CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 13 ottobre 2017, n. 24218
Contratto a termine – Conversione a tempo indeterminato – Mancata impugnazione della clausola appositiva del termine – Volontà di estinguere il rapporto di lavoro – Durata di tale comportamento omissivo – Concorso con altri elementi significativi
Rilevato
che con sentenza del 12 luglio 2011, la Corte d’Appello di Napoli, in parziale riforma della decisione resa dal Tribunale di Napoli, accoglieva la domanda proposta da A.D. nei confronti di P.I. S.p.A., avente ad oggetto la declaratoria di nullità del contratto a termine concluso tra le parti, relativamente al periodo 17.8/30.9.2000, per “necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie” nonché “in funzione di punte di più intensa attività stagionale” ai sensi dell’art. 8 del CCNL del 26.11.1994, sancendo la conversione a tempo indeterminato del rapporto, la riammissione in servizio e la spettanza del risarcimento del danno relativo dalla data della notifica del ricorso introduttivo;
che la decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto infondata l’eccezione concernete l’intervenuta risoluzione del rapporto per mutuo consenso; soggetta la fattispecie alla disciplina di cui al d.lgs. n. 368/2001 da assumersi violata per la mancata prova del nesso causale tra l’assunzione a termine e l’esigenza invocata; ripristinato il rapporto e dovuto il risarcimento in misura pari alle retribuzioni maturate dalla data della messa in mora della Società datrice;
che per la cassazione di tale decisione ricorre la Società, affidando l’impugnazione a tre motivi, in relazione alla quale l’intimato non ha svolto alcuna attività difensiva
Considerato
che con il primo motivo, la Società ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione dell’art. 1372, 1175, 1375, 2697, 1427, 1431 c.c. e 100 c.p.c. in una con il vizio di motivazione, lamenta la non conformità a diritto e l’incongruità logica della pronunzia di rigetto dell’eccezione di risoluzione del rapporto per mutuo consenso, tempestivamente formulata;
che con il secondo motivo, denunciando il vizio di motivazione in una con la violazione e falsa applicazione degli artt. 8 del CCNL 26.11.1994, 23 I. n. 56/1987 e 1362 c.c., la Società ricorrente deduce la non conformità a diritto e l’incongruità logica della pronunzia della Corte territoriale formulata alla stregua di un errato parametro normativo;
che il terzo motivo, è inteso a censurare l’erroneità della pronunzia della Corte territoriale in ordine alle conseguenze sanzionatone della dichiarata nullità del termine con riguardo allo ius superveniens di cui all’art. 32, I. n. 183/2010; che il primo motivo deve ritenersi palesemente infondato alla luce del consolidato orientamento di questa Corte di recente ribadito dalle sezioni unite di questa Corte con la sentenza 27.10.2016, n. 21691, secondo cui la mancata impugnazione della clausola appositiva del termine viene considerata indicativa della volontà di estinguere il rapporto di lavoro tra le parti a condizione che la durata di tale comportamento omissivo sia particolarmente rilevante e che concorra con altri elementi parimenti significativi della predetta volontà abdicativa, così che la stessa risulti in modo univoco, valutazione questa rimessa al giudice del merito e, se, come nel caso di specie, congruamente motivata, avendo la Corte territoriale rilevato la mancata allegazione di elementi ulteriori, sottratta al sindacato del giudice di legittimità; che, di contro, il secondo motivo risulta fondato, essendo palese l’inapplicabilità alla fattispecie dedotta in giudizio del parametro normativo cui fa riferimento la Corte territoriale; che, il terzo motivo resta assorbito, dovendosi ritenere, alla stregua dell’esatto parametro normativo dato dall’art. 8 del CCNL 26.11.1994, la piena legittimità dell’assunzione a termine del lavoratore, essendo sufficiente, ai fini della validità della causale invocata, che l’assunzione medesima sia intervenuta nel periodo assunto a riferimento dalla norma predetta;
che, dunque, rigettato il primo motivo, va accolto il secondo, restando assorbito il terzo, l’impugnata sentenza cassata e la controversia decisa nel merito ex art. 384 c.p.c. con pronunzia in ordine alle spese da liquidarsi secondo il criterio della soccombenza, come da dispositivo.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo, rigettato il primo e assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda di A.D. e condanna il medesimo a rimborsare alla Società ricorrente le spese di lite, che liquida, per il I grado, in euro 1.300,00 complessive e per il II grado, in euro 1.500,00 complessive ed euro 200,00 per compensi nonché euro 4.000,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge per il presente giudizio di legittimità.
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