CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 15 gennaio 2014, n. 644
Tributi – IRPEF – Redditi di capitale – Tassazione – Interessi maturati sul denaro investito – Limiti
Svolgimento del processo
M.S. impugnò l’avviso di accertamento con il quale veniva rettificata la dichiarazione dei redditi relativa all’anno 1997, recuperandosi a tassazione, ai fini dell’IRPEF a dell’ILOR, redditi di capitale, ai sensi dell’art. 42 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, relativi ai rendimenti di somme affidate per investimenti a tale Sig. C.M., successivamente fallito ed inquisito per truffa ai danni dei risparmiatori.
La Commissione tributaria provinciale di Genova ha accolto il ricorso del contribuente.
La Commissione tributaria regionale della Liguria accogliendo l’appello dell’Agenzia delle entrate, ha invece riconosciuto la legittimità del recupero.
Per un verso ha infatti rilevato che il contribuente aveva ricevuto delle somme, come risultava dagli assegni bancari emessi nel 1997 a suo favore, il cui importo trovava puntuale riscontro nella scheda rinvenuta presso il M. nella colonna “dare”; per altro verso ha ritenuto che “i tabulati e le schede sulle cui risultanze l’ufficio ha basato la propria pretesa abbiano piena valenza probatoria e siano attendibili, sia quando recano puntuale annotazione dei capitali conferiti, non contestati, e dei versamenti effettuati, sia quando riportano i prelievi effettuati (con puntuale riscontro negli assegni rinvenuti), sia quando recano annotazione degli accreditamenti periodici degli interessi maturati”. Tutti tali redditi da capitale “non possono non essere considerati “percepiti” dallo S. negli anni in questione”.
Nei confronti della sentenza il contribuente propone ricorso sulla base di tre motivi, illustrati con successiva memoria.
L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
Motivi della decisione
Va anzitutto disatteso il giudicato esterno, che sembrerebbe essere opposto dal contribuente, costituito da decisioni di merito – delle quali non si documenta la definitività -, relative all’accertamento di imposte dirette per periodi d’imposta diversi, e quindi a fatti non aventi caratteristica di durata e comunque variabili da anno ad anno (Cass. sez. un., 16 giugno 2006, n. 13916).
Con il primo motivo del ricorso, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. e dell’art. 42 del tuir, anche sotto il profilo dell’error in procedendo, nonché vizio di motivazione, il contribuente contesta la ritenuta idoneità probatoria dei tabulati del M. anche in relazione alle somme imputate soltanto in contabilità; i tabulati, poi, sarebbero completamente inattendibili, in quanto provenienti da soggetto intento ad attuare un ampio disegno criminoso.
Con il secondo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., 1823, 1825, 1834 e 1852 cod. civ., 41 e 42 tuir, assume che le schede nominative ed i tabulati rinvenuti presso il promotore finanziario non sarebbero idonei a far presumere la percezione di interessi, utili o altri proventi.
Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 26, 27 e 64 del d.P.R. n. 600 del 1973 per avere la sentenza escluso che le somme corrisposte a titolo di interessi non beneficiassero della ritenuta alla fonte a titolo di imposta, agendo il promotore quale intermediario di un soggetto non residente.
I primi due motivi sono fondati nei termini che seguono, rimanendo assorbito l’esame del terzo motivo.
Questa Corte ha affermato che “in tema di IRPEF, gli interessi maturati periodicamente sulle somme affidate in gestione patrimoniale ad un promotore finanziario e che non siano materialmente percepiti dal cliente, ma soltanto contabilizzati a credito in schede nominative e tabulati riferiti a detto creditore, non costituiscono reddito di capitale, desumendosi dall’art. 42 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (nel testo “ratione temporis” vigente) che gli interessi entrano a far parte del reddito imponibile solo se messi nella disponibilità concreta ed effettiva del creditore, il quale li abbia materialmente incamerati o ne abbia comunque disposto o sia stato messo nelle condizioni di farlo a suo piacimento” (Cass. n. 9202 del 2011, n. 22980 del 2010).
Mentre la semplice annotazione in contabilità non può quindi costituire prova se non contro l’autore delle registrazioni, il pagamento può considerarsi provato sulla base della produzione della fotocopia del relativo assegno, non contestata, sicché va ritenuta idonea la presunzione di effettiva percezione ira limitatamente alle some risultanti anche dagli assegni incassati, e depositati in atti.
Il ricorso va pertanto accolto nei termini precisati, la sentenza impugnata va correlativamente cassata e la causa rinviata, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Liguria.
P.Q.M.
Accoglie i primi due motivi del ricorso, assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi come accolti e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Liguria.
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