CORTE di CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 37108 depositata il 26 luglio 2017
Sequestro preventivo finalizzato alla confisca – Confisca diretta e per equivalente – Persona giuridica – Fallimento.
Massima:
È consentito nei confronti di una persona giuridica il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario commesso dagli organi della persona giuridica stessa, quando tale profitto sia nella disponibilità di tale persona giuridica. Si deve, invece, escludere la possibilità di procedere a confisca per equivalente di beni della persona giuridica per reati tributari commessi dal legale rappresentante, tranne nell’ipotesi in cui la persona giuridica stessa sia in concreto priva di autonomia e rappresenti solo uno schermo attraverso cui l’amministratore agisce come effettivo titolare. Ciò vale anche in caso di dichiarazione di fallimento della società in quanto nell’ordinamento vigente è prevista solo una responsabilità amministrativa degli enti e non una responsabilità penale, sicché l’ente non è mai autore del reato e non può essere considerato concorrente. Va pure osservato che il d.lgs. n. 231 del 2001 non include i reati tributari fra quelli per cui è prevista la responsabilità della persona giuridica e la confisca per equivalente dei beni della società non può fondarsi neppure sull’assunto che l’autore del reato abbia la disponibilità di tali beni in quanto amministratore, essendo tale disponibilità nell’interesse dell’ente e non della persona fisica. Sul piano del diritto positivo, infine, non vi è alcuna disposizione normativa che consenta di disporre la confisca per equivalente di beni appartenenti a una persona giuridica nel caso di violazioni tributare commesse dal legale rappresentante e stante il carattere eminentemente sanzionatorio della confisca per equivalente, le norme che la prevedono non possono essere applicate oltre ai casi espressamente considerati.
Testo:
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 18.10.2016, il Tribunale di Como rigettava l’istanza di riesame proposta nell’interesse dell’indagata B. F. avverso il decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca emesso dal GIP del Tribunale di Como in data 10.8.2016 in relazione al reato di cui all’art. 10 ter divo 74\2000 con riferimento agli anni di imposta 2010 e 2011 e per la complessiva somma di euro 1.550.963,00.
2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione B. F., per il tramite del difensore di fiducia, articolando i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173 comma 1, disp. att. cod. proc. Pen.
La ricorrente lamenta vizio di violazione di legge, deducendo che il Tribunale non aveva tenuto nel debito conto elementi decisivi prospettati dalla difesa: la compensazione dell’omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto era giustificato, dalla sussistenza di un credito Iva di importo analogo vantato dalla società; difettava la prova della impossibilità di procedere al sequestro e la confisca in forma specifica nei confronti della società J. I.; la dichiarazione di fallimento della società J. I. non poteva considerarsi elemento integrante l’impossibilità di procedere al sequestro e la confisca in forma specifica nei confronti della società J. I.
Chiede, pertanto, l’annullamento dell’ordinanza impugnata ed il decreto di sequestro preventivo.
Il Sostituto Procuratore Generale della Repubblica presso questa Corte di Cassazione ha rassegnato ex art. 611 cod. proc. pen. le proprie conclusioni, chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
2. Va ricordato che le Sezioni Unite di questa Suprema Corte, con la sentenza n. 10561/2014, Gubert, hanno affermando i seguenti principi di diritto: «È consentito nei confronti di una persona giuridica il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario commesso dagli organi della persona giuridica stessa, quando tale profitto (o beni direttamente riconducibili al profitto) sia nella disponibilità di tale persona giuridica». –
«Non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti di una persona giuridica qualora non sia stato reperito il profitto di reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa, salvo che la persona giuridica sia uno schermo fittizio». –
«Non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti degli organi della persona giuridica per reati tributari da costoro commessi, quando sia possibile il sequestro finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa in capo a costoro o a persona (compresa quella giuridica) non estranea al reato».
