In questa direzione questa Corte, con precipuo riferimento alle imposte sui redditi, ha reiteratamente riconosciuto che rientra nei poteri dell’amministrazione finanziaria la valutazione di congruità dei costi e dei ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni e la rettifica di queste ultime, anche se non ricorrano irregolarità nella tenuta delle scritture contabili o vizi degli atti giuridici compiuti nell’esercizio d’impresa, con negazione della deducibilità di parte di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa-cfr.Cass. n. 12813/2000 (con riferimento all’lLOR); Cass. n. 9497/2008 e Cass. n. 3243/2013, Cass.n.1711/2007 (con riferimento all’IRPEG); Cass. n. 7487/2002; Cass. n. 10802/2002; Cass. n. 5463/2003; Cass. n. 398/2003; Cass. n. 19150/2003;-.
7.3 Alla base di questo indirizzo vi è il convincimento che in presenza di un comportamento assolutamente contrario ai canoni dell’economia, rimasto inspiegato da parte del contribuente, è pienamente legittimo l’accertamento ai sensi dell’articolo 39, comma primo lett. d) del d.P.R. n. 600 del 1973. Ragion per cui il giudice di merito che giunga a ritenere illegittimo l’accertamento è tenuto a specificare, con argomenti validi, le ragioni per le quali ritiene che l’antieconomicità del comportamento del contribuente non sia sintomatica di possibili violazioni di disposizioni tributarie – Cass.n. 1821/2001-,
7.4 Ed è stato proprio su questi postulati che la CTR, nell’esaminare la controversia in cui in contestazione, in cui era ormai rimasta esclusivamente in discussione la debenza dell’lVA per costi sostenuti dalla società contribuente per prestazioni resa da una società controllata, ha ritenuto le scelte imprenditoriali della società contribuente antieconomiche, pur non ponendo in discussione l’inerenza e certezza dei costi medesimi.
7.5 Ciò ha fatto espressamente richiamando alcuni precedenti di questa Corte per l’appunto resi in tema di imposte dirette- Cass. nn.1821/2001, 6337/2002, 793/2004-.
7.6 Questa Corte è dunque chiamata a verificare la possibilità ed eventualmente i limiti entro ì quali è possibile estendere i principi giurisprudenziali testé affermati al tributo IVA, come noto armonizzato alla disciplina introdotta dapprima con la sesta direttiva CEE – più volte oggetto, nel tempo, di varie modifiche, e, da ultimo, con la dir.2006/112/CEE.
7.7 Reputa questa Corte che non sia, anzitutto, possibile applicare direttamente ed automaticamente i principi espressi in tema di imposizione diretta con riguardo al tema dell’antieconomicità all’interno dell’lVA, a ciò ostando la particolare natura del tributo da ultimo descritto, tutto correlato al principio di neutralità che si esprime attraverso il riconoscimento ad ogni fornitore o prestatore di servizio che ha corrisposto l’IVA per l’acquisto di beni o servizi di detrarre l’IVA relativa ai costi sostenuti secondo il noto meccanismo della detrazione. Infatti, il sistema delle detrazioni è inteso ad esonerare interamente l’imprenditore dall’lVA dovuta o pagata nell’ambito di tutte le sue attività economiche. Il sistema comune dell’IVA garantisce, in tal modo, la neutralità dell’imposizione fiscale per tutte le attività economiche, indipendentemente dallo scopo o dai risultati delle dette attività, purché queste siano, in linea di principio, di per sé soggette all’IVA (v., segnatamente, sentenze Gabalfrisa e a., cit., punto 44; 21 febbraio 2006, Halifax e a., C-255/02, Race. pag. 1-1609, punto 78, nonché Mahagében e David, cit., punto 39; Corte giust. 6 settembre 2012, C-324/11,Gabor Toth, p.24-.