– «L’impossibilità del sequestro del profitto di reato può essere anche solo transitoria senza che sia necessaria la preventiva ricerca generalizzata dei beni costituenti il profitto di reato».
2.1. La pronuncia delle Sezioni Unite rimarca, innanzitutto, la distinzione tra la confisca diretta del profitto del reato e l’istituto dalla confisca per equivalente.
La confisca diretta (o confisca di proprietà), prevista dall’art. 240 c.p. come misura facoltativa e resa obbligatoria per alcuni reati dall’art. 322 ter c.p., ha per oggetto il profitto del reato, vale a dire l’utilità economica direttamente o indirettamente conseguita con la commissione del reato. La confisca per equivalente (o confisca di valore), invece, ha per oggetto somme di denaro, beni o altre utilità di cui il reo ha la disponibilità per un valore corrispondente al profitto del reato ed è destinata ad operare nei casi in cui la confisca diretta non sia possibile. Nella nozione di profitto che consente la confisca diretta non rientrano solo i beni appresi per effetto diretto e immediato dell’illecito, ma anche ogni altra utilità comunque ottenuta dal reato, anche in via indiretta o mediata (ad esempio i beni acquistati con il denaro ricavato dall’attività illecita oppure l’utile derivane dall’investimento del denaro di provenienza criminosa).
L’art. 1 co. 143 della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria 2008), ha esteso ai delitti tributari di cui agli artt. 2, 3, 4, 5, 8, 10 bis, 10 ter, 10 quater e 11 del d.lgs. n. 74 del 2000, le disposizioni di cui all’art. 322 ter c.p., norma che rende obbligatoria per alcuni reati contro la pubblica amministrazione la confisca del prezzo o profitto del reato e che introduce la possibilità di procedere alla confisca per equivalente nel caso in cui tale prezzo o profitto non sia facilmente aggredibile. Pertanto, nel caso di condanna, o di applicazione della pena su richiesta delle parti, per uno dei delitti tributari previsti dagli articoli sopra richiamati, «è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato» (confisca diretta); quando ciò non è possibile, avrà luogo «la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto» (confisca per equivalente). A seguito dell’abrogazione di tale norma ad opera del decreto legislativo n. 158/2015, l’art. 10 del predetto decreto legislativo ha contestualmente introdotto il nuovo art. 12 bis del d.lgs. n. 74/2000, riconducendo così la disposizione contenuta nell’art. 1 co. 143 della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria 2008). La nuova norma dispone, infatti, che “nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’art. 444 del codice di procedura penale per uno dei delitti previsti dal presente decreto è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto.
Consegue, pertanto, che la confisca diretta del profitto di reato è possibile anche nei confronti di una persona giuridica per le violazioni fiscali commesse dal legale rappresentante o da altro organo della persona giuridica nell’interesse della società, quando il profitto o i beni direttamente riconducibili a tale profitto siano rimasti nella disponibilità della persona giuridica medesima.
Si deve, invece, escludere la possibilità di procedere a confisca per equivalente di beni della persona giuridica per reati tributari commessi dal legale rappresentante, salva l’ipotesi in cui la persona giuridica stessa sia in concreto priva di autonomia e rappresenti solo uno schermo attraverso cui l’amministratore agisce come effettivo titolare.
Si osserva, a tal profilo, che il rapporto organico che esiste tra persona fisica e società non è di per sé idoneo a giustificare l’estensione dell’ambito di applicazione della confisca per equivalente. Inoltre, non può trovare applicazione il principio per cui a ciascun concorrente devono imputarsi le conseguenze del reato. Nell’ordinamento vigente, infatti, è prevista solo una responsabilità amministrativa degli enti e non una responsabilità penale, sicché l’ente non è mai autore del reato e non può essere considerato concorrente. Va pure osservato che il d.lgs. n. 231 del 2001 non include i reati tributari fra quelli per cui è prevista la responsabilità della persona giuridica.
Si evidenzia, inoltre, che la confisca per equivalente dei beni della società non può fondarsi neppure sull’assunto che l’autore del reato abbia la disponibilità di tali beni in quanto amministratore, essendo tale disponibilità nell’interesse dell’ente e non della persona fisica. Sul piano del diritto positivo, infine, non vi è alcuna disposizione normativa che consenta di disporre la confisca per equivalente di beni appartenenti a una persona giuridica nel caso di violazioni tributare commesse dal legale rappresentante e stante il carattere eminentemente sanzionatorio della confisca per equivalente, le norme che la prevedono non possono essere applicate oltre ai casi espressamente considerati a ciò ostando il divieto di applicazione analogica in malam partem vigente nella materia penale.
Costituisce, inoltre, insegnamento di questa Suprema Corte, in tema di reati tributari, che il profitto, confiscabile anche nella forma per equivalente, è costituito da qualsivoglia vantaggio patrimoniale direttamente conseguito alla consumazione del reato e può, dunque, consistere anche in un risparmio di spesa, come quello derivante dal mancato pagamento del tributo, interessi, sanzioni dovuti a seguito dell’accertamento del debito tributario (Sez. U, n. 18374 del 31/01/2013, Adami, Rv. 255036; Sez. 3, n. 11836 del 04/07/2012, Bardazzi, Rv. 254737; Sez. 5, n. 1843 del 10/11/2011, Mazzieri, Rv. 253480; più in generale, sulla riconducibilità al profitto del “risparmio di spesa” si veda, altresì, Sez. U, n. 38343, n. 24/04/2014, Espenhahn, Rv. 261117). Anche il bene acquisito in modo diretto con il reinvestimento delle somme non versate all’Erario va ascritto alla categoria del “profitto” del reato (Sez. U, n. 10561 del 30/01/2014, Gubert; Sez. 6, n. 11918 del 14/11/2013, Rossi, Rv. 262613; Sez. 6, n. 4114 del 21/10/1994, Giacalone, Rv. 200855; più in generale, si veda anche Sez. U, n. 10280 del 25/10/2007, Miragliotta, Rv. 238700).
Secondo il recente, autorevole arresto di questa Suprema Corte «qualora il prezzo o il profitto derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca delle somme di cui il soggetto abbia comunque la disponibilità deve essere qualificata come confisca diretta; in tal caso, tenuto conto della particolare natura del bene, non occorre la prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto della confisca e il reato» (Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci). Si sostiene, a tal fine, che «ove il profitto o il prezzo del reato sia rappresentato da una somma di denaro, questa, non soltanto si confonde automaticamente con le altre disponibilità economiche dell’autore del fatto, ma perde – per il fatto stesso di essere ormai divenuta una appartenenza del reo – qualsiasi connotato di autonomia quanto alla relativa identificabilità fisica. Non avrebbe, infatti, alcuna ragion d’essere – né sul piano economico né su quello giuridico – la necessità di accertare se la massa monetaria percepita quale profitto o prezzo dell’illecito sia stata spesa, occultata o investita: ciò che rileva è che le disponibilità monetarie del percipiente si siano accresciute di quella somma, legittimando, dunque, la confisca in forma diretta del relativo importo, ovunque o presso chiunque custodito nell’interesse del reo. Soltanto, quindi, nella ipotesi in cui sia impossibile la confisca di denaro sorge la eventualità di far luogo ad una confisca per equivalente degli altri beni di cui disponga l’imputato e per un valore corrispondente a quello del prezzo o profitto del reato, giacché, in tal caso, si avrebbe quella necessaria novazione oggettiva che costituisce il naturale presupposto per poter procedere alla confisca di valore (l’oggetto della confisca diretta non può essere appreso e si legittima, così, l’ablazione di altro bene di pari valore)».