7.8 Ora, più volte la Corte di Giustizia ha inteso sottolineare la centralità del diritto di detrazione nel meccanismo dell’IVA, diritto che, in linea di principio, non può subire limitazioni, essendo inteso ad esonerare interamente l’imprenditore dall’IVA dovuta o pagata nell’ambito delle sue attività economiche. Ed è proprio questo meccanismo a consentire la perfetta neutralità dell’imposizione fiscale che si interrompe allorché il bene o servizio viene reso al consumatore finale.
7.9 Orbene, l’art. 17 della sesta direttiva CEE(rilevante ratione temporis ai fini della presente controversia), riconducendo il diritto a detrazione all’esigibilità ed inerenza dell’acquisto del bene o servizio non contempla alcun diretto riferimento al tema del “valore” del bene o servizio. Nè tale riferimento sembra cogliersi nell’art.19 d.pr.r.n.633/1972. Ciò si spiega, in termini generali, ancora una volta ricorrendo ai principi fondanti il meccanismo dell’IVA che trova proprio il suo equilibrio nel composito meccanismo delle rivalsa e delle detrazione, per effetto dei quali l’erario non subisce alcuna perdita in caso di regolare indicazione dell’IVA nei vari passaggi che caratterizzano la cessione del bene o servizio, qualunque sia il prezzo del bene o del servizio stesso.
7.10 Principio, quest’ultimo, bene espresso dalla Corte europea, secondo la quale la circostanza che un’operazione economica sia effettuata ad un prezzo superiore o inferiore al prezzo dì costo, e dunque a un prezzo superiore o inferiore al prezzo normale di mercato, è irrilevante (v.. Corte giust. 20 gennaio 2005, causa C-412/03, Hotel Scandio Gàsabàek, punto 22).
7.11 Si è, nella medesima direzione, precisato che qualora beni e servizi siano fomiti a un prezzo artificialmente basso o elevato fra parti che godono entrambe interamente del diritto a detrazione dell’IVA, non può sussistere, in tale fase, alcuna elusione o evasione fiscale. È solo a livello del consumatore finale che un prezzo artificialmente basso o elevato può comportare una perdita di gettito fiscale-cfr.Corte giust. 26 aprile 2012, cause riunite C-621/10 e C-129/11, Balkan p.47, -.
7.12 Peraltro, tanto secondo l’art. 11 par. 1 lett.a) della sesta direttiva CEE che per l’art.73 della dir.2006/112/CEE che l’ha riproposto senza rilevanti modifiche, la base imponibile per la cessione di un bene o la prestazione di un servizio effettuate a titolo oneroso è costituita dal corrispettivo effettivamente ricevuto a tal fine dal soggetto passivo e tale corrispettivo costituisce il valore soggettivo, ossia realmente percepito e non un valor stimato secondo criteri oggettivi -Corte giust. 26 aprile 2012, cit. p.43; Corte giust. 5 febbraio 1981, Coòperatìeve Aardappelcnbewaarplaats, 154/80, punto 13; Corte giust. 20 gennaio 2005, Hotel Scandic Gàsabàck, C-412/03, punto 21, e Corte giust. 9 giugno 2011, Campsa Estaciones de Servicio, C-285/10, punto 28).
7.13 Tali principi, d’altra parte, sono stati ribaditi dalla Corte di Giustizia anche con specifico riguardo alle operazioni infra gruppo.
7.14 Sul punto, si è infatti ritenuto che “… ove un corrispettivo sia stato concordato ed effettivamente versato al soggetto passivo come contropartita diretta per il bene ceduto o il servizio prestato, tale operazione dev’essere qualificata come operazione a titolo oneroso, anche nel caso in cui essa sia effettuata tra soggetti collegati e il prezzo concordato ed effettivamente versato sia manifestamente inferiore al prezzo normale di mercato. La base imponibile di un’operazione di questo tipo deve, di conseguenza, essere determinata conformemente alla regola generale stabilita dall’art. 11, parte A, n. 1, lett.a), della sesta direttiva”-cfr.Corte giust., 9 giugno 2011, causa C-285/10, Campsa Estaciones de Servicio SA p.27.