2.2. Giova, poi, rammentare, che in tema di reati tributari, il pubblico ministero è legittimato, sulla base del compendio indiziario emergente dagli atti processuali, a chiedere al giudice il sequestro preventivo nella forma per “equivalente”, invece che in quella “diretta”, solo all’esito di una valutazione allo stato degli atti in ordine alle risultanze relative al patrimonio dell’ente che ha tratto vantaggio dalla commissione del reato, incombendo al soggetto destinatario del provvedimento cautelare l’onere di dimostrare la sussistenza dei presupposti per disporre il sequestro in forma diretta (Sez. 3 del 11.11.2014 n. 1738, dep.15/01/2015, Rv. 261929; Sez.3, n.41073 del 30/09/2015, Rv.265028).
2.3. Va, poi, ricordato che questa Corte, con la pronuncia delle Sez. U., n. 29951 del 24/05/2004, cur. fall. in proc. Focarelli, Rv. 228165, ha affermato l’assoluta insensibilità del sequestro preventivo avente ad oggetto un bene confiscabile in via obbligatoria alla procedura fallimentare, prevalendo l’esigenza di inibire l’utilizzazione, in quel caso, di un bene intrinsecamente e oggettivamente “pericoloso” in vista della sua definitiva acquisizione da parte dello Stato; si è rilevato in particolare, con tale pronuncia, che nel caso di confisca obbligatoria, prevista dall’art. 240, comma 2, c.p. ovvero da leggi speciali, il rapporto di pertinenzialità tra bene e reato doveva ritenersi interamente assorbito nella verifica della “confiscabilità” del bene sì che la illegittimità del sequestro poteva essere affermata solo nel caso in cui tale confiscabilità fosse da escludere ictu ()culi, alla stregua delle risultanze processuali conseguite o in base alle norme giuridiche; in altri termini, dunque, il sequestro avente ad oggetto un bene confiscabile in via obbligatoria, a giudizio delle Sezioni Unite, doveva appunto ritenersi assolutamente insensibile alla procedura fallimentare.
Sul punto, sia pure con riguardo ai rapporti con il fallimento della confisca ex art. 19 del d.lgs. n. 231 del 2001, la pronuncia di questa Corte a Sez. Un. 11170 del 25/09/2014 Uniland S.p.a. e altro, Rv. 263679 – 263684, ha precisato che: non vi è alcuna norma che vieti l’apposizione di più vincoli sugli stessi beni e la logica del sistema consente e prevede l’apposizione di più vincoli anche nel caso in cui i beni siano appartenenti a soggetti dichiarati falliti; il vincolo derivante dal sequestro finalizzato alla confisca e quello derivante dalla procedura concorsuale perseguono finalità differenti, atteso che il primo mira a preservare i beni che si presume siano stati acquisiti illecitamente dall’ente e che possano, in caso di riconosciuta responsabilità dello stesso, essere oggetto di confisca, il secondo che pure ha valenza pubblicistica, mira a spossessare il fallito o la società fallita dei beni che costituiscono la garanzia patrimoniale del ceto creditorio.
3. Tanto premesso, va rilevato che l’ordinanza impugnata non ha fatto buon governo dei principi di diritto suesposti, valutando infondata la doglianza difensiva volta a censurare la sottoposizione a sequestro preventivo per equivalente dei beni personali della ricorrente, in assenza della verifica da parte del PM, sia pure sommaria, dell’impossibilità di effettuazione del sequestro e della confisca in forma diretta nei confronti dei beni della persona giuridica e affermando erroneamente che la dichiarazione di fallimento della società costituisce di per sè ipotesi di impossibilità a procedere alla confisca diretta del profitto di reato nei confronti di una persona giuridica.
4. L’ordinanza impugnata va, pertanto, annullata con rinvio al Tribunale di Como per nuovo esame, alla luce dei rilievi e dei principi di diritto suesposti.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Como.
Così deciso il 07/03/2017
Depositato in cancelleria il 26 luglio 2017
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