7.15 E’ peraltro da precisare che l’ordinamento comunitario non ha mancato di prevedere, nel tempo, delle limitazioni a tale principio, ma sempre collegate all’ipotesi che la persona interessata all’operazione non goda del diritto alla detrazione e che, dunque, possa derivare un danno all’erano per effetto di comportamenti abusivi dai soggetti coinvolti nella filiera di operazioni commerciali fraudolente.
7.16 In tali ipotesi, infatti, emerge in modo chiaro il pericolo di perdite di gettito per l’Erario che proprio l’art.80 della dir.2006/112/CEE ha inteso elidere prevedendo, al par.1 che ” Allo scopo di prevenire l’elusione o l’evasione fiscale, gli Stati membri possono, nei seguenti casi, prendere misure affinché, per la cessione di beni e la prestazione di servizi a destinatari con cui sussistono legami familiari o altri stretti vincoli personali, gestionali, di associazione, di proprietà, finanziari o giuridici quali definiti dallo Stato membro, la base imponibile sia pari al valore normale:…”,
7.17 Ora, la giurisprudenza comunitaria non ha mancato di chiarire che le ipotesi contemplate dall’art.80 cit. sono tassative, tanto che una normativa nazionale non può prevedere, sul fondamento di tale disposizione, che la base imponibile sia pari al valore normale dell’operazione in casi diversi da quelli elencati nella stessa, in particolare qualora il soggetto passivo benefici del diritto a detrarre interamente l’IVA- cfr. Corte giust. 26 aprile 2012, cause riunite C-621/10 e C-129/11, Balkan p.52-.
7.18 Alla stregua della ricostruzione sopra esposta si tratta allora di determinare in che misura l’antieconomicità possa essere presa in considerazione ai fini del riconoscimento o meno del diritto a detrazione.
7.19 Occorre anzitutto ribadire che la soluzione della questione non è direttamente condizionata dalla giurisprudenza nazionale, già ricordata ed espressamente richiamata dalla CTR, in tema di imposte sui redditi.
7.20 E’ noto, come più volte affermato dalla Corte di Giustizia, che il divieto di discriminazione non è che un’espressione specifica del principio generale di uguaglianza nel diritto comunitario, il quale impone che situazioni analoghe non siano trattate in maniera diversa e che situazioni diverse non siano trattate in maniera uguale, a meno che un tale trattamento non sia obiettivamente giustificato (v., in particolare, Corte giust. 18 maggio 1994, causa C-309/89, CodomiW Consiglio, Race. pag. 1-1853, punto 26, e 17 luglio 1997, causa C-354/95, National Farmers’ Union e a., Race. pag. 1-4559, punto 61).
7.21 Ora, poiché il sistema di tassazione diretta, nel suo complesso, non ha alcun rapporto con quello dell’lVA, non può ritenersi che una soluzione a livello di normativa sull’lVA diversa da quella espressa per i tributi diretti crei un vulnus ai principio di non discriminazione. -cfr. Corte giust. 17 marzo 2007, causa C-35/05-.
7.22 Detto questo, ritiene il collegio che in condizioni normali non sia consentito all’amministrazione di rideterminare il valore delle prestazioni e dei servizi acquistati dall’imprenditore escludendo il diritto a detrazione per le ipotesi in cui il valore dei beni e servizi sia ritenuto antieconomico e, dunque, diverso da quello da considerare normale o comunque sia tale da produrre un risultato antieconomico.
7.23 Tale verifica l’amministrazione potrà solamente fare allorché la riscontrata antieconomicità rilevi quale indizio di non verità della fattura, nel senso di non verità dell’operazione, oppure di non verità del prezzo o, ancora, di non esistenza dell’inerenza e cioè della destinazione del bene o del servizio acquistati ad essere utilizzati per operazioni assoggettate ad IVA.
7.24 Se dunque l’amministrazione riesce a dimostrare l’antieconomicità manifesta e macroscopica, come tale esulante dal normale margine di errore di valutazione economica, spetterà all’imprenditore dimostrare che la prestazione del bene o del servizio presenta comunque le caratteristiche per ritenersi reale ed inerente rispetto all’attività svolta.
7.25 Potrà ancora accadere che l’antieconomicità costituisca indizio di abuso del diritto che, com’è noto, presuppone un uso “artificioso” di una forma giuridica e cioè l’uso concreto di essa non per l’affare per il quale essa è tipicamente prevista, ma per uno scopo diverso, univocamente ed esclusivamente rivolto a perseguire un indebito risparmio fiscale.
7.26 Ed invero, è noto che integra gli estremi del comportamento abusivo quell’operazione economica che, tenuto conto sia della volontà delle parti implicate che del contesto fattuale e giuridico, ponga quale elemento predominante ed assorbente della transazione lo scopo di ottenere vantaggi fiscali, con la conseguenza che il divieto di comportamenti abusivi non vale più ove quelle operazioni possano spiegarsi altrimenti che con il mero conseguimento di risparmi di imposta (Cass. n. 1465/09; v. anche Cass. n. 8772 e 10257/08; Cass.n.20029/2010).
7.27 Analogamente, si è ritenuto che in materia tributaria, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, che preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio di imposta, in difetto di ragioni economiche apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse alla mera aspettativa di quei benefici. “Ne consegue che il carattere abusivo di un’operazione va escluso quando sia individuabile una compresenza, non marginale, di ragioni extrafiscali, che non si identificano necessariamente in una redditività immediata dell’operazione medesima ma possono rispondere ad esigenze di natura organizzativa e consistere in un miglioramento strutturale e funzionale dell’azienda-cfr. Cass. n. 1372 del 21/01/2011 ;cfr.altresì, Cass. n. 10807 del 28/06/2012 -. Ed è parimenti assodato che la prova sia del disegno elusivo sia delle modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato e perseguiti solo per pervenire a quel risultato Fiscale, incombe sull’Amministrazione finanziaria, mentre grava sul contribuente l’onere di allegare la esistenza di ragioni economiche alternative o concorrenti di reale spessore che giustifichino operazioni in quel modo strutturate.
7.28 Orbene, nel caso di specie, la CTR non ha in alcun modo escluso l’inerenza ed esistenza della prestazione, invece incentrando la propria indagine sul requisito dell’antieconomicità, senza che mai l’amministrazione abbia ipotizzato – come invece era suo onere- l’esistenza di un abuso del diritto ed i presupposti giustificativi dello stesso.
7.29 Nemmeno il giudice di appello ha chiaramente espresso, rispetto alla questione controversa per il giudizio, l’esistenza di una macroscopica antieconomicità dei costi sostenuti dalla società contribuente e portati dalla stessa in detrazione, rinunziando addirittura alla ripresa a tassazione ai fini dell’imposta dei redditi nel corso del giudizio(v.p.l). Ciò che conferma vieppiù, come gli elementi di prova offerti dall’amministrazione non furono mai rivolti a porre in discussione l’esistenza stessa della prestazione.
7.30 Né, ancora, risulta che l’Agenzia abbia anche solo ipotizzato che dalla detrazione dei costi operata dalla G. fosse derivato il pericolo dì una perdita di gettito fiscale, essendo pacifica la regolarità, ai fini dell’assolvimento degli obblighi fiscali ai fini IVA, della catena dei passaggi fra prestatore e committente.
8. Sulla base di tali considerazioni le censure meritano di essere accolte e la sentenza va cassata.
9. Non ricorrendo la necessità di ulteriori accertamenti in fatto la causa può essere decisa nel merito ex art.384 c.p.c. con l’accoglimento del ricorso della società contribuente.
10. Ricorrono giusti motivi per compensare fra le parti le spese dell’intero giudizio in relazione alla peculiarità e dell’esito del giudizio.
P.Q.M.
Accoglie, il ricorso e decidendo nel mento introduttivo della parte contribuente.
Compensa le spese.
